Quando una delle figure più esplosive della scena garage rock mondiale come Jim Jones chiama, i cuori impavidi amanti del rock ‘n’ roll dovrebbero sempre rispondere e partecipare calorosamente.
Non si poteva assolutamente mancare all’appuntamento con la nuova calata italiana del nostro, che non ha certo bisogno di tante presentazioni (Thee Hypnotics, Black Moses, Jim Jones Revue, Jim Jones and the Righteous Mind) per chi mastica certe sonorità, e in queste rigide notti d’autunno novembrino il vulcanico frontman/chitarrista inglese è venuto a farci visita con ben sei date al centro-nord dello “Stivale”. L’occasione è di quelle ghiotte: un mini-tour italico di presentazione della sua nuova creatura, Jim Jones All Stars, in supporto all’album di debutto, “Ain’t No Peril” (uscito a fine settembre) oltre a essere un’ottima scusa per tornare a fare un po’ di salutare baldoria sui palchi nostrani. Uno di questi concerti era in programma in Toscana, alla Bottega26 in provincia di Siena, un live club accogliente (e in rapida ascesa verso la consacrazione nel divenire un punto di riferimento nazionale sulla mappa della musica indipendente e del rock ‘n’ roll) che ha inaugurato la sua nuova stagione proprio con il live show degli All Stars. Potendo contare su una “base operativa” familiare a circa un’ora e mezza d’auto dal suddetto locale, chi vi scrive s’è servito di codesta base come caldo e momentaneo alloggio di un weekend all’insegna di una “toccata e fuga” toscana il cui obiettivo, chiaramente, consisteva soprattutto nell’andare ad ammirare dal vivo le prodezze di Jim Jones e soci.
Giunto a Poggibonsi con discreto anticipo rispetto all’inizio delle movimentate danze, mi imbatto subito nell’artista che suonerà come opening act della serata, la one girl band vicentina Elli De Mon (una vecchia conoscenza di InYourEyes) con la quale ho scambiato chiacchiere, saluti e complimenti puntualmente giustificati dai circa quaranta minuti della sua esibizione, caratterizzati dalla consueta maestria nel tenere il palco da sola cantando e suonando grancassa, chitarre, rullante e sitar, miscelando l’energia e l’attitudine del rock ‘n’ roll con la tradizione sciamanica della psichedelia indiana e del blues ancestrale di Bessie Smith e altre blueswomen afroamericane. Supportare le piccole etichette indipendenti che portano ancora avanti la filosofia DIY dell’autogestione e operano nell’underground tra mille difficoltà (come, ad esempio, Area Pirata che, nello specifico, pubblica gli album di Elli da quasi tre anni a questa parte) e la musica slegata dalle logiche commerciali mainstream delle multinazionali (tutte incentrate sul lucro e sulla maggiore accumulazione possibile di profitti) è un preciso dovere morale e una battaglia culturale da non far morire soffocata da musica liquida e algoritmi: chi può, sostenga questi progetti.
Dopo aver riscaldato il pubblico (abbastanza numeroso) la De Mon ha smontato il suo armamentario strumentistico e ha lasciato la scena al piatto forte della serata: l’arrivo on stage di Jim Jones e della sua folta e variegata line up, composta da ben sette elementi, che sin dalle prime battute ha(nno) saputo immediatamente incendiare l’atmosfera sciorinando un groove irresistibile e un’esuberanza scenica incontenibile, rinnovando il rituale di un concerto R’N’R arricchito dalla presenza di una tastiera e una sezione fiati. C’è spazio per il presente e il passato di Jones: nella setlist, infatti, trovano posto alcuni brani contenuti nell’Lp d’esordio degli All Stars, “Ain’t No Peril” (“Gimme the grease“, “I want you (any way I can)“, “Troglodyte“, “It’s your voodoo working“) che in sede live suonano, felicemente, in modo ancora più energico che su disco, amalgamandosi perfettamente coi rifacimenti dei pezzi appartenenti al repertorio delle precedenti esperienze del nostro sotto il moniker Jim Jones Revue (le adrenaliniche versioni di “Burning your house down“, “Cement Mixer“, “Rock ‘n’ roll psychosis“, “Princess and the frog” e “512“, quest’ultima posta in chiusura del concerto) Righteous Mind (“Satan’s Got A Hard On For You“) e Hypnotics (“Shakedown“) impreziosendo la scaletta con la scelta di alcune riuscite cover, tra cui “Run Run Run” dei Velvet Underground, “Can’t believe you wanna leave” di Little Richard e “Everybody’s got something to hide except me and my monkey” dei Beatles, tutte reinterpretate in chiave garage/blues/soul/funk
Jones è scatenato, un animale da palcoscenico che interagisce continuamente col pubblico, si concede all’entusiasmo della folla, sa come coinvolgerla, non si risparmia e alla fine dello show (un’ora e mezza serrata, senza soste) è un bagno di sudore, a testimonianza della credibilità e della passione con cui vive il sacro fuoco dell’arte. “Practice what you preach“, come direbbero nel suo idioma i suoi conterranei e, in questo senso, Jim è sempre convincente nel mettere in atto il suo credo ogni volta che sale un palco e nel trascinare i suoi adepti in una festa antirazzista in cui il rock and roll “bianco” abbraccia il meglio della black music in un cocktail che scende giù che è un piacere e regala emozioni sfrenate.
Mala tempora currunt nel globo terracqueo, ma di una cosa possiamo essere certi: finché saranno in azione musicisti e personaggi come Jim Jones che, dopo svariati decenni, non sono ancora stanchi di andare in giro a infiammare i live stage di tutto il mondo, il rock ‘n’ roll è salvo e resta in una botte di ferro.
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