La capra di Chagall.
La prima volta che sentii parlare di Mario Bianco fu nel 2009. Era uno degli autori dell’antologia Auroralia, curata da Gaja Cenciarelli e pubblicata dall’ editore Zona. Anch’io avevo partecipato a quell’antologia con un mio racconto, ispirato, come tutti gli altri, dalla fotografia di una donna sospesa in aria, riflessa in uno specchio d’acqua, scattata dal fotografo americano Jerry Uelsmann.
Quando la curatrice invitò ciascuno dei 50 autori a esprimere la propria preferenza verso uno dei racconti, pubblicandone gli esiti sul suo blog, il mio voto andò a Mario Bianco.
Pur non sapendo nulla di lui ero rimasto affascinato dalla sua scrittura, che si muoveva fuori dal tempo e che sentivo, nella sua “inattualità”, come un richiamo alla forza e alla resistenza. Ad esempio contro un certo scadere del potere della parola.
Perché le sue parole, vedete, erano semi orgogliosi e tenaci che si dibattevano in un campo di erbacce per dare i propri frutti.
Negli anni seguenti abbiamo trovato il modo di collaborare a vari progetti, sia letterari, sia artistici in senso lato (prima ancora di essere uno scrittore, infatti, Mario è un pittore, autore di tele in gran parte ispirate al surrealismo, alle avanguardie del ‘900 e alle arti orientali). Forse non a caso, dunque, la sua ultima fatica letteraria ha per titolo “La capra di Chagall”, pubblicata da Miraggi Editore.
Qui i passi dei due personaggi principali, un viandante e una capra, sono illustrati da quindici immagini a china disegnate prima di scrivere i testi, lasciando dunque parlare il subconscio dell’autore attraverso il disegno. Solo in seguito Mario ha scritto i capitoli prendendo spunto o “ispirazione” dalle figure che aveva disegnato. Un sistema di lavoro quasi magico, concentrato in uno stato di quasi totale abbandono. Gli ho fatto qualche domanda:
1. Si racconta che il bambino Marc Chagall disse un giorno a sua madre, mentre lei impastava il pane, che avrebbe fatto il pittore. Il bambino Mario Bianco hai mai detto a sua madre di voler fare il pittore?
Non ho detto nulla a mia madre perché io non sapevo che si diventasse grandi. Mia madre diceva lei per me: questo bambino da grande sarà un bravo ingegnere… Questo perché una volta aveva visto un ingegnere molto elegante, distinto e benestante quindi si creò l’illusione che gli ingegneri fossero persone rispettabilissime. Quando facevo la prima media ho detto ai miei che volevo fare l’archeologo. Mi hanno disapprovato, ma mi hanno voluto bene lo stesso.
2. Cosa disegnavi da bambino? Leggevi molto?
Disegnavo dappertutto, certo prima di imparare a scrivere, con pezzi di mattone sul selciato, sui muri, con carbonella, poi con matite su ogni pezzo di carta o cartone trovato. Disegnavo babacci, poi armi pistole fucili soldati carri armati navi dirigibili aerei, ero pieno di un’aggressività repressa che si sfogava così. Leggevo quasi nulla, giornalini raccattati. Poi quando avevo dieci, undici anni, nella casa nostra in campagna, ho trovato dei libri di mio nonno, anche comici, e poi una copia ridotta del Decamerone, del 1824, che mi sono divorato, letto e riletto e mi sono molto divertito e mi sono sforzato davvero per comprendere il volgare antico. Ho trovato altri libri vecchissimi che aveva raccattato mio padre in una casa in rovina ed erano scritti in un italiano seicentesco che mi faceva ridere, mi piaceva moltissimo.
3. Chagall dedica molti quadri alla sua casa attraverso un simbolo ricorrente: la capra. Nei suoi quadri le capre sono ovunque. Di diversi colori, di ogni dimensione. E’ un continuo tributo al focolare domestico e un sistema candidamente infantile per tenere vicine a sé le cose più care. Questo ha a che vedere con il significato del tuo romanzo?
– Le capre mi sono simpatiche. Siccome da lattante ero un mangione la mia mamma mi ha somministrato anche latte di capra (ch’è ottimo). Tuttavia la mia scelta di un animale come coprotagonista viene dal mondo antico, fa riferimento alla narrativa di Apuleio, di Luciano di Samosata, di Esopo, Fedro, nel medioevo Le Roman de Renart, per restare in Europa, e poi alla
famosissima opera cinese Lo Scimiotto ovvero Il viaggio in Occidente e altri romanzi dell’Oriente. Ho preferito la capra perché è un animale che vive a contatto con l’uomo, ne è sfruttata, ma non è affatto domestica, se lasciata sola se la cava benissimo, si nutre anche di sterpaglie ed ha l’occhio con la pupilla fessa orizzontalmente che ti turba (per questo assimilata sovente nel medioevo a occhio serpentesco o demoniaco).
4. Perché hai scritto questo libro alternando prosa e versi? Sembra quasi una sfida rivolta al lettore.
Sono sfide antiche: anche Dante ha scritto La Vita Nova alternando poesia e prosa, anche Severino Boezio in De consolatione philosophiae. Ho pensato che l’alternanza cadenzasse il percorso dei due compagni di viaggio: camminate e soste. Così il lettore si prende pause, respira e continua con un altro passo.
5. La capra guida l’uomo nel cammino. La strada che attraversano è accidentata, instabile, per giunta infestata da bestie schifose. Il racconto è chiaramente allegorico. La destinazione finale una nuvola vuota. Vuoi parlarcene?
– La vita è costellata di difficoltà e insidie, anche nella nostra mente possono frullare bestie insane, pensieri turbanti, così il mio viandante vaga in territori psichici infestati, cerca una pace, soprattutto mentale, e la capra lo accompagna e lo guida per liberarlo da varie insidie. Nuvola vuota è il nome di Xuyun o Hsu Yun, un rinomato maestro cinese buddhista Chan o Zen che
nell’800 percorse migliaia di chilometri a piedi per andare dalla Cina ai luoghi nativi di Sakyamuni. La nuvola vuota è appunto la “liberazione” o l”estinzione”.
6. I capitoli del libro sono illustrati da immagini a china, che hai disegnato prima di scrivere i testi. Hai cioè preso spunto dai disegni per immaginare la storia. Un sistema di lavoro piuttosto inusuale e a pensarci bene molto impegnativo.
– In linea di massima è andata così: avevo delle idee generali, vaghe sulla trama non ancora scritta; allora con la penna, il calamaio e la carta mi sono immerso in un stato di attesa/abbandono, quasi in un sonno latente, in una sorta di trance simenoniana, ed ho cominciato a disegnare a china. Le quindici illustrazioni sono venute a tappe, man mano scrivevo dopo aver
disegnato.
7.Mario Bianco pittore. Mario Bianco scrittore. E poi?
– E poi… soprattutto artigiano, so fare molti lavori manuali, ecco. Ho terminato da poco una storia illustrata o graphic novel con protagonisti una scimmia e un esserino detto Popuk, che credo sarà ostica ai più e temo nessuno vorrà pubblicare. Non ho più intenzione di scrivere romanzi o racconti realistici, verosimili, preferisco allegoria, metafora e il simbolo come in pittura. A questo punto della vita mi sento quasi intossicato, soffocato dalla narrativa realistica. Ho bisogno di aria, di spazi liberi… di voli.