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Recensione : Interstatic – Interstatic

I dieci brani qui presentati faranno certamente la gioia degli amanti della musica tecnica, ma lasceranno delusi tutti coloro che speravano di trovarci anche emozioni e passione.

Roy Powell, Jacob Young e Jarle Vespestad, ormai adottato il nome Interstatic, ritornano con un secondo lavoro omonimo. Il disco, composto da dieci brani, si sviluppa mettendo prevalentemente in luce le abilità tecniche del trio.

L’album si apre con le emotive note in progressione (su terreni algidi e impersonali) di Still, seguite dalla vivacità ritmica e dai timidi e soffusi suoni della successiva First Vision.
Flatland 1, ancor più delicata e schiva, scorre morbida e riflessiva, cullando con le sue ritmiche, gli accenni di chitarra e i paesaggi creati dall’organo, mentre Washed Up, dall’animo più cupo, teso e fragoroso, lascia ampio spazio agli sfoghi di chitarra elettrica (seppur piuttosto fini a sé stessi).
Reel Time rimette la testa a posto, riaffondando le radici in sonorità ben più tranquille e aprendo alla giungla ritmica di Interstatic (in cui organo e chitarra vagano dispersi). Water Music, più minimale ed essenziale nel suo svilupparsi, raccoglie tutta la nostra attenzione per canalizzarla poi nella vivace e complicata The Elverum Incident, mentre Americana, giunti a fine disco, propone meno di due minuti di ritmica sghemba e chitarra improvvisata, lasciando che a concludere ci pensi Flatland 2 con il suo animo delicato e malinconico.

I tre nord europei sfornano un disco decisamente consistente dal punto di vista tecnico e qualitativo, ma piuttosto carente dal punto di vista comunicativo ed emotivo. I dieci brani qui presentati faranno certamente la gioia degli amanti della musica tecnica, ma lasceranno delusi tutti coloro che speravano di trovarci anche emozioni e passione.

Tracklist:
01. Stills
02. First Vision
03. Flatland 1
04. Washed Up
05. Reel Time
06. Interstatic
07. Water Music
08. The Elverum Incident
09. Americana
10. Flatland 2

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