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INTERVISTA A MASSIMO DEL POZZO

Ci sono persone che, in un mondo ideale, andrebbero tutelate come patrimoni dell’Unesco perché, con la loro decennale opera meritoria ed encomiabile – in Italia e nel mondo – mantengono ancora vivo il fuoco della passione per specifiche scene musicali e mondi vintage con oltre mezzo secolo sul groppone, ma eternamente giovani nello spirito e nell’anima. Una di queste, sicuramente, è Massimo Del Pozzo, una figura fondamentale nella sua attività di divulgazione e diffusione di sonorità di stampo Sixties come il garage rock, freakbeat, psichedelia, soul, surf, mod e universi affini. Barese di nascita, ma trapiantato a Roma, con un’esperienza di 35 anni dedicata alla causa della musica indipendente, tra militanza in varie band, i tour e collaborazioni leggendarie, la benemerita label Misty Lane Music (in passato anche garage fanzine e rivista musicale, oggi online mailorder e coadiuvata dalla gemella Teen Sound Records) con oltre trecento produzioni all’attivo e connotata da un particolare gusto per le uscite discografiche dell’universo beat, garage rock e neopsichedelia, ma anche editore/autore di libri e organizzatore di festival. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata.

InYourEyes: Ciao Massimo! Innanzitutto volevo ringraziarti, a nome mio e di tutta InYourEyes, per la disponibilità e il tempo che hai scelto di dedicare alla nostra webzine. E ti rinnoviamo i complimenti per tutto quello che continui a fare da decenni, perché al giorno d’oggi è sempre più raro trovare persone che come te perseguono, con passione e dedizione, quella che è una vera e propria “missione”, provando a tenere la barra dritta nella divulgazione, promozione, recupero e tramandamento della scena musicale e culturale neo-sixties attraverso una label ormai veterana come la Misty Lane Music. Dopo tutti questi anni di militanza sui vari fronti della barricata (in veste di musicista, editore, organizzatore, gestore/venditore) senti che l’energia e l’entusiasmo siano rimasti sempre gli stessi rispetto ai tuoi inizi? 

Massimo Del Pozzo: Grazie mille, fa piacere che venga riconosciuto il mio impegno e la mia passione. Quest’anno in particolare, trattandosi del trentacinquesimo anniversario della nascita di Misty Lane, ho potuto riscontrare come tutto questo tempo dedicato alle produzioni discografiche, i libri, la fanzine e, in generale, alla Scena Sixties/Garage mi é stato ripagato da ottime recensioni ed articoli usciti un po’ dovunque nel mondo. Io continuo a metterci la stessa passione dei primi tempi, a volte anche di più. Semplicemente amo fare il mio lavoro e immergermi quotidianamente in tutte le attività che lo compongono, dall’aspetto creativo della grafica, a quello strettamente musicale nel preparare i master da mandare in stampa, ai rapporti con chi sostiene il nostro lavoro sui social per finire al packaging e alle spedizioni di dischi e libri quasi quotidianamente. Occuparmi di Misty Lane in questi anni é sempre stata ed resta la prima cosa che faccio appena sveglio e l’ultima prima di dormire. Ovviamente negli anni ci sono stati alti e bassi, in concomitanza con le fasi della mia vita ma anche e direi soprattutto in relazione all’andamento della scena musicale nella quale mi sono mosso. Ho cercato di imparare mentre svolgevo tutte le mansioni che fanno parte indissolubilmente della gestione di un’etichetta discografica, di una rivista indipendente, dell’organizzazione di concerti e festival, tour e infine dell’avere una band che registra dischi e va in giro a suonare. Sono state tutte esperienze vissute con molta passione alle quali ho dato tutto me stesso senza aspettarmi necessariamente nulla in cambio, ciò che hanno reso é stato nuovamente reinvestito nell’andare avanti. Credo che questo, come avviene in tutti gli altri ambiti lavorativi del resto, sia quello che si definisce una attività soddisfacente. Ho raggiunto quindi in modo molto naturale alcuni risultati che, in tutta onestà, non avevo calcolato a tavolino. Lavoro da sempre d’istinto, non sono un programmatore, anche se credo, a modo mio, di aver dimostrato di avere le idee chiare.

IYE: La tua vita musicale è così piena di avvenimenti ed esperienze che meriterebbe di essere raccontata in un documentario o un libro. Dal tuo punto di vista, ci sono sostanziali differenze tra il suonare e andare in tour con una band (o da soli), il gestire un’etichetta musicale e organizzare festival musicali? 

Massimo Del Pozzo: Magari in futuro potrei scrivere le mie vicende e aneddoti in una rubrica a puntate sul vostro blog! Di fatto da più di dieci anni mi sono ritagliato del tempo per documentare quello che stavo facendo, in particolare con la mia compagna Alessandra Monoriti, che é al mio fianco anche nelle varie attività di Misty Lane Music. Abbiamo fatto molti viaggi di lavoro organizzando e/o partecipando a Festival, fiere del disco, ben due Coast to Coast negli USA e un lungo viaggio fino a Oslo solo per conoscere di persona negozi di dischi, produttori discografici e musicisti. Tutto questo é stato fissato in decine di migliaia di foto e centinaia di free di riprese video in tutta Europa, fino a Los Angeles e New York, dove abbiamo intervistato tra i tanti anche Shelley Ganz degli Unclaimed e Miriam Linna della Norton Records, e mentre viaggiavamo sono spuntati come funghi personaggi di tutti i tipi che, in un modo o nell’altro, gravitano attorno al nostro mondo musicale, in scene tra le più disparate ma accomunati tutti da una passione infinita per il rock’n’roll. Spero vivamente che questa sorta di documentario, nato da un progetto prima RAI, poi SKY, un giorno o l’altro possa vedere la luce del sole, in tutta onestà lo meriterebbe davvero. Per quanto riguarda scrivere libri al momento, dopo la bellissima esperienza dell’autobiografia di Greg Prevost (cantante dei Chesterfield Kings) pubblicata da Misty Lane, ho in mente alcuni altri libri da realizzare, prima di scriverne uno io. Per rispondere alla tua domanda, beh, ci sono tante differenze tecniche ma tutte queste attività prevedono sempre ciò di cui parlavamo prima, una grande passione e un atteggiamento che includa positività e una certa dose di follia, senza la quale non ci si muoverebbe da casa e si starebbe comodi sul divano a commentare le attività altrui invece di rimboccarsi le maniche e FARE cose. Nello specifico, avendo gestito, solo per pochi anni, tour dei Fuzztones o GONN e dei miei OTHERS, non posso assolutamente definirmi né un tour manager né un organizzatore di eventi. Nello specifico, ho fatto e so fare queste cose, ma farlo per lavoro ogni giorno per anni é altra cosa che occuparsene in rare occasioni. Credo di aver fatto un buon lavoro, e anche oggi, a distanza di anni, mi chiedono spesso, dagli USA in particolare, di organizzare tour e serate per artisti che vogliono venire a suonare in Italia e Europa. Quando ci sono gli estremi per farlo, sono sempre felice di mettermi alla prova. L’ultima avventura, in termini temporali, é avvenuta solo pochi mesi fa, organizzando delle date a Steven Crabtree, cantante dei LosAngelini THE THINGS (il cui manifesto Paisley Underground del 1984, “Coloured Heaven” é stato ristampato dalla mia Teen Sound records). Suonare con Steve, sia con la mia nuova band Thee Sydes, che in duo acustico, mi ha costretto a uscire dalla caverna e risalire su un palco dopo 14 anni. Non é stato facile smontare in sella, ma alla fine tutto é andato in porto e ne é valsa la pena, sicuramente. Suonare dal vivo può essere stressante se fai passare anni tra un’esibizione e un’altra, ma questo, in un Paese come l’Italia, può avvenire facilmente, visto che per il genere musicale di cui mi occupo io, non ci sono moltissime opportunità. Per quanto riguarda una “carriera” solista, posso dirti che non mi sono riuscito ancora a confrontare con date in acustico da solo sul palco, non che non ci abbia provato, ma forse non é la formula più adatta a me. Posso farlo con grande divertimento e piacere per pochi amici, ma non mi sento un one man band, quindi se non ho le persone giuste con le quali suonare, preferisco studiare, migliorare, comporre e registrare per fatti miei. Avere una band significa, almeno per me, creare una certa magia e avere di base un feeling che accomuna i musicisti, un linguaggio non scritto che, o si crea, o non puoi ottenerlo a tavolino, tantomeno con effetti pedali o autotune. Dopo tanti anni, mi sono finalmente lasciato andare, grazie anche all’insistenza del mio amico Paolo Muti (al basso) e di Gert Dal Pozzo alla batteria (no, non siamo parenti…) e abbiamo creato una nuova piccola band, Thee Sydes, e nei prossimi mesi vedremo cosa succederà.

massimo del pozzo - INTERVISTA A MASSIMO DEL POZZO

IYE: Da diversi anni a questa parte hai al tuo fianco una nuova compagna di viaggio in questa avventura di musica (e di vita) Alessandra a curare gli aspetti grafici-estetici, mediatici e iconografici della label. Quanto è importante il suo contributo artistico? E quanto è inossidabile il legame che unisce immagine e musica?

Massimo Del Pozzo: Con Alessandra siamo insieme da tredici anni. Viviamo molto intensamente questa relazione personale e artistico-lavorativa, mettendoci tanta energia e la giusta dose di follia che, come dicevo prima, sono due elementi necessari per vivere, come facciamo noi, di musica, se vuoi, “da artisti”, concedimi l’espressione che ormai ha un’eccezione purtroppo negativa, ma in realtà ci rispecchia pienamente. Alessandra é laureata in Filosofia e, da sempre, ha coltivato la sua passione per il disegno, la pittura e, da una decina di anni, anche l’incisione e le arti grafiche in generale. Al di fuori degli aspetti strettamente lavorativi, queste sono le sue passioni e, ogni volta che può, scappa in laboratorio a incidere, insegna all’accademia d’arte e, quando siamo in viaggio, non perde una mostra o un museo che possa interessarla. Io la seguo, e cerco di imparare qualcosa del suo mondo, come fa lei con il mio. Alessandra ha creato alcune delle più belle copertine dei nostri dischi. Molte uscite su Misty Lane o Teen Sound non sono state fortunate dal punto di vista grafico quando ero solo io a occuparmene, prima di conoscerla; il suo contributo ha aperto le porte ad una visione decisamente più “d’artista”, magari richiedendo delle tempistiche più lunghe per giungere a conclusione di un disco, ma é un prezzo che si paga volentieri quando si ricerca qualcosa di bello, un “tutto” che richiede che l’udito e la vista si incontrino e si fondino, o quanto meno trovino un giusto equilibro, che una cosa sostenga l’altra. Lavoriamo spesso per concept, ed é un tempo speso bene a mio avviso.

massimo del pozzo - INTERVISTA A MASSIMO DEL POZZO

IYE: Tra le più recenti uscite su Misty Lane/Teen Sound c’è il nuovo album dei californiani Unclaimed, i prime-movers per eccellenza del Sixties garage revival. E, inevitabilmente, il pensiero non può non andare al frontman e leader della band, Shelley Ganz, che hai conosciuto negli Stati Uniti e che, purtroppo, ci ha lasciati qualche mese fa. Che ricordi hai di lui?

Massimo Del Pozzo: E’ successo a gennaio, e devo dire che ancora non me ne capacito, proprio per via del fatto che negli ultimi dieci anni eravamo molto vicini, ci sentivamo molto spesso, soprattutto di notte, per stare agli orari di Los Angeles. Posso dirti che, oltre ad aver amato Shelley nelle vesti di leader degli Unclaimed, ho sempre provato grande stima per la sua figura di outsider, di amante dei Sixties, ossessionato dalla ricerca di un suono, di un’estetica al punto di non “perdersi” dietro a mode passeggere, ma restando fedele a una linea, creando di fatto un percorso che poi in tanti abbiamo seguito dal 1980 in poi. Lo paragono a Greg Prevost dei Chesterfield Kings che, come Shelley, ha calcato palchi vestito così come ha vissuto nel suo quartiere, rocker fuori dal tempo, dagli schemi che sono diventati leggendari semplicemente grazie al fatto di essere stati se stessi. E’ facile e banale credere che queste icone siano, in realtà, solo delle copie di modelli del passato, ma in realtà sono figure fondamentali per tenere il conto del tempo che passa e di ciò che, purtroppo, spesso si perde nel giro di pochi mesi o anni, così come é successo alle garage band a cavallo tra il 1965/67 che sono state per fortuna ripescate per un pelo nel 1972 grazie alla compilation “Nuggets” di Lenny Kaye. Di lì in poi, é stato grazie a gente come Shelley e Greg Prevost che si é potuto mantenere vivo un sound, un look e un’attitudine, fino ad oggi. Se possiamo assistere a un Festival Beat da 30 anni in Italia, lo dobbiamo a loro, a etichette come la VOXX di Greg Shaw e alla Norton di Billy Miller e Miriam Linna, a Tim Warren della Crypt. Shelley era una persona gentile e disponibile, e la sua energia di animale da palco negli anni aveva lasciato il posto a un’anima sensibile, provata da anni di depressione e allontanamento anche dalla propria scena LosAngelina, certo, ma in grado di riprendere il filo in ogni momento, e i concerti dell’ultima formazione degli Unclaimed ne sono stati la prova. Quando l’ho incontrato dieci anni fa a San Francisco, era proprio in occasione della ripresa di attività della band che, da allora, non si era più fermata. Due anni dopo ci siamo visti a Los Angeles, e l’ho intervistato per alcune ore mentre sorseggiava un thè e si gustava una zuppa nel suo locale preferito, da Canter’s Deli, a Hollywood. Ci siamo abbracciati, convinti di rivederci, e invece a gennaio, proprio quando sarebbe stato forse pronto a tornare in Europa per presentare il nuovo album degli Unclaimed, ci ha lasciati. E’ stato un brutto colpo per tutti noi della scena, a distanza di mesi io e Mike Stax non ci scriviamo mai senza ricordare, anche solo con una parola, il caro Shelley Ganz. Di persone come lui non ce ne saranno mai più. Per me rimarrà una grande fonte di ispirazione e sono molto orgoglioso di aver potuto realizzare il mio sogno, quello di poter ristampare tutta la sua discografia, un nuovo album e diventare suo amico. Quando, nel 1994, chiesi a Mike Stax il numero di telefono di Shelley, non avrei mai immaginato di arrivare a questo punto ma, come ti ho detto, sono abbastanza cocciuto.

massimo del pozzo - INTERVISTA A MASSIMO DEL POZZO

 

IYE: Tra le tante cose e fatti encomiabili da te realizzati, portati a termine e/o posti ancora in essere, vorrei soffermarmi soprattutto sul fatto che tu abbia avuto il privilegio di suonare insieme ai summenzionati Fuzztones (e a Rudi Protrudi, nel suo progetto surf strumentale dei Jaymen) che tu conosca e sia in contatto con figure leggendarie come Mike Stax e che abbia curato la succitata biografia di Greg “Stackhouse” Prevost, frontman degli altrettanto seminali Chesterfield Kings. Di certo sono traguardi e avvenimenti che non capita di raggiungere e vivere tutti i giorni, anzi, spesso rappresentano i classici treni che passano una sola volta nella vita, e richiedono coraggio, bravura e fortuna per essere colti al volo. Puoi raccontarci le emozioni che hai provato?

Massimo Del Pozzo: I nomi da te citati, assieme a molti altri, da Wally Tax degli Outsiders a Craig Moore dei GONN, ai tanti grandi ma dimenticati membri di gruppi 60s e 80s Garage con i quali ho avuto il piacere di instaurare una vera e propria amicizia – non per ultimo Steve Crabtree dei Things di Los Angeles (band che da sempre amo alla follia) – sono stati tutti per me di grande inspirazione, a volte semplicemente a livello inconscio. Hanno gettato le basi per la costruzione di una vita dedicata a studiare, scoprire, approfondire una cultura, un suono, un look, un messaggio. Con la fanzine Misty Lane, con le produzioni discografiche, la vendita di dischi, i miei Dj set e infine sul palco suonando con The Others, the Tyme Society, The Trypps, A’Dam Sykles e oggi con Thee Sydes e, infine, condividendo il palco con nomi illustri del passato; essere sul palco con i Fuzztones, Leighton Koizumi dei Gravedigger V e James Lowe degli Electric Prunes non é un’esperienza fuori dal comune, é una cosa fuori di testa… Aver “riportato in vita” Rudi nel 1999, facendogli fare un tour di rientro sulle scene con gli Others o diventare il chitarrista dei GONN, registrare un disco con loro a Roma… sono tante le belle avventure vissute. Andare a sentire gli Unclaimed a San Francisco e incontrare Shelley Ganz, passare ore al telefono con lui in lunghe chiamate intercontinentali… chi lo avrebbe mai detto, quando andai a comprare il loro EP su Moxie, dopo aver letto di loro su Lost Trails, la fanzine di Claudio Sorge, che un giorno avrei ristampato tutta la loro discografia? E’ stato un lungo percorso. Avevo dei sogni nel cassetto, ho solo cercato di realizzarli, e in buona parte ci sono riuscito. Con qualcuno di questi “nomi” sono rimasto più da vicino, sono diventate persone che sento al telefono o con cui chattiamo frequentemente, anche al di fuori di questioni legate alla musica. Hanno trovato in me un amico leale, non solo il fan/stalker che voleva esibire una foto con il suo mito. Dai tremori iniziali alla presa di coscienza di aver fatto qualcosa di bello e importante, non solo per me, ma per la scena musicale a cui appartengo, e per i musicisti coinvolti. Dopo tutto, un buon risultato per un hobby durato oltre trent’anni.
Massimo Del Pozzo: Ci sono stati molti cambiamenti nell’attitudine dei musicisti con i quali mi confronto, al fine di realizzare un disco o un qualche progetto. Per lo più, nelle nuove leve, vedo molta arroganza, il convincimento di poter fare da soli, di non aver bisogno di consigli o di figure come quella del produttore o della label. D’altra parte, é proprio dalla label che si pretende di più di quanto possa effettivamente fare un’etichetta che dovrebbe occuparsi per lo più, se non esclusivamente, di realizzare un disco e farlo conoscere sul mercato. Le label devono assicurare, o quanto meno promettere, di poter dare una visibilità che richiede mezzi e costi che non sono alla portata dell’underground. Agenzie per concerti, press e quant’altro oggi si ritiene fondamentale per uscire allo scoperto, hanno fatto in modo che la bravura dell’artista, da una parte, e la dedizione di chi segue il disco fase per fase, vengano ritratti. Ne risente il risultato artistico. C’é troppa “fuffa” legata alle necessità di apparire in un certo modo, sui social, che va proporzionalmente a discapito del progetto, ovvero realizzare un bel disco, farlo recensire, sentire in radio. Tutto il discorso relativo a tour, promozione live e social non ha necessariamente a che fare con l’etichetta discografica, é una questione che, storicamente, non é mai stata cruciale, se non necessariamente imputabile a un label. Esistono figure diverse che se ne occupano, e come nel caso della label, di un manager, fonico, o della road crew, sono figure che vanno pagate. Il punto é proprio questo, nel nostro Paese si paga poco e non si crede nella cultura rock, siamo legati indissolubilmente alla forma della canzone pop, cantautoriale e negli ultimi anni nel tentativo di svecchiare l’aspetto musicale del paese a forme di “modernizzazione” a mio avviso del tutto involutive dal punto di vista artistico e musicale.
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