Di questo libro Italo Calvino ha detto: “Questo romanzo è il primo che ho scritto. … Al tempo in cui l’ho scritto, creare una letteratura della Resistenza era ancora un problema aperto, scrivere il romanzo della Resistenza si poneva come un imperativo; … ogni volta che si è stati testimoni o attori d’un’epoca storica ci si sente presi da una responsabilità speciale … A me, questa responsabilità finiva per farmi sentire il tema come troppo impegnativo e solenne per le mie forze. E allora, proprio per non lasciarmi mettere in soggezione dal tema, decisi che l’avrei affrontato non di petto ma di scorcio. Tutto doveva essere visto dagli occhi d’un bambino, in un ambiente di monelli e vagabondi. Inventai una storia che restasse in margine alla guerra partigiana, ai suoi eroismi e sacrifici, ma nello stesso tempo ne rendesse il colore, l’aspro sapore, il ritmo…”
Potrete leggere passaggi come questi:
- Pietromagno passa metà dell’anno in prigione, perché è nato disgraziato e quando c’è un furto nei dintorni finiscono sempre per mettere dentro lui.
- – Canta, Pin, – gli dicono. Pin canta bene, serio, impettito, con quella voce di bambino rauco. Canta Le quattro stagioni. (…) Gli uomini ascoltano in silenzio, a occhi bassi come fosse un inno di chiesa. Tutti sono stati in prigione: chi non è stato mai in prigione non è un uomo. E la vecchia canzone da galeotti è piena di quello sconforto che viene nelle ossa alla sera, in prigione, quando i secondini passano a battere le grate con una spranga di ferro, e a poco a poco tutti i litigi, le imprecazioni si quetano, e rimane solo una voce che canta quella canzone, come ora Pin, e nessuno gli grida di smettere.
- Pin ha una faccia falsa che sembra allevato dai preti.
- (…) quanto i tedeschi sono rossicci, carnosi, imberbi, tanto i fascisti sono neri, ossuti, con le facce bluastre e i baffi da topo.
- Tra i detenuti sono molti renitenti alla chiamata alle armi e anche molti per reati annonari, macellatori clandestini, trafficanti in benzina e in sterline. I delinquenti comuni sono rimasti in pochi, ormai che nessuno dà più la caccia ai ladri; gente che aveva da scontare vecchie condanne, e non è più in età di chiedere l’arruolamento per avere il condono. I politici si distinguono per i lividi che hanno sulla faccia, per il modo come si muovono con le ossa rotte dagli interrogatori.
- (…) chi ruba poco va in galera e chi ruba tanto ha le ville e i palazzi.
- (…) il codice penale è sbagliato. C’è scritto tutto quello che uno non può fare nella vita: furto, omicidio, ricettazione, appropriazione indebita, ma non c’è scritto cosa uno può fare, invece di fare tutte quelle cose, quando si trova in certe condizioni.
- Giuro che per tutta la mia vita combatterò perché non ci siano più prigioni e perché sia rifatto il codice penale.
- Anni fa nel carrugio c’era una scritta che compariva sempre: Viva Lenin. Venivano i fascisti a cancellarla e il giorno dopo compariva ancora. Un giorno poi arrestarono Fransè il falegname e la scritta non si vide più. Fransè dicono che è morto in un’isola.
- (…) porta scarogna più d’un prete.
- A un partigiano non si domanda mai: chi sei? Sono figlio del proletariato, (…), la mia patria è l’Internazionale, mia sorella è la rivoluzione.
- L’estremismo, malattia infantile del comunismo!
- I sogni dei partigiani sono rari e corti, sogni nati dalle notti di fame, legati alla storia del cibo sempre poco e da dividere in tanti: sogni di pezzi di pane morsicati e poi chiusi in un cassetto. I cani randagi devono fare sogni simili, d’ossa rosicchiate e nascoste sottoterra. Solo quando lo stomaco è pieno, il fuoco è acceso, e non s’è camminato troppo durante il giorno, ci si può permettere di sognare una donna nuda e ci si sveglia al mattino sgombri e spumanti, con una letizia come d’ancore salpate.
- (…) ognuno lo sa perché fa il partigiano. Io facevo lo stagnino e giravo per le campagne, il mio grido si sentiva da distante e le donne andavano a prendere le casseruole bucate per darmele da aggiustare. Io andavo nelle case e scherzavo con le serve e alle volte mi davano uova e bicchieri di vino. Mi mettevo a stagnare i recipienti in un prato e intorno avevo sempre bambini che mi stavano a guardare. Adesso non posso più girare per le campagne perché mi arresterebbero e ci sono i bombardamenti che spaccano tutto. Per questo facciamo i partigiani: per tornare a fare lo stagnino, e che ci sia il vino e le uova a buon prezzo, e che non ci arrestino più e non ci sia più l’allarme.
- Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano.
Volete sapere qualcosa di più di questo libro? Nel ’47 Cesare Pavese scriveva su “l’Unità”: A ventitré anni Italo Calvino sa già che per raccontare non è necessario “creare i personaggi”, bensì trasformare dei fatti in parole. (…) Ormai di scrittori che puntino sui grossi personaggi come usava una volta, non ce n’è quasi più. (…) Trasformare dei fatti in parole non vuol dire cedere alla retorica dei fatti, né cantare il bel canto. Vuol dire mettere nelle parole tutta la vita che si respira a questo mondo, comprimercela e martellarla. La pagina non dev’essere un doppione della vita, sarebbe per lo meno inutile; deve valerla, questo sì. Dev’essere un fatto tra i fatti, una creatura in mezzo alle altre. Per questa prima volta, a noi pare, Calvino c’è abbondantemente riuscito.
Marco Sommariva