L’anno che sta andando lentamente a morire sarà ricordato per tutta una serie di romanzi che porteremo idealmente con noi nell’imminente duemilaventitré. Tra i tanti mi piace rimarcare “La Stirpe e il Sangue” di Lorenza Ghinelli, uscito proprio a metà di questa nefasta annata grazie a Bompiani.
Da sempre vicina alle tematiche legate all’adolescenza, come le difficoltà nella crescita e l’inserimento nel mondo degli adulti, la Ghinelli, più che mai attenta agli ultimi, ai diseredati e agli esclusi, ci presenta un quadro di degrado sociale collocato in un contesto atipico rispetto ai suoi ultimi fortunatissimi romanzi. Non contenta degli ottimi riscontri ricevuti per il suo “Bunny Boy” di cui ancora si parla a distanza di un anno, Lorenza ha evitato di adagiarsi “vincendo facile” e ha scelto di cimentarsi con la letteratura gotica, presentandoci un romanzo tanto inatteso quanto graffiante.
“La Stirpe e il Sangue” è infatti un romanzo che trasuda ribellione e va nella direzione di quei testi che mirano a scardinare tutto ciò che nasce e si autoalimenta su valori inaccettabilmente discriminatori. Un romanzo che è però al tempo stesso una storia d’amore tra una madre e i suoi figli, in un contesto storico che vede sullo sfondo lo sbatter d’ali del vampiro più famoso della storia.
La Ghinelli pensa, guarda e scrive al femminile, raccontandoci le gesta di donne che solo in una prima avventurosa e superficiale analisi possiamo vedere come relegate ai margini di una realtà sociale che vede il patriarcato al suo massimo fulgore. Verrebbe da dire che nonostante siano passati secoli e secoli la questione femminile è ancora ferma al 1400, ma in realtà le cose stanno molto peggio oggi, non fosse altro per il fatto che adesso abbiamo a disposizione quegli strumenti che possono permetterci di formare un pensiero libero e critico, che un tempo ci erano negati. In realtà le donne di allora sono ancorate all’idea di un rapporto indissolubile che le lega ai propri figli.
Contestualizzando il romanzo ad oggi, con le dinamiche cui siamo soliti misurarci, possiamo pensare a “La Stirpe e il Sangue” come uno spin off delle leggendarie gesta di Vlad il Sanguinario, personaggio che ognuno di noi ha incontrato, e da cui è rimasto affascinato. Le vicende sono ambientate durante l’invasione turca in Valacchia del 1442, anche se, poi, una volta individuato lo scenario, il tempo in quanto tale perde di significato. Il romanzo è infatti da collocarsi in quello spazio tempo indefinito affine alla magia in cui tutto accade e tutto può accadere. È la stessa Maria a farci partecipe della cosa, che non esita un istante nel momento in cui pensa di poter strappare il figlio ad un destino segnato, pur consapevole del fatto che per farlo sarà costretta a venire a patti con il male e la morte. La sua forza è quella di tutte le donne che scelgono di ribellarsi a un destino segnato in partenza, e che rispondono colpo su colpo a tutte le angherie a cui sono sottoposte. Una forza che sposa alla perfezione una favola nerissima, resa ancor più avvincente dalle illustrazioni di Darkam (al secolo Eugenia Monti, artista italiana di stanzia a Berlino) e dalla scelta del materiale per la copertina, che conferiscono al volume ulteriore fascino e oscurità.
In chiusura mi piace pensare alla possibilità di dividere il titolo in due, guardando agli elementi che lo compongono, sia unitariamente che presi singolarmente. Per quello che riguarda la stirpe il ragionamento è semplice, basta guardare a quello che sta accadendo anche in questi giorni. Se le migrazioni sono il fenomeno del nuovo millennio (nonostante ci sia ancora qualcuno che cerca di negare l’evidenza), non possiamo non guardare alla famiglia di Maria come a un microcosmo anch’esso in fuga dal dolore e dalla morte, in cerca di quella tranquillità e di quelle speranze che non possono e non potranno mai trovare in una Valacchia ottusa e totalitaria che le relega ai margini, esattamente come i moderni migranti, colpevoli quasi di esistere. Mentre, spostandoci sulla seconda parte, è altrettanto evidente come l’altro grande elemento del romanzo sia da inquadrare nel sangue, componente essenziale per la vita, qui elevato ad autentico nettare che aiuta a combattere la morte. Una morte che Maria non trova nei pericoli insiti nell’oscurità della foresta nella prima parte del romanzo, ma che incontra nel momento in cui riesce a trovare “casa” e deve difendere “il sangue della sua stirpe”.
Alla fine, sono proprio le storie come “La Stirpe e il Sangue”, quelle che mettono più angoscia, quelle che ci portiamo dietro e che ci aiutano a crescere e a far crescere. Unico vero obiettivo della letteratura, evolverci di pari passo con il nostro pensiero.
Lorenza Ghinelli
Lorenza Ghinelli ha scritto Il Divoratore (venduto in diversi Paesi e ora ripubblicato nella collana Universale economica Feltrinelli).
Con La colpa (Newton Compton, 2012) è stata finalista al Premio Strega). Sempre pubblicati dalla stessa casa editrice ha scritto Con i tuoi occhi e Sogni di Sangue. Con Almeno il cane è un tipo a posto (Rizzoli ed Editions Thierry Magnier) ha vinto il Premio Minerva. Sempre con Rizzoli ha pubblicato Anche gli alberi bruciano.
Con Tracce dal silenzio (Marsilio) è stata finalista al Premio Scerbanenco. Il libro apre una trilogia: Le visioni di Nina a cui fa seguito Bunny Boy (vincitore del Premio Glauco Felici).
Il suo ultimo romanzo è La stirpe e il sangue, edito da Bompiani. Diversi suoi racconti sono presenti in antologie pubblicate da Guanda, Bompiani, Elliot, Newton Compton, Il Castoro, CTRL.
È stata editor interna, soggettista e sceneggiatrice per la televisione. Da oltre dieci anni collabora con la Scuola Holden. Dal 2021 fa parte del corpo docenti di Academy, l’università della Scuola. Vive a Rimini.