Jessica Bailiff ci presenta il suo nuovo lavoro, dal titolo infinito, “At The Down – Turn Jagged Rim Of The Sky”, realizzato al termine del suo recente tour, al ritorno a casa, riportandoci dolcemente indietro nel tempo, musica-flashback per riscoprire piacevolmente una carriera sempre nella penombra ma degna di considerazione e di lode.
Jessica ancora su Kranky, una collaborazione nata ormai nel lontano 1997 con una tape che stupì l’etichetta, decisa a reclutarla nel suo roster. Nel mezzo ci sono quattro album, sempre su Kranky, e “At The Down-Turned Jagged Rim Of The Sky” figura come il quinto, a meno di altre collaborazioni e progetti. Il precedente è, di fatto, “Feels Like Home” del 2006, seguito poi dall’EP “Since Always” del 2008, e da questi dati si evince che c’è voluta una lunga pausa, un silenzio discografico, per la cantante/cantautrice americana prima di riprendere il processo creativo, immersa come di consueto nella solitaria quiete, necessaria per un’artista fuori dai riflettori quale è lei.
Per la seconda volta dunque quelli della Kranky sono rimasti piuttosto stupiti quando una voce familiare ha bussato alla loro porta dicendo che aveva registrato un nuovo lavoro. L’album è stato scritto e registrato nel 2011 in una dimensione domestica, che gli conferisce anche un’impronta “lo-fi”, ed è poi passato per il mix finale nelle mani di un amico di Jessica, un certo Odd Nosdam, mica uno qualsiasi!! Odd è co-fondatore della Anticon nonché membro dei cLOUDDEAD e autore di una marea di progetti nell’ambiente alternative hip-hop, già attivo quest’anno nel produrre Serengeti, e che ha collaborato con Jessica a partire dall’album “Burner” del 2005.
La Bailiff rispolvera con la sua musica una bella fetta degli anni ’90, creando musica che è una sintesi di svariati elementi tipici della corrente più lenta e riflessiva del pop-rock di quegli anni: i riferimenti principali risiedono infatti nel dream-pop (coi vari Cocteau Twins, Love Spirals Downwards e così via), e nello slowcore, con particolare riferimento ai Low e compagnia bella, basti pensare che la giovane ragazza riuscì a entrare nel giro della band di Alan Sparhawk, e in breve egli divenne il suo mentore e padrino artistico, lanciandola nella carriera solista. L’altro riferimento importante riscontrabile nella sua musica è la dimensione cantautorale-folk, sempre però venata da un’impronta vagamente psichedelica che le conferisce ulteriore fascino.
Se risaliamo alle precedenti prove, in particolare alla trilogia di album (Hour Of The Trace – Jessica Bailiff – Feels Like Home), la Bailiff sembra quasi accantonare il songwriting folk, in favore di una melodia maggiormente pop con tastiere più spesse, riverberi e richiami allo Shoegaze.
“At the Down…”, e in generale la musica dell’artista da Toledo (quella americana), ripropone dunque una vecchia formula, ormai largamente usata e forse anche abusata ai giorni nostri, ma come si fa a non apprezzare e amare questa cantautrice sospesa in una dimensione atemporale, e la sua musica, che risponde alle caratteristiche di unire la dimensione onirica con i chiaroscuri e le inquietudini di un tenebroso romanticismo, adottando uno stile diretto e nudo, ma al contempo ricco di suggestioni.
Il risultato è una raccolta di canzoni in forma di ballate romantiche dark e spettrali, caratterizzate da una dimensione intima e introspettiva, con atmosfere eteree e un andamento slow-moving, delicate ma allo stesso tempo struggenti, caratterizzate da dissolvenze e rarefazione, tinte acquerello imprecise e sfocate.
A tutto ciò si aggiunge una voce particolare, che conferisce ai suoi brani evocatività e sensualità, tra sofferenza e dolcezza, un carezzevole sussurro o un grido soffocato e sofferto.
L’inizio con “Your Ghost Is Not Enough” è bellissimo, mette subito a proprio agio con il suo incedere lento e nostalgicamente romantico. “Take Me To The Sun” è invece più vivace e inneggiante, quasi shoegazing, mentre “Sanguine” e “If You Say It” rallentano subito i ritmi e dilatano l’atmosfera col loro incedere cadenzato e solenne. “Violets & Roses” continua su questa linea, con un suono più completo e avvolgente, mentre “This Is Real” diventa misteriosamente tenebrosa e spettrale. “Goodnight” è una ninnananna oscura dall’incedere quasi minaccioso, “Slowly” continua su una dimensione onirica e solenne, infine “Firefly” chiude risvegliando dal torpore con un ritmo pop-rock in stile slowcore.
Trovo assolutamente normale che ci siano pareri discordanti su questo ritorno della pupilla dei Low, perchè fondamentalmente, come già detto, questa prova non aggiunge quasi nulla a quella serie di album della prima fase della sua carriera, con cui Jessica è arrivata a recitare un ruolo importante sulla scena, nel momento d’oro della Kranky. Si limita a distillarne il contenuto e rilucidarlo come si fa con l’argenteria (con la consapevolezza che appartiene al passato) farne una piccola summa, e il gioco è fatto. Però quello che mi preme sottolineare è che, in un’epoca in cui un silenzio di tot anni rischia di tagliarti fuori dal giro, in un business più onnivoro che mai, io sono stimolato da quei progetti che fanno dell’innovazione il loro cardine, ma anche allietato da quegli artisti che genuinamente continuano a credere in un certo tipo di musica, quella che si sentono dentro. E’ roba per nostalgici di epoche passate? Può darsi, ma una cosa bella di Jessica e del suo disco è la sua grazia accompagnata dalla capacità di trasmettere emozioni, per di più riproponendo generi che personalmente continuo ad apprezzare, per cui io me lo tengo stretto.
Come mostra anche la sua copertina, questo “At The Down…” è un delicato fiore nell’oscurità, che si schiude in un momento di intimo contatto con l’ascoltatore, rivelando il suo fascino impalpabile.
Ascolti:
Your Ghost Is Not Enough
Take Me To The Sun
TRACKLIST
1. Your Ghost is not Enough
2. Take Me to the Sun
3. Sanguine
4. If You Say It
5. Violets & Roses
6. This is Real
7. Goodnight
8. Slowly
9. Firefly