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Recensione : Incontri alla fine del mondo di Werner Herzog

Di questo libro-intervista, ha detto il visionario regista esploratore tedesco: “Di fronte alla dura alternativa tra vedere un libro su di me compilato a partire da vecchie interviste ricolme di bugie e di selvagge falsificazioni, o collaborare alla sua stesura, “Incontri alla fine del mondo” di Werner Herzog, edito da Minimum Fax.

“Incontri alla fine del mondo” di Werner Herzog, edito da Minimum Fax

Di questo libro-intervista, ha detto il visionario regista esploratore tedesco: “Di fronte alla dura alternativa tra vedere un libro su di me compilato a partire da vecchie interviste ricolme di bugie e di selvagge falsificazioni, o collaborare alla sua stesura, faccio la scelta peggiore: collaborare”.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • Molti anni fa, quando ero negli Stati Uniti, mi sono fermato da un benzinaio nel profondo Sud, credo si trattasse del Mississippi. La mia macchina aveva la targa della Pennsylvania e il tizio della pompa mi ha dato dello yankee e si è rifiutato di farmi benzina. A un secolo dalla fine della guerra di secessione, per alcuni nel Sud l’odio sopravvive. So che al giorno d’oggi molte persone provano gli stessi sentimenti nei confronti della Germania e il ritmo lento dell’evoluzione della coscienza collettiva è forse una delle ragioni per cui i registi tedeschi contemporanei hanno così tante difficoltà a presentare i loro film al difuori dei confini nazionali. Dopo la guerra si è prospettato un duplice lavoro di ricostruzione: da una parte dovevano essere fisicamente riedificate le città; dall’altra occorreva riabilitare la Germania agli occhi della comunità internazionale e ristabilire la sua reputazione di paese civile.
  • Tra gli spettatori tedeschi serpeggia una grande insicurezza e questo è comprensibile, visto che la Germania è stata la causa delle due più grandi catastrofi dell’umanità negli ultimi cent’anni. Questo ha reso le generazioni postbelliche molto caute e guardinghe. Quando qualcuno alza troppo la testa – tentando di attirare l’attenzione su di sé e di mostrare il proprio lavoro al mondo – il resto della Germania si fa immediatamente sospettoso e tenta di farlo rientrare nei ranghi.
  • (Gli indios) Avevano inoltre una genuina comprensione della propria storia e del perché si fosse arrivati al punto in cui si era. Una volta mi hanno confidato che la conquista spagnola aveva costituito un autentico shock per loro. Era come se creature da un altro pianeta fossero atterrate con delle navi spaziali e avessero conquistato il mondo. Ogni indio sentiva questa cosa dentro di sé.
  • Sono fermamente convinto, e lo dico sotto forma di massima, che tutti gli strumenti a nostra disposizione, tutte le apparecchiature che si stanno affermando nel contesto dell’attuale evoluzione dei mezzi di comunicazione, annunciano il nostro ingresso in un’era di solitudine. L’aumento della solitudine sarà direttamente proporzionale al rapido aumento delle forme di comunicazione a nostra disposizione – che siano fax, telefono, e-mail, internet o altro. Può suonare paradossale, ma non lo è. I mezzi di comunicazione ci fanno uscire dall’isolamento, ma l’isolamento è ben diverso dalla solitudine. Quando sei sorpreso da una bufera di neve nel South Dakota, a ottanta chilometri dalla città più vicina, il tuo isolamento può essere interrotto con un semplice telefono cellulare. La solitudine è invece qualcosa di più esistenziale.
  • È bellissimo constatare come l’intero continente australiano sia in qualche modo pervaso da una sorta di rete fluviale costituita da sogni o “Vie dei Canti”. Gli aborigeni usavano cantare una canzone mentre viaggiavano e attraverso il ritmo della canzone descrivevano il paesaggio. Il mio amico Bruce Chatwin una volta ha viaggiato con loro in macchina e ha raccontato che avevano accelerato il canto – come se tu mandassi avanti un nastro magnetico a una velocità dieci volte superiore a quella normale – perché la macchina procedeva rapidamente e il ritmo della canzone doveva mantenersi al passo con il paesaggio. Ci sono cose degli aborigeni che non afferreremo mai e che sono magnifiche.
  • In Ghana (…) la schiavitù è ancora un argomento tabù, a differenza del colonialismo. Negli Stati Uniti e nei Caraibi, così come in Brasile, c’è un grande dibattito intorno alla schiavitù. In molte parti dell’Africa, invece, la ferita della schiavitù è così profonda e dolorosa che quasi non se ne parla in pubblico. È un argomento che non viene pressoché mai trattato esplicitamente. Ho sempre avuto il sospetto che una delle ragioni di ciò stia nel fatto ormai accertato che i regni africani erano coinvolti nella tratta degli schiavi quasi quanto i trafficanti bianchi. C’era anche un notevole commercio di schiavi tra il mondo arabo e l’Africa Nera e tra le stesse azioni africane.
  • Si pensi ai nazisti in Germania. I tedeschi erano persone dignitose, grandissimi filosofi, compositori, scrittori e matematici. E, nell’arco di soli dieci anni, hanno dato luogo alla barbarie più terribile che si sia mai vista.
  • Sul set di Fitzcarraldo un boscaiolo è stato morsicato da un serpente mentre tagliava un albero. Un evento del genere aveva luogo forse una volta ogni tre anni, nonostante di solito centinaia di boscaioli lavorassero nella giungla a piedi nudi con le loro motoseghe. I serpenti scappano spontaneamente a causa del rumore e dell’odore di benzina. All’improvviso un serpente velenoso e letale ha morso il nostro operaio due volte. Ci vogliono solo un paio di minuti perché sopravvenga l’arresto cardiaco. Il boscaiolo, dopo averci pensato per qualche secondo, ha preso la sega e si è tagliato via il piede. La sua prontezza gli ha salvato la vita, dato che l’accampamento e il siero erano a venti minuti di distanza.

Incontri alla fine del mondo di Werner Herzog

La madre di Herzog disse: “Quando era a scuola Werner non imparava niente.

Non leggeva i libri che gli venivano assegnati, non studiava e non sapeva ciò che ci si aspettava da lui. O almeno così pareva. In realtà, Werner sapeva sempre tutto. I suoi sensi erano incredibilmente acuti. Se sentiva un rumore, dieci anni dopo lo ricordava con precisione, ne parlava e magari lo usava in qualche modo.

Ma è del tutto incapace di fornire spiegazioni. Lui sa, vede, capisce, ma non riesce a spiegare. Non è la sua natura. Ogni cosa gli penetra dentro. Se poi viene fuori di nuovo, ne esce completamente trasformata”.

 

Marco Sommariva

marco.sommariva1@tin.it

 

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