Quella degli Ibibio è una popolazione nigeriana antichissima, la cui presenza è già attestata attorno al 7000 a.C.
È a questo retaggio che appartiene la famiglia, per parte materna, della cantante Eno Williams; radici genetiche e culturali di vetusta stirpe, che hanno senza dubbio trasmesso in lei, che da bambina proprio in quelle terre ha vissuto, le coordinate essenziali che avrebbero determinato il suo ruolo e il suo posto nel mondo.
A Londra, luogo di nascita presto abbandonato ma poi ritrovato in età adolescenziale, diviene anima, cuore pulsante e mente principale del progetto Ibibio Sound Machine, collettivo di musicisti di talento superiore, in grado di produrre quella che potremmo senza dubbio definire la miglior elettro-disco-funk in circolazione.
Classico esempio di un tutto che supera, mantenendo e valorizzando, la somma delle sue parti, questo ensemble dà vita a un disco davvero mozzafiato, una perfetta commistione di tutta la tradizione dei generi di riferimento, dagli anni Settanta a oggi, con il valore aggiunto dell’anima Ibibio, la splendida voce della Williams, pregnante di una spiritualità proveniente da molto lontano, un qualcosa che evidentemente questa splendida ragazza porta da sempre dentro di sé; un dono, si potrebbe definire: la capacità di farsi portavoce di tutta una tradizione, di saper esternare in un unico e irripetibile momento il flusso continuo, magmatico e debordante di un’intera cultura in appena dodici brani, uno più bello dell’altro, vari e al tempo stesso organicamente
uniformi.
Metto il disco sul piatto: l’apertura è affidata a Protection From Evil, e di colpo mi ritrovo come intrappolato da una bomba mononota che pompa insistentemente, martellante e ipnotico inno di misticismo puro.
Casio (yak nda nda) è una saltellosa super orecchiabile che non fa prigionieri, inciampo sulla puntina del giradischi e precipito tra i solchi, trasportato dal fragore del ritmo.
Ma non ci si limita a ballare: i momenti di disco contemporanea sono sapientemente alternati ad altri decisamente più introspettivi, quasi soul: l’apice è la stupenda e strabiliante Afo Ken Doko Mien, nel corso della quale sembra quasi di assistere a un’intensa e debordante alba, un enorme sole rosso che appare da dietro le colline del mio giradischi e inonda le pietre e le sterpaglie del vinile di una caldissima luce mattutina.
All That You Want è un solare inno vitaminico, col synth che martella e il basso che rimbalza come non mai. A questo punto siamo anche noi molle scatenate, non ci fermiamo più. La danza impazza con la dance di Wanna See Your Face Again, dal piglio anni Novanta, quasi kitsch nel suo essere spudoratamente retrò-commerciale. Ma anche in episodi del genere l’incredibile voce della Williams trasforma il tutto in qualcosa di sublime.
Dopo le geniali e irresistibili 17 18 19 e Truth No Lie, che sembrano uscite direttamente da un disco anni Ottanta di Prince, giungiamo a Oyoyo. Influenzata dalla world music, è un inno di festa che restituisce forti vibrazioni anni Settanta, soprattutto grazie ai lick di chitarra col wha wha e agli arrangiamenti di fiati. Sembra proprio di essere là, in qualche remota località africana, a ballare in preda all’ebrezza attorno a un fuoco, estatici e ieratici, presi totalmente dal fluire del suono. Solo che il fuoco è il centro del disco, e io vi giro attorno, ancora e ancora.
Il giro si fa sempre più vorticoso. Attraversare le ritmiche percussive di Something Will Remember, caratterizzata da un breakdown di synth che lascia attoniti da quanto è bello, è come percorrere letteralmente di corsa i solchi stessi del disco: diventiamo un criceto impazzito che corre a perdifiato in circolo, percorrendo la nera superficie vinilica in un dionisiaco eterno ritorno dell’uguale.
La sognante Almost Flying e l’energica Freedom chiudono il disco con un’ondata di vibrazioni positive e, al minuto 48:25, dopo cotanto godimento, il sentimento prevalente è una perturbante estraniazione suscitata da luoghi mai visti, né visitati, ma in qualche modo vissuti intensamente nel corso di questo meraviglioso viaggio sonoro. In realtà, non ci siamo mai mossi dagli spazi tracciati da questo disco: ci abbiamo letteralmente vissuto dentro, ballando e campeggiando all’aria aperta, dove, cullati da una leggera e tiepida brezza, abbiamo visto antilopi correre, leoni sonnecchiare ed esotici uccelli stagliare le proprie nere sagome in un cielo cremisi.
La nostalgia è troppa, ho già voglia di tornare là.