(autoprodotto) Parte “Microarchitecture” e sembra quasi di ascoltare una versione electro delle intuizioni di Ralf & Florian, periodo pre-Kraftwerk; segue “The Speed Of Sound”, una lunga e affascinante suite elettronica, e la memoria risale agli Autechre o, più in generale, ad alcune delle produzioni “intelligent techno” che hanno reso celebre un’etichetta come la Warp nei primi anni novanta.
Se, a questi riferimenti, aggiungiamo il suono “cosmico” tedesco di fine anni sessanta/primi anni settanta avremo la cifra stilistica e le coordinate all’interno delle quali opera Kernel Drop, la sigla dietro la quale si cela Stefano Serafino, sperimentatore torinese appassionato di suoni non convenzionali, sintetizzatori e di tutto un immaginario cosmico/spaziale.
“The Dreambox” è, dunque, più che mai un titolo appropriato per un album composto da lunghe e visionarie esplorazioni elettroniche (tre episodi su sette superano i dieci minuti), veri e propri viaggi astrali con l’innesto, in alcuni passaggi, di sonorità dance (“Kaleidovision”), in altri casi contaminati con suoni di provenienza etnica (le percussioni di “Kernel-Drops”).
Una delle possibili derive di un suono perduto, un suono di ricerca che Serafino mostra di maneggiare con sapienza e se, come nel caso dell’ottima “Macroarchitecture”, riuscirà a sviluppare il suo discorso musicale con maggior sintesi, le cose di faranno ancora più interessanti.