Dalla prefazione di William Fifield (scrittore e giornalista statunitense): “Questi colloqui con Jean Cocteau hanno avuto luogo il 9 giugno 1962 nella villa Santo Sospir, a Saint-Jean-Cap-Ferrat. Erano iniziati durante il pranzo, a tavola (…). Quando lo interruppi, per paura di farlo stancare troppo, e nonostante le sue proteste, erano circa le venti. Il colloquio era durato otto ore, ed è stato riprodotto nel testo pubblicato qui di seguito. (…) Continuo ad avere un po’ l’impressione che volesse lasciarmi una specie di testamento verbale; aveva ricevuto degli avvertimenti e avuto qualche premonizione. Si era mostrato molto affettuoso, di facile commozione.”
Jean Cocteau morì l’11 ottobre 1963.
Potrete leggere passaggi come questi:
- I bambini e gli eroi vivono solo di disobbedienza. (…) Ma se si è troppo liberi, non c’è più possibilità di disobbedire. Ora, siccome attualmente la gioventù è libera di fare quello che vuole, non ha la possibilità di rivoltarsi, ed è nella rivolta e nella disobbedienza che si trova la forza di creare.
- Al giorno d’oggi il genio è collettivo: quando si costruiscono dei missili che si sollevano da terra per salire verso la Luna, si tratta del risultato di un genio collettivo, non trova?… Allora, ci sono necessariamente sempre più persone che lavorano alla stessa cosa, e il genio individuale viene corretto da tutta questa gente che deve tenersi il posto, essere pagata e fare il proprio mestiere. (…) l’individuo è considerato come un nemico.
- Ho ritrovato una Monaco che non riconoscevo. Era una città d’arte, dove ci si occupava solo di quello, e ho ritrovato un posto dove si balla il twist, e si pensa più alla propria auto che alle opere d’arte. Anche i Paesi cambiano. Spesso, ci si rivolge a una gioventù che ha fame e sete, essendo stata privata di intelletto e di poesia, e poi, di colpo, il Paese diventa ricco, si interessa solo a far gozzoviglie e alle auto e non ti ascolta più, non è più sensibile, non è più aperto a quella fame e a quella sete di poesia e di intelligenza che aveva.
- (…) Radiguet mi ha dato una grande lezione; mi ha detto: “Non è mai il pubblico di massa che va contraddetto, ma l’avanguardia”, perché riteneva che quest’ultima iniziasse in piedi finendo per sedersi molto rapidamente, diventando allora un’abitudine, un accademismo. Per esempio, quando sono entrato all’Académie ho accettato l’offerta che mi hanno fatto di entrarci, perché per me era un modo di lottare contro il conformismo anticonformista; l’anticonformismo era diventato il conformismo del nostro tempo.
- La novità vera disturba le abitudini, e le persone detestano che le loro abitudini vengano disturbate e che si cambino le regole del gioco.
- (…) quando ero molto giovane (…) la destra e la sinistra avevano un senso artistico preciso quasi quanto ai tempi di Stendhal e di Shakespeare. Poi, le cose si sono un po’ ingarbugliate e la gente di destra è diventata di sinistra, e quella di sinistra di destra, non ci si capisce più niente… E destra e sinistra non hanno più un significato politico.
- L’uomo, avendo paura della polizia, mantiene un certo contegno, ma quando diventa lui stesso la polizia lo perde, e questo mi rattrista dal punto di vista umano, sono triste di appartenere a questa specie.
- Le persone vogliono vivacchiare, gettare un occhio, un orecchio sulle cose. Ascoltano senza sentire, leggono senza leggere: il titolo dei capitoli, una o due frasi, guardano senza vedere…
- Un giorno, un giornalista mi ha chiesto: “Chi sono, secondo lei, i più grandi artisti francesi?”, e senza rendermene conto, io ho risposto una cosa assurda, cioè: “Sono Picasso, Stravinskij, Modigliani”, non francesi capisce? Perché per noi si trattava di un patriottismo artistico, Montparnasse era un Paese, eravamo tutti compatrioti e non c’era politica, quella non esisteva.
- (…) ho fatto il giro del mondo con Chaplin, e non vuole uscire dall’albergo, non vuole lasciare il suo universo di povero pagliaccio. (…) Avevo già visto il suo film, Tempi moderni, ma un giorno siamo andati a rivederlo insieme a Tokyo, e c’era solo una cosa che lo interessava: un gatto che passeggiava per la strada… Quando gli ho parlato del suo atteggiamento e gliene ho chiesto le ragioni, lui mi ha risposto: “È perché sono diventato ricco recitando il ruolo di un povero”. Una cosa molto carina, ammirevole… “Perché sono diventato ricco recitando il ruolo di un povero”. E un giorno mi ha detto quello che racconto nel libro Cordon ombilical. Io gli ho chiesto: “Perché sei sempre così stanco?”, e lui mi dice: “Pensa al numero di schermi sui quali recito ogni sera”.
- Gli raccontavo delle storie molto belle che gli piacevano tanto. (…) Un giorno gli viene annunciato l’ambasciatore inglese, e lui dice: “Fatelo entrare”. L’ambasciatore entra, e lui non dice niente. Allora il diplomatico fa: “Sono l’ambasciatore inglese”. “Prenda una sedia”. Cala un silenzio di tomba. “Sono l’ambasciatore inglese…”. “Ne prenda due, allora”, gli risponde lui. Ecco le storie che piacciono a Charlie (Chaplin, nda).
- (…) le persone hanno la tendenza a ritenere frivolo tutto ciò che non è nel loro raggio d’attività.
Cos’altro aggiungere? Una curiosità. Ha raccontato Cocteau: “Un giorno mi hanno chiesto cosa avrei fatto se casa mia fosse andata a fuoco. Mi hanno chiesto: Cosa porterebbe con sé? Io ho risposto: Il fuoco.
Jean Cocteau secondo Jean Cocteau di William Fifield
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