I Blackholes e una riflessione sulla fantascienza nel rock
“3…2…1…Boosters ignition and liftoff”
Rock e fantascienza, argomento curioso che inevitabilmente tende ad allargarsi verso altri generi musicali, specialmente quelli in grado di creare effetti/illusioni sonore abili a rimandare all’immaginario futuristico, dai beep di una console di volo ai vari fuzz dei laser. Praticamente è facile scivolare nell’elettronica.
Eppure esistono molteplici esempi di fantascienza suonata in analogico, nella ricetta tradizionale composta dagli ingredienti: chitarra, basso, batteria.
Certo, come ogni buon piatto culinario può essere arricchito da diverse spezie mantenendo però il gusto della tradizione. Facciamo qualche esempio:
Ziggy Stardust. Il personaggio creato da David Bowie è l’icona rock dello spazio. È vero però che la sua figura si è opacizzata a favore del lustro dovuto al suo ideatore quando il Duca Bianco ha seminato altre perle durante la propria carriera esplorando lidi diversi rispetto agli argomenti degli esordi. La sua critica sociale si è avvalsa d’altri metodi e ispirazioni lasciando Ziggy nel suo remoto passato.
Sempre negli anni ’70 si assiste all’avvento di un rock sperimentale denominato poi Progressive. È in questo stile che sembra trovarsi più a suo agio la fantascienza (prima dell’arrivo dei sintetizzatori). Gli inglesi Hawkwind nel loro album-space-opera “In Search of Space” uniscono testi di ispirazione fantascientifica a grezze chitarre, suonando riff ripetuti allo sfinimento e creando così un rock spaziale, esasperato eppur magnetico, capace di anticipare il punk di fine decennio. Il loro cosmic rock diventa l’alternativa a quello più melodico e sperimentale dei Pink Floyd, i quali si limitano solo a citare la fantascienza all’interno della loro vasta discografia.
Sempre il Prog con i francesi Magma, presenta una lunga epopea sci-fi, una saga spaziale rock raccontata in una lingua inventata [con tanto di sintassi e grammatica (il kobaïano)] che narra le vicissitudini di un gruppo di persone in fuga dalla Terra ormai destinata all’annientamento. Storia che si articola in più LP.
Anche in Italia, grazie agli Area, la fantascienza arriva con una storia distopica raccontata nel loro album “Maledetti”.
E il punk? Ecco che Gotama Studio presenta l’interessante esordio di una band bergamasca di nome Blackholes. Un EP che in soli cinque pezzi fa scaturire tutta l’essenza dell’immaginario sci-fi, dai catastrofici asteroidi visti in molti disaster movie, alla guerra fredda che contrapponeva USA e USSR nella corsa alla luna. Nei loro energici live suonano diversi pezzi non inclusi nel cd dove si toccano temi più ’80 legati alla sci-fi nella cultura popolare e con giri di accordi più vari rispetto all’asciutto e tiratissimo punk registrato in studio.
Le tracce da citare doverosamente sono “Team Kill & Format” dove il ritornello è un mantra da gridare a squarciagola non diversamente dal finale di “Dead Moon” (Someone said we went too far…) e la canzone che termina l’EP citando il cosmonauta Gagarin “No God Up Here”, concetto a cui si lega anche la bellissima grafica la quale presenta il viaggio spaziale come qualcosa di solenne e quasi esoterico.
Da oggi anche i punk hanno raggiunto lo spazio …”Hey Houston, problema risolto!”