Primo e unico vero romanzo di André Gide, “I falsari” (1925) è un atto d’accusa nei confronti della letteratura per la mancanza di coraggio, lo scarso approfondimento e l’essere complice nella costruzione della menzogna; sorprendente e affascinante, diverso da qualsiasi altra cosa, mette in scena le vicende di un gruppo di personaggi disparati, moltiplicando i punti di vista, i generi e le linee narrative secondarie, distaccandosi così dalla tradizionale narrazione lineare.
Potrete leggere passaggi come questi:
- Andiamo! Andiamo, amico mio; sappiamo benissimo, tanto voi che io, cosa dovrebbe essere la giustizia e cosa è invece. Si cerca di fare il meglio, si capisce: ma, con tutta la buona volontà e diligenza, il risultato non è che approssimativo. Il caso di cui vi occupate oggi, in cui siete impegnato, è di una particolare delicatezza: su quindici accusati, che insomma potrebbero essere accusati da una vostra parola domani, nove sono minorenni. E alcuni di questi ragazzi, lo sapete anche voi, appartengono a famiglie rispettabilissime. Proprio per questo un qualsiasi mandato di arresto mi sembra una grossa imprudenza. I giornali di partito si impadronirebbero subito del caso, e voi aprireste così la porta a ogni ricatto, a ogni diffamazione. Avrete un bel darvi da fare: nonostante tutta la vostra prudenza non impedirete che dei nomi vengano pronunciati (…) al vostro posto, ecco come mi comporterei: cercherei il mezzo di por fine a questo vergognoso scandalo, impadronendomi di quattro o cinque degli istigatori… Sì, so bene che è difficile prenderli; ma, che diavolo! è il nostro mestiere. Farei chiudere l’appartamento, il teatro di quelle orge, e cercherei di mettere in guardia i genitori di quei giovani spudorati, piano, segretamente, semplicemente, in modo da impedire recidive. Ah! ad esempio, mettete in prigione le donne; questo ve lo concedo; mi sembra che abbiamo a che fare con gente così perversa, che è indispensabile sbarazzarne la società. Ma, vi ripeto, non fate arrestare i ragazzi: accontentatevi di spaventarli (…).
- A che serve proibire quello che non si può impedire?
- “Mio fratello ha un’amante.”
“Te l’ha detto lui?”
“No. L’ho appreso a sua insaputa. I miei genitori non ne sanno nulla.”
“Cosa direbbero se lo sapessero?”
“Non so. La mamma sarebbe disperata. Babbo gli chiederebbe di rompere o di sposarsi.”
“Perbacco! I bravi borghesi non capiscono che si possa essere onesti in modo diverso da loro.”
- Ha quattordici soldi in tasca, non un soldo di più. Entra in un bar: prende un panino e un caffelatte al banco. Prezzo: dieci soldi. Gliene restano quattro: spavaldamente ne lascia due alla cassa e gli altri due li tende a un mendicante che sta frugando in una cassetta della spazzatura. Carità? Sfida? Poco importa. Adesso si sente felice come un re. Non ha più niente: tutto è suo!
- Man mano che un’anima s’immerge nella devozione, perde il senso, il gusto, il bisogno, l’amore della realtà. (…) L’abbaglio della loro fede li acceca sul mondo che li circonda e su se stessi. Io, che tengo soprattutto a veder chiaro, resto sbalordito dall’estremità di menzogna di cui può arrivare a compiacersi un devoto.
- (…) piango tutto quello che è atrofizzato dal coperchio delle convenzioni.
- (…) si potesse recuperare l’intransigenza della gioventù, la cosa che ci indignerebbe maggiormente sarebbe il vedere quello che siamo diventati.
- Le idee… le idee, ve lo confesso, mi interessano più degli uomini, mi interessano più di ogni altra cosa. Esse vivono, combattono; agonizzano come gli uomini. Naturalmente si può dire che noi le conosciamo solo attraverso gli uomini, così come conosciamo il vento solo guardando le canne che esso piega; ma tuttavia il vento è più importante delle canne.
- (…) sono le passioni che guidano l’uomo, non le idee.
- Si vuole ingannare gli altri e ci si occupa tanto dell’apparenza che si finisce per non sapere più chi si è.
- Non si può ottenere nulla di buono, con la paura.
- (…) crede sempre che basti pregare Dio perché tutto si accomodi.
- (…) quello che l’uomo ha di più profondo è la sua pelle.
- Sei abbastanza maturo per capire che non c’è famiglia senza qualche segreto, che gli interessati tremano al pensiero di lasciar scoprire.
- (…) se non posso sopportare il pensiero di un Cristo che si sacrifica per la salvezza ingrata di tutta quell’orribile gente che mi sta accanto, trovo una certa soddisfazione e anche una specie di serenità a immaginarmi quella turba che marcisce per produrre un Cristo… benché io preferirei qualcos’altro, dato che tutto l’insegnamento di Costui non ha fatto che immergere ancora più profondamente l’umanità nel pantano.
- Non posso credere al tuo cielo. Non voglio essere salvata.
- Ci sono moltissime opere che si ammirano per convenzione, perché tutti le ammirano, e perché nessuno sino a ora si è preso la briga di dire, ha osato dire che sono stupidaggini.
- “(…) Per quale ragione dicevi che tuo padre recita facendo il pastore? Non lo credi dunque convinto?”
“Il mio signor padre ha sistemato la propria vita in tale maniera che non ha più il diritto né il modo di essere convinto. Sì, è un convinto professionale. Un professore di convinzione. Inculca la fede; questa è la sua ragione di essere, è la parte che lui si assume e che deve condurre sino alla fine. Ma quanto a sapere ciò che si svolge in quello che chiama ‘il suo foro interiore’… Sarebbe indiscreto, capisci, andare a chiederglielo. E credo che neppure lui stesso se lo chieda mai. Fa in modo di non avere mai il tempo di chiederselo. Ha infarcito la sua vita di un mucchio di obblighi che perderebbero ogni significato se la sua convinzione si indebolisse; così questa convinzione risulta determinata e mantenuta da quelli. Pensa di credere, perché continua ad agire come se credesse. Non è più libero di non credere. Se la sua fede vacillasse, mio caro, sarebbe una catastrofe! Un vero crollo! E pensa che, di colpo, la mia famiglia non avrebbe più di che vivere. È un fatto che deve essere considerato, mio caro; la fede di papà è il nostro mezzo di sussistenza. Noi viviamo tutti sulla fede di papà. (…)”
- (…) il diavolo e il buon Dio sono una cosa sola; vanno d’accordo. Noi ci sforziamo di credere che tutto il marcio e il cattivo della terra venga dal diavolo. Ma lo facciamo perché altrimenti non sapremmo dove trovare in noi la forza per perdonare Dio. Egli si diverte con noi come un gatto con il topo che tormenta… e ci domanda ancora, dopo questo, di essergli riconoscenti. Ma riconoscenti di cosa? Di che cosa? (…) E sapete qual è la cosa più orrenda che abbia fatto… Il sacrificio del proprio figlio per salvarci. Suo figlio! Suo figlio… La crudeltà, ecco il primo degli attributi di Dio.
Cos’altro aggiungere?
Di Gide, premio Nobel per la letteratura nel 1947, si ricordano anche le sue coraggiose prese di posizione soprattutto contro l’istituto borghese della famiglia e l’ipocrisia religiosa.
Date un’occhiata alla rubrica RILEGGIAMOLI, tante soprese vi aspettano ! |
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