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Recensione : Il mago del Cremlino di Giuliano da Empoli

Dopo alcuni saggi, Giuliano da Empoli – professore di politica comparata a Parigi – pubblica in Francia per le Edizioni Gallimard e in Italia per tipi di Mondadori, il suo primo romanzo “Il mago del Cremlino” in cui si narra la vita di Vadim Baranov, consigliere personale del Presidente russo Vladimir Putin, un personaggio fittizio dietro al quale si cela il reale spin doctor Vladislav Surkov.

Il mago del Cremlino di Giuliano da Empoli

Dopo alcuni saggi, Giuliano da Empoli – professore di politica comparata a Parigi – pubblica in Francia per le Edizioni Gallimard e in Italia per tipi di Mondadori, il suo primo romanzo “Il mago del Cremlino” in cui si narra la vita di Vadim Baranov, consigliere personale del Presidente russo Vladimir Putin, un personaggio fittizio dietro al quale si cela il reale spin doctor Vladislav Surkov.

Il lungo monologo di Baranov, voce dall’interno del sistema politico, parte dalla caduta di Boris El’cin fino all’attuale guerra in Ucraina.

Se qualcuno si sta chiedendo perché sia proprio Putin l’uomo solo al comando della Madre Russia, troverà una risposta in queste pagine di Giuliano da Empoli: è stato scelto lui perché uomo lontano dalla politica, “giovane, competente e moderno”, non attaccabile per non aver mai preso parte alla politica del suo paese e perché quello che era un funzionario “minuto, dai tratti slavati” è, in realtà, un ottimo attore per interpretare il ruolo dello Zar, del capo di cui la Russia ha bisogno; dal momento che l’uomo più polare in Russia è Stalin, bisogna dare al popolo ciò che vuole e cioè una figura autoritaria molto forte, che non vacilli, che ristabilisca l’ordine e che non mostri “la minima crepa nel muro dell’autorità”.

Per scalare le vette del consenso, Baranov il mago – uomo colto che vive di teatro e spettacolo, ideologo fascisteggiante – oltre a macchinazioni ricatti e corruzioni, usa la televisione come mezzo indispensabile per fornire alla dittatura una maschera di democrazia. La “magia” consiste nel far leva sulle emozioni del popolo russo riuscendo a mettere in ombra il brutale lato autoritario di Putin e dando risalto all’aspetto del grande condottiero, correggendone i modi grossolani e fornendogli un linguaggio del comando e del controllo che i russi potranno subito riconoscere e apprezzare come fecero i loro padri e i loro nonni.

“Diventando Primo Ministro, Vladimir Vladimirovič, voi rivestirete automaticamente i panni dell’autorità legittima, cosa fondamentale per i russi, che non sono in cerca di avventure e, a questo punto, desiderano soprattutto stabilità e sicurezza […]. Il vostro passato nei servizi di sicurezza costituisce una garanzia di affidabilità. L’essere un uomo di poche parole giocherà a vostro vantaggio. I russi sono stanchi degli imbonitori. Vogliono essere guidati da una mano ferma, che riporti l’ordine nelle strade e restauri l’autorità morale dello Stato. Per questa ragione, la campagna elettorale che abbiamo in mente non sarà fatta di comizi e di manifesti. Anzi, ciò a cui pensiamo è proprio l’esatto contrario. La scommessa sarà quella di non apparire un politico come gli altri. Vedete, Vladimir Vladimirovič, io non conosco molto bene la politica, ma mi intendo di spettacolo”.

Più che sulla storia della Russia, l’interesse dell’autore è indagare la natura del potere. Già nelle prime pagine viene descritto un Baranov bambino che di fronte alla possibilità di poter scegliere cosa mangiare, più che la soddisfazione gastronomica ricorda la “sensazione di benessere e di potere assoluto” e che poi, una volta cresciuto, si rende conto come “nessun indizio deve essere trascurato: la disposizione dei posti a tavola a una cena di gala, il tempo d’attesa nell’anticamera del presidente, il numero degli agenti di scorta. Il potere è fatto di minuzie”, fino ad arrivare a capire che tutto può essere manipolato se lo si sa fare bene, perfino la rivolta: “il monopolio del potere non bastava più, serviva quello della sovversione”.

Ma Baranov scoprirà anche che il potere è un tritacarne, che al suo contatto nessuno ne esce indenne: “La guerra in Ucraina era come tutto il resto. Non l’avevo voluta io. Anzi avevo manifestato con forza la mia opposizione. Ma poi, quando lo Zar l’aveva decisa, avevo fatto tutto ciò che era in mio potere per farla riuscire”.

Il romanzo si apre e si chiude con il libro “Noi” di Zamjátin; di questo capolavoro, “Il mago del Cremlino” ne condivide l’aspetto distopico e fortemente pessimista sul futuro dell’umanità, immaginando la possibilità che la collaborazione dell’uomo non sia più fondamentale al mantenimento del potere, ma che questo sia garantito da macchine che non possano rivoltarsi e che non abbiano alcuna esitazione nell’eseguire gli ordini: “Fin quando si fondava sulla collaborazione in carne ed ossa, ogni potere, per quanto duro, doveva fare i conti con il consenso. Ma quando si fonderà sulle macchine, che mantengono l’ordine e la disciplina, non avrà più alcun freno. Il problema delle macchine non è che si ribelleranno all’uomo. È che ne seguiranno gli ordini alla lettera”.

La chiusura del romanzo è una riflessione sulla fase dell’uomo sul pianeta Terra, che si avvia in qualche modo alla conclusione: se qualcosa/qualcuno ci sarà dopo di noi avrà idee e preoccupazioni ben diverse da quelle a cui siamo abituati ora, perché le macchine non imporranno il loro dominio sugli uomini ma entreranno nell’uomo e, in effetti, la perfezione della macchina è già diventato l’ideale di persone che fanno a gara per fondersi con la tecnologia.

Al riguardo, esiste un interessantissimo saggio “Essere una macchina” di Mark O’Connell edito da Adelphi che nel raccontare di luoghi in cui esistono già corpi umani congelati in attesa di risvegliarsi in un futuro più o meno prossimo, descrive anche la procedura che subiremo quando i dati del nostro cervello verranno trasferiti in un potente computer.

Ma questa è un’altra storia.

 

 

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