I social media hanno fatto più danni della grandine: probabile.
I social media hanno irrimediabilmente mutato la nostra percezione nel modo di rapportarci con il prossimo e la realtà che ci circonda: in parte penso di sì. I social media sono l’ oppio dei popoli: dai non scomodiamo il povero Carletto. In fondo il mezzo è neutro ed è l’ uso che ne facciamo che ne può ampliare o distorcere la portata. Lo dico perché è proprio su di un social che ho notato il profilo dei Cervelli della Nasa, il cui nome mi ha notevolmente incuriosito e spinto a procurarmi un contatto con loro.
Da lì il passo verso il volerli ascoltare – ed il volerne parlare – è stato breve. Me ne fornisce l’occasione l’ uscita di questo lavoro che, già dal titolo, e dai titoli di molti fra i brani in esso acclusi, denota un’ ironia tipicamente toscana, terra dalla quale provengono.
La band si cimenta in un surf strumentale a tratti legato alla tradizione del genere, ma che non disdegna panorami futuribili, panorami che rendono il loro suono personale e affrancato dagli stilemi, spesso troppo rigidi, di un sound che io comunque adoro.
Tra i brani in scaletta spiccano il groove coinvolgente ai massimi livelli di Big Jogger e Groove Armando (nomen omen), il languido incedere di Taki Doll e l’andamento cibernetico di The Eagle Man. Ma è tutto l’ album a presentare motivi di interesse e a scorrere piacevolmente senza momenti di riflusso o di, sia pur minima, mancanza di ispirazione.
A chi vuol provare a suonare come loro si potrebbe consigliare l’ acquisto del pandoro raffigurato in copertina, se non dovesse funzionare lo si può comunque riutilizzare, passate le feste natalizie, con il caffelatte a colazione.