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Recensione : Infection Code – In.r.i.

INFECTION CODE-IN.R.I. // Rumore, ossa rotte, sogni che si perdono nelle pozzanghere davanti alle fabbriche o ai centri commerciali, il magnifico ritorno di un gruppo che non può passare inosservato.

INFECTION CODE-IN.R.I.

Tornano con un disco capolavoro i piemontesi Infection Code, uno dei gruppi italiani controcorrente più longevi ed originali. IN.R.I. è un disco che è uno spartiacque nella carriera del gruppo, dato che è cantato in inglese dopo molti lavori in italiano, e vede una formazione nuova e con cambi importanti.

Ogni loro nuova uscita è un unicum, un lavoro che nasce dalla rabbia e dalla catarsi necessaria a far uscire il tutto, e c’è tanto da far uscire. Il cantante e autore dei testi Gabriele è una persona che sa bene cosa vuole fare e dove ci vuole portare, e con questo disco ci riesce benissimo.

Le composizioni sono tutte di ampio respiro, la traccia più breve è di cinque minuti e ventiquattro secondi, ma non bisogna intenderla come lunghezza ma come sviluppo di temi e suggestioni.

Tutto avanza molto bene in questo disco, il tragico quadro si dipana passo dopo passo, morte dopo morte, non c’ è salvezza.

I suoni del disco sono prodotti molto bene, con la cura che gli Infection Code mettono in ogni cosa che fanno. La nuova formazione giova molto al loro proposito di continuare a propagare rumore e ribellione musicale e non solo.

Rispetto al precedente Dissenso la musica si fa ancora più tetra e torna ad essere maggiormente metal, ma è sempre un grido industrial declinato in maniera diversa. La voce taglia carni e membra, mentre la musica è una carneficina di sogni, e tutto funziona molto bene. IN.R.I. è come prendere la famosa pillola di Morfeo in Matrix, come là anche qui la matrice si può vedere solo soffrendo.

Il disco è un universo di sofferenza, ma anche di studio della socialpatia che ci affligge, un guardare straniti e distanti un mondo che sta morendo mangiandosi da solo, e questa è in realtà una splendida e terribile musica funebre. Il lavoro è forse il migliore della loro discografia, ed è da considerare ben più di un disco, perché abbraccia temi e sentimenti molto alti.

Musicalmente ci sono molti riferimenti ma forse quello più azzeccato potrebbe essere quello dei non umani Meshuggah, soprattutto per l’incessante groove che caratterizza i due gruppi, ovvero quella continua radiazione di fondo che non lascia mai tranquilli e che ci può salvare. Rumore, ossa rotte, sogni che si perdono nelle pozzanghere davanti alle fabbriche o ai centri commerciali, il magnifico ritorno di un gruppo che non può passare inosservato.

Rumore, ossa rotte, sogni che si perdono nelle pozzanghere davanti alle fabbriche o ai centri commerciali, il magnifico ritorno di un gruppo che non può passare inosservato.

Davide – Basso
Gabriele – Voices
Riki-Drums – Electronics
Max – Guitars

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