L’attesa per il ventesimo album nel 2022 in casa King Gizzard ha avuto necessariamente un sapore particolare. Tempo di cifre tonde e di bilanci, al netto di una carriera sempre più in alto tra le stelle mondiali del rock alternativo, scenario in cui i King Gizzard giocano la parte di giullari di corte, giovanili rocker naïves, indefessi paladini dell’ambiente. Per “Omnium Gatherum” ci si aspettava quindi qualcosa di sostanzioso, che controbilanciasse la faciloneria con cui erano stati scritti gli ultimi tre album, “K.G.”, “L.W.”, incentrati sull’utilizzo dei microtoni, e “Butterfly 3000”, episodio synth-pop piuttosto insipido della primavera-estate 2021.
I Nostri tornano alla ribalta per consacrare il loro frenetico talento musicale con un titolo che in latino-inglese maccheronico (da non confondere con l’omonimo gruppo melodic death metal finlandese) ci ammonisce: questa volta, si riuniscono tutti gli stili musicali in un solo disco.
Per i King Gizzard, che hanno fatto della rilettura dei generi storici e contemporanei la loro cifra stilistica, non è il primo album “multi-genere”: il precedente di “Gumboot Soup” del 2017 non è proprio annoverato tra i migliori album nella discografia. “Omnium Gatherum” con le sue sedici tracce e i suoi ottanta minuti superati si propone come opera enciclopedica del Gizz-pensiero, travolgendo l’ascoltatore coi diciotto minuti di The Dripping Tap, furia kraut-garage che però non va da nessuna parte, mentre accumula riff su riff (più una intro melodica abbastanza kitsch) e che fanno andare la mente ai giorni di “I’m In Your Mind Fuzz”.
Niente di tutto ciò, invece: le tracce successive rimbalzano incessantemente da un genere all’altro, sia esso gommoso synth-rock (Magenta Mountain, The Garden Goblin), ondivago pop da camera (Kepler 22b,Ambergris, Persistence), thrash-metal di maniera (Gaia, Predator X) o hip-hop di serie z (Sadie Sorceress, The Grim Reaper), crepuscolare funky da lounge bar (Presumptuous, Candles), ballate fumose (Blame It On The Weather, Red Smoke).In alcuni casi le anime musicali si mischiano all’interno di canzoni stesse, come nella confusa Evilest Man, dove lo stoner-rock si alterna a un pop arioso e zuccherino.
Tanti punti dello spettro musicale vengono toccati durante l’ascolto di “Omnium Gatherum”, anche se non è necessariamente un pregio: negli ultimi dieci anni i King Gizzard hanno preferito anteporre la costruzione dell’hype a quella di un sound coerente, continuando a girovagare, da un synth a un fuzz iperdistorto, da un beat hip-hop a percussioni indiane.
Il punto non è neanche questo, forse: la band ha perso spontaneità e le canzoni non sono altro che un tentativo di sopperire a tale mancanza con la bravura tecnica, effetti di post-produzione, con guizzi “famolo strano” che appesantiscono una materia già di per sé innocua.
Un trend molto negativo, quello dei King Gizzard, da cui la band sembra non riuscire a uscire dal 2017 a questa parte.