KENT STATE OHIO U. S. A. 4 MAGGIO 1970: IL RIFIUTO DELLA LOGICA DELLA GUERRA
In quegli anni di piombo sono avvenute tante di quelle uccisioni e stragi da impallidire.
Dal 65 al 70 ( l’ anno della invasione americana in Cambogia il 1.5..70 e conseguente contestazione alla Kent State con 4 morti ) solo in Italia sono avvenute più di 200 uccisioni di manifestanti, più terribili stragi ( Piazza Fontana Milano, Stazione di Bologna, treno Italicus, ecc…) e negli States quasi altrettanti.
È stato un periodo storico tanto movimentato quanto atroce e a distanza di 50 anni è arduo riconnettere quei fatti ad una logica coerente e univoca.
I libri e internet sono pieni di resoconti di quegli anni: analisi politiche, storiche, culturali, sociologiche, economiche e strategiche.
Da queste una realtà preponderante emerge: la profonda, arrogante e indiscutibile pretesa della cultura – e conseguente azione politica – del mondo occidentale, di dovere e potere dirigere e condizionare la vita sociale, economica e politica del resto del mondo.
E da qui l’ intervento anche militare per imporre la santa dottrina della pax americana.
Pax “democratica” che per sua natura NON PUÒ accettare o sopportare contestazione.
Pena la repressione dura che nulla invidia a quella oltrecortina.
Ma questa pretesa, questa arrogante convinzione è il frutto di una cultura verticistica e dirigistica del potere economico, cieco alle aspirazioni umane di autodeterminare la propria vita e le proprie scelte e che permea il modo di pensare di ciascuno di noi, anche quando la stiamo contestando.
Ma non è facile scrostare questa cultura delle superiorità antropologica anche da coloro che la contestano.
So che non è facile riconoscere questo virus che permea il nostro pensare da occidentali, ma una attenta osservazione dei fenomeni migratori e contestatori del mondo di oggi, ci conferma che tutte queste rotture ricevono il nostro beneplacito quando tendono a liberarsi dai fardelli di governi e politiche medievali e aspirino ad imitare i nostri standards culturali, sociali, politici e consumistici.
Nessuno di noi si sognerebbe di andare ad integrarsi in modelli di vita africane o asiatiche, arabe o indie, puranco emancipate da poteri tirannici e assolutistici.
Ho detto POTERE ECONOMICO perché questa è la nostra cultura che di esso potere esprime l’ aspirazione verticistica e dirigistica nel nostro agire quotidiano:
– la scuola per divenire classe dirigente ( non strumento di servizio alla società)
– il lavoro per la scalata gerarchica ai vertici ( non strumento della propria realizzazione umana e sociale).
– il denaro per circondarsi di status symbols ( non per soddisfare la dignità e la giustizia sociale)
Per queste nostre dicotomia culturali ho detto della difficoltà di dare alle nostre contestazioni, a tutte le contestazioni ( comprese le mie), una logicita’, una coerenza esemplare.
Eppur questa è la nostra nevrosi, la nostra incoerenza culturale e storica.
Il nostro percorso umano.
Ma non esaltiamoci troppo a mitizzare le nostre contestazioni al potere.
Perché se ci guardiamo dentro con cruda sincerità, stiamo contestando lo stesso potere che alberga nell’ animo del poliziotto di fronte a noi, quanto IL POTERE CHE ALBERGA NEL NOSTRO ANIMO.
SE VUOI FARE LA RIVOLUZIONE, FALLA, PRIMA, DENTRO DI TE!
– Che Guevara-
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2 risposte
Sono in pieno accordo con quanto scrivi, Epi. La rivoluzione è uno stato mentale affine anche alla passione. Se per rivoluzione intendiamo un cambiamento radicale, è necessario cpnoscere bene il nemico ed opporsi secondo proprie strategie. La cultura occidentale può oggi fornire strumenti e suggerimenti pacifici per ribaltare in meglio le cose che si avversano ed oltre allo sforzo individuale, che benché minimo non è comunque trascurabile x la causa, rimane assodato che il buon esempio e l’unione di intenti opererà un buon cambiamento, se non prpprio uno smantellamento effettivo delle negatività tipiche dell’Occidente. Molto importante sarà veicolare idee e alternative, poiché sono il sale della verità e la verità conduce alla libertà.
Quel nemico che è radicato nel nostro inconscio, – oltreché in quello dei ” potenti”, e che esprime passioni tanto elevate e umanistiche, quanto violente, discriminatorie e crudeli.
Sintanto che entrambe non siano contemperate da un substrato di quella parte di noi chiamata ragione.
Quella ragione che solo attraverso la conoscenza dell’ anima del mondo e nostra riuscirà a ” umanizzare le nostre passioni.
Un prete ribelle di quegli anni, di nome Lorenzo Milani, insegnava ai suoi ragazzi contadini alla scuola di Barbiana, che la guerra, la violenza e le discriminazioni nascono dalla ignoranza antropologica, sociale e storica.
All’ ingresso aveva affisso un cartello con uno slogan del ” Che” :
– EL NINO QUE NO ESTUDIA NO ES BUEN REVOLUCIONARIO!