Le autodemolizioni sono come gli ospedali: luoghi in cui si abbandona qualcosa o qualcuno – in fondo che si tratti di automezzi o di uomini poco cambia – luoghi che non si vuole vedere né frequentare, per i quali proviamo fastidio. Ed è proprio fra cataste di macchine abbandonate che si aggirano i tre ragazzi di Minneapolis nella copertina di questo album, una fra le copertine più belle ed iconiche che mente umana ricordi.
Zen Arcade è un disco lungo, ed è pure pensato come concept, due caratteristiche assai strane per un disco di hardcore punk. Ma gli Huskers potevano concedersi tutto e tutto quello che toccavano si trasformava in oro, o in delirio, o più semplicemente in caos e creatività; in fondo facce diverse di un’unica medaglia.
La scaletta di questo vero e proprio monolite contiene alcune fra le canzoni più belle che abbia mai ascoltato come Broken Home Broken Heart, Beyond The Threshold, Standing By The Sea, Pink Turns To Blue; vere e proprie schegge di vetro che si infilano sotto pelle, che feriscono provocando un dolore intenso, che fanno piangere ma che sanno anche dare forza, perché dicono quello che sta dentro di noi, quello che vorremo esprimere senza averne il coraggio o più semplicemente la capacità.
Ma non solo di furia elettrica è composto questo capolavoro; al suo interno c’è infatti Never Talking To You Again uno dei pezzi acustici più splendidi mai composti ed anche il finale rumoristico Reoccurring Dreams – che in altri casi mi sarebbe sembrato ostico o peggio indifferente – incontra il mio incondizionato favore.
Per anni sul dorso del mio chiodo è stata vergata la copertina di questo disco e, in tempi pre social, per questo venivo riconosciuto (e comprensibilmente evitato) ai concerti in giro per il nord Italia.
Per Zen Arcade sono superflue le parole, va ascoltato, assimilato, vissuto.
Zen Arcade è uno fra i album più belli ed importanti della storia della nostra musica, senza se e senza ma.