Jesper Stein è stato giornalista d’inchiesta e inviato di guerra. Oggi fa il critico letterario, è membro attivo dell’Accademia danese del poliziesco e il suo libro, Il tempo dell’inquietudine, è stato giudicato come uno dei migliori thriller di sempre. Un commento inflazionato, spesso sprecato, che fa inarcare le sopracciglia. Eppure, leggere per credere.
Il tempo dell’inquietudine è un romanzo folgorante. Cinquecento pagine per un tempo della storia di una sola settimana (tranne l’ultimo capitolo, che è ambientato due mesi dopo lo svolgersi dei fatti principali). Un bel tomo da mettere in borsa.
Ma vi assicuro che non pesa fra le mani e non stanca la vista.
Pagina dopo pagina lo scrittore danese rapisce il lettore, lo trascina nelle dinamiche e nelle vite dei personaggi. Attraverso le righe, filtra la meticolosa costruzione dell’intreccio, influenzato enormemente dalle esperienze di vita dell’autore. I piani narrativi si mescolano e il testo rispetta la regola base di un buon romanzo: la narrazione di un intero universo. Molteplicità di situazioni e di relazioni. Dal piano personale, a quello contingenziale, a quello sociale e politico. Non manca nulla, ma niente sembra superfluo o fuori posto.
Axel Steen è un detective della sezione omicidi di Copenaghen. Vive a Nørrebro, uno dei quartieri più malfamati della città, quello dove nessun poliziotto vuole vivere, dove gli spacciatori si sentono a casa e dove imperversa la ribellione dei giovani di tutta Europa.
Axel Steen non è simpatico a molti. Non ha mai dimenticato Cecilie, l’ex-moglie che l’ha lasciato per un altro. Alla centrale i capi lo sopportano a malapena. È violento con testimoni e sospettati, parla con i giornalisti, usa metodi non convenzionali e non vuole mai tenere la bocca chiusa quando si tratta di raccontare verità scomode. Non perdona nessuno, non perdona se stesso.
Axel Steen è un colosso di cento chili, tutti in altezza, ma ha due piccoli segni di cerotto sul petto: sono quelli di un elettrocardiogramma recente. Il suo cuore fa le bizze, o almeno così a lui sembra. Ha il terrore cieco di morire. Per riuscire ad addormentarsi deve fumare uno spinello.
Solo la piccola Emma, la figlia di cinque anni, lo fa sentire meglio. Certo, non le dà tutte le attenzioni che merita, e la lascia vagare libera nell’obitorio (“Perché non dormono nei loro letti, papà? Cioè… insomma… perché dormono?”). Ma le vuole dannatamente bene.
Axel viene svegliato da un sogno bellissimo la notte del 2 marzo 2007. Strappato dalle oniriche braccia di Cecilie, si trascina al cimitero di Assistens. Hanno trovato un corpo. Un uomo è stato ucciso in una burrascosa notte di guerriglia, quando la maggior parte della forze di polizia di Copenaghen si trovava per le strade. In un luogo che doveva essere sorvegliato.
In città regna il caos. Gruppi di autonomi sfasciano vetrine, bruciano le auto. I manganelli non si fanno implorare e la stanchezza degli agenti si mescola alla rabbia più nera. I giovani stanno manifestando perché lo Stato vuole demolire la Ungdomshuset, “the Youth House”, dove sono soliti riunirsi ragazzi di estrema sinistra, abituali contestatori delle istituzioni e artisti della scena underground.
Come è possibile che qualcun abbia ammazzato un uomo in un luogo controllato senza soluzione di continuità? Potrebbe essere stato un insider, un poliziotto che si è lasciato prendere la mano? Le alte sfere tremano. In più la vittima porta passamontagna e anfibi militari: la divisa dell’autonomo. Cosa c’è in ballo? Quante sono le piste che Axel dovrà battere? Quanti piedi riuscirà a pestare? Una patina di apparenza nasconde un groviglio di verità diverse.
Basteranno sette giorni per districare la matassa. Ma le giornate sembrano avere trentasei ore. La corsa del protagonista non pesa mai sulle spalle del lettore che va in affanno per i continui cambi di ritmo.
L’atmosfera, i dettagli, la costruzione dei personaggi; non c’è bianco non c’è nero, c’è una malinconia costante, la violenza che dilaga, le difficoltà di una vita normale. Un equilibrio letterario perfetto che racconta una realtà imperfetta.
Una nota di merito va senz’altro alla traduzione di Lisa Rampanti. La scrittura in italiano è fluida e precisa. I dialoghi sono ben costruiti e non si ha mai la sensazione che qualcosa non vada.
Cercate l’inconfondibile estetica dell’abito Marsilio nelle librerie. Fate scorrere lo sguardo fino alla lettera S. Stein. C’è un nuovo re del thriller.