A volte, purtroppo sempre più raramente, arriva un gruppo o un solista che butta giù il vetro della vetrina nella quale viene esposta la musica di questi tempi, e ne nasce qualcosa di dirompente e fresco. Questo è il caso dei triestini Katana Koala Kiwi, che con il loro ep di debutto “Per farmi coraggio mi sono buttato dal piano terra” mettono assieme Post-Rock, Shoegaze, Emo e Post-Punk in una formula assai energica, qualcosa di molto fresco e decisamente piacevole. Grazie a Morgana di Conza abbiamo fatto due chiacchiere con loro, e le loro risposte sono come la loro musica.
Ciao, ci potete raccontare come è nato il gruppo e da dove viene il vostro bellissimo nome ?
Pie: Il nucleo originario nasce quasi dieci anni fa da un power trio, del quale permangono ad oggi Ale e Andrea, a cui poco dopo mi sono aggiunto io. Successivamente si è unito Lorenzo alla batteria e per ultimo, a completare la formazione odierna, Gibbo al basso. Da quel momento abbiamo sentito che era il giusto gruppo di persone per intraprendere l’avventura. Il nome è stato cambiato molte volte nel corso del tempo, questo che abbiamo deciso di tenere nasce da uno scherzo ma ha anche una velata natura provocatoria. Saremmo felici se un domani la sigla venisse associata ad amore e cultura invece che ad odio e discriminazione.
Come definireste la vostra musica ?
Pie: Mi riesce molto difficile definire a parole la nostra musica, solitamente a noi piace chiamarla post-zima.
Ale: Post zima è quella sensazione salina che ti rimane sulla pelle dopo una giornata di Bora. Se devo richiamare a dei generi più conosciuti direi un connubio tra Post-Rock, Shoegaze, Emo e Post-Punk.
Andre: Questi sono sicuramente i generi che ci hanno influenzato di più, ma ognuno di noi ascolta tante cose diverse e anche opposte, che cerchiamo di far confluire nella nostra identità musicale.
Come è stato creato questo lavoro ?
Pie: L’EP è una raccolta dei brani più rappresentativi del primo periodo del gruppo. Pur partendo da un’eterogeneità di fondo, in quanto i brani sono stati scritti e arrangiati in periodi molto diversi, si è cercato di dare una coerenza all’opera in fase di registrazione, mix e master. Per noi rappresenta la fine di un capitolo e l’inizio della prossima fase del nostro percorso.
Ale: E’ nato sicuramente dall’esigenza di esprimersi.
Secondo voi in questi tempi come può essere accolto il vostro disco ?
Pie: Difficile fare pronostici, sicuramente speriamo che la nostra musica riesca a comunicare con qualcuno e a trasmettere qualcosa di positivo.
Ale: Spero venga accolto per quello che è. Un messaggio diretto e trasparente, senza doppi fini.
Andre: Senza esagerare troppo, abbiamo riconosciuto che le persone che hanno ascoltato questi brani hanno rivisto in loro una buona parte delle emozioni e delle sensazioni che abbiamo voluto trasmettere. Questa è una buona cosa, vuol dire che in una qualche maniera riusciamo ad arrivare.
Trieste, per voi cosa è ?
Pie: Casa.
Ale: Un quadro bellissimo. Tanto intriso di nostalgia quanto di immobile quiete.
Andre: La parte più fondamentale della mia identità in quanto persona in cerca del suo posto nel mondo. Il luogo dove sono cresciuto, che mi ha formato, pur non avendo legami di sangue e parentela.
In quale maniera convogliate le vostre diverse esperienze sonore e i vostri ascolti ?
Pie: Sono convinto che uno dei nostri pregi maggiori sia quello di avere gusti e punti di vista spesso molto diversi. Negli anni abbiamo imparato ad avere un dialogo sano e costante, grazie al quale proviamo a trovare sempre punti di incontro tra i nostri mondi, che spesso ci portano ad esplorazioni inizialmente inaspettate.
Ale: Prima di tutto siamo un gruppo di amici. Confrontarsi, dialogare e sperimentare è la cosa che più mi piace del fare musica.
Secondo voi la musica può ancora essere divisa fra mainstream ed underground ?
Pie: Per quanto non sia propenso ad etichettare la musica è evidente che ci sia musica prodotta con il solo scopo di vendere ed avere successo ed altra destinata a rimanere per sempre chiusa nella sua nicchia. È una divisione molto riduttiva però, la maggior parte della produzione musicale sta nello spettro in mezzo.
Ale: Non lo so, non me lo sono chiesto molto ultimamente. Ultimamente mi chiedo solo quanta musica sia sincera e quanta no. Quanta gente crede fermamente in quello in cui canta? Non ho una risposta.
A partire dal vostro nome siete molto ironici, e meno male, non sentite tanta pesantezza in giro ?
Pie: No, anzi penso che spesso si tenda sempre più spesso a trattare temi ‘pesanti’ con eccessiva leggerezza.
Ale: La violenza, l’odio e l’aggressività stanno diventando un codice ed un linguaggio sempre più comuni. In quel senso sì, l’aria a volte è pesante da respirare. Noi forse ricerchiamo uno degli aspetti più semplice del fare musica: lo scambio di storie ed esperienze.
Grazie mille !