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Recensione : Il corvo di Kader Abdolah

Questo romanzo autobiografico del 2011, ci apre gli occhi anche sul nuovo volto dell’Europa, con il suo popolo di migranti sospeso tra due mondi e in cerca di un’identità. Il corvo di Kader Abdolah.

“Il corvo” di Kader Abdolah, edito da Iperborea

Dalla moderna e multietnica Amsterdam, il rifugiato Refid Foaq racconta il suo lungo viaggio: dalla falegnameria del padre nel villaggio natale a Teheran dove si unisce alla lotta contro il regime dello scià e poi degli ayatollah, dalla scoperta della vocazione letteraria al desiderio di realizzarla nel paese che lo ha accolto, l’Olanda.

Questo romanzo autobiografico del 2011, ci apre gli occhi anche sul nuovo volto dell’Europa, con il suo popolo di migranti sospeso tra due mondi e in cerca di un’identità.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • In quel periodo pensavo spesso a Dio. I miei dubbi sulla sua esistenza aumentavano.
  • C’erano parecchi stranieri per strada, tipi che non avevamo mai visto. Alti, con berretti in testa e occhiali da sole dalle lenti molto scure. Erano americani. Fu solo più tardi che scoprii che la sera in cui ero nato la CIA aveva fatto un colpo di stato nella mia patria. L’America aveva deposto il nostro Primo ministro democraticamente eletto e rimesso sul trono lo scià, che prima era fuggito. Da quel giorno gli americani e lo scià avevano fatto di tutto per americanizzare la Persia. Uomini di affari e multinazionali avevano investito nelle città più importanti (…).
  • (…) in patria scoppiò la rivoluzione e il movimento di sinistra ambiva alla sua parte di potere. Si occuparono le caserme, si portarono via fucili, si incendiarono le banche americane, migliaia di persone scesero in strada a manifestare, lo scià fuggì e i generali seguirono il suo esempio, gli agenti della CIA scomparvero. Milioni di persone andarono all’aeroporto per dare il benvenuto alla guida spirituale, l’ayatollah Khomeini. Non c’era più posto per l’amore.
  • Più tardi (…) i sacerdoti conquistarono il potere e noi militanti della sinistra restammo a mani vuote (…).
  • Durante il cambio di potere in patria, i curdi approfittarono dell’instabilità della situazione per rivendicare la loro indipendenza. Per tutta risposta i Guardiani della Rivoluzione del nuovo governo invasero la regione e scoppiò la guerra tra i curdi armati e il regime degli ayatollah. Tornato a Teheran, preparai in fretta lo zaino e partii di nascosto per il Kurdistan attraverso le montagne. Andavo al fronte come inviato del nostro giornale clandestino (…). Sui quotidiani ufficiali era proibito parlare della guerra. Nessuno quindi sapeva cosa stesse realmente accadendo laggiù. Il Kurdistan è una regione piena di segreti e di sorprese. Parlai con i curdi e scrissi della loro vita e dei loro sogni. Annotai le canzoni che cantavano con il fucile in spalla per il loro Kurdistan. Andai a casa della gente.
  • Foad, un medico (…) diventato famoso e molto amato in Kurdistan. Non aveva uno studio in casa dove ricevere i pazienti, andava a trovarli su per le colline con una vecchia jeep. Durante il mio soggiorno in Kurdistan ero stato suo ospite per una settimana. Abitava con i genitori in una grande casa antica. Era straordinario rivederlo dopo tutto quel tempo, tanto più che mi permise di accompagnarlo nelle sue visite ai pazienti. Quando infine decisi di proseguire il viaggio, tirò fuori un cavallo dalla stalla, mi diede un fucile e disse: “Gira per il mio Kurdistan con questo cavallo che conosce le strade e scrivi della nostra sofferenza.” Poco dopo fu arrestato. Tornato a Teheran, venni a sapere della sua esecuzione.
  • Ho sperimentato in varie forme la politica degli Stati Uniti, ma gli americani continuo a non capirli. Si sono serviti per venticinque anni dello scià come di un poliziotto per sorvegliare il Golfo Persico, e che cos’hanno ottenuto? Un regime teocratico totalitario. Nel 2001 hanno invaso l’Afghanistan, poi hanno attaccato l’Iraq. E che cos’hanno ottenuto? La loro politica ha costretto alla fuga milioni di persone, molte delle quali hanno finito per cercare asilo in Europa.
  • Benché non conosca l’odio, ci sono sentimenti profondamente radicati che si ereditano dalla famiglia, si annidano nella lingua, nella letteratura, nelle tradizioni di ciascuno. Noi persiani, da che mondo è mondo, abbiamo sempre avuto problemi con gli arabi. Mi vergogno a scriverlo, ma è un fatto storico. Personalmente amo la lingua araba, la letteratura araba, le donne arabe e i datteri freschi arabi. So anche recitare a memoria diverse sure del Corano in arabo. Ma da quando, millequattrocento anni fa, i maomettani invasero il regno di Persia, incendiarono i nostri palazzi, gettarono nel fiume i nostri testi, bandirono la nostra lingua, abolirono la religione che ci aveva dato Zarathustra e distrussero i nostri antichi templi del fuoco per rimpiazzarli con le loro moschee, i persiani nutrono un’avversione collettiva nei confronti degli arabi.
  • Iran e Iraq sono paesi confinanti. Gli iracheni sono arabi e gli iraniani persiani, parlano ognuno una propria lingua. Per tredici secoli persiani e arabi si sono fatti la guerra. Negli ultimi novant’anni le armi si sono zittite e c’è stato tra noi un tacito accordo di pace, ma durante il regime di Saddam Hussein l’America ha risvegliato l’odio che ci separava. Gli americani volevano vendicarsi della rivoluzione, vendicarsi del lungo sequestro dei funzionari della loro ambasciata a Teheran. Hanno fornito una copertura a Saddam e lui ha invaso l’Iran. Ogni notte gli aerei da guerra sorvolavano le città bombardando le abitazioni per impedire alla gente di dormire. E ogni notte centinaia di persone venivano ferite e uccise.
  • La guerra durò otto anni provocando tra le due parti un totale di un milione di morti. Iracheni quanto iraniani furono costretti a fuggire in massa dai loro paesi. Il regime iraniano temeva che l’opposizione di sinistra approfittasse della situazione per tramare con l’Unione Sovietica e impadronirsi del potere. Così decise di neutralizzarla. Migliaia di attivisti furono arrestati, centinaia giustiziati senza alcuna forma di processo.
  • Tutti i clandestini erano alla ricerca di un trafficante di esseri umani. Di tutti i trafficanti di Istanbul non ce n’era uno affidabile, ma non avevi altra scelta. (…) Non sono ovviamente il genere di persone che puoi andare a trovare nel loro ufficio, operano tutti sotto falso nome (…) e lavorano sempre in combutta con i poliziotti, che li proteggono.

 

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