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L’arcano incantatore: viaggio nell’horror gotico di Pupi Avati

L’arcano incantatore di Pupi Avati: un horror gotico che svela misteri antichi e inquietanti, con atmosfere suggestive e interpretazioni straordinarie.

Il maestro Pupi Avati, uno dei più grandi registi nostrani nella commedia d’autore, ha un’anima horror che lo ha portato, specialmente ad inizio carriera, a firmare (tra gli altri) due delle pellicole culto del genere: “Zeder” del 1983 e più a ritroso, il capolavoro “La Casa Dalle Finestre che Ridono”del 1976.

Dopo parecchi anni dall’ultima opera a sfondo horror, nel 1996 torna con un piccolo gioiello di horror mistico ed occulto, lontano dai blockbuster simil splatter delle produzioni americane, ma dalle splendide atmosfere gotiche: L’Arcano Incantatore con , nei panni del protagonista, Stefano Dionisi, diventato famoso per il film “Farinelli Voce Regina” del 1994, biografia della “voce bianca” Carlo Broschi, cantante vissuto nel XVIII secolo.
Ambientato nel 1750 il film vede il seminarista Giacomo Vigetti costretto a lasciare Bologna per aver messo incinta una ragazza.

Su indicazione di una misteriosa dama si rifugia sulle colline emiliane, a Medelana, per prestare servizio al fianco di un prelato allontanato dalla chiesa e tacciato di stregoneria e studi sull’occulto.
L’enigmatico Signore vive in un’antica dimora, lontano dal paese dove continua i suoi studi, aiutato da Giacomo sostituto del precedente collaboratore Nerio, morto in circostanze misteriose.
Per il protagonista si spalancano le porte del mistero e dell’occulto, in un’atmosfera di tensione che si alza con il passare dei minuti tra rituali antichi, bicchieri che volano, morti sospette, in un vortice di intrighi su cui Giacomo comincerà ad indagare con sempre più curiosità , fino alla soluzione dell’enigma.

Un enorme interpretazione del monsignore scomunicato (Carlo Cecchi), atmosfere tenute sempre in bilico tra leggende e dicerie dei contadini e prove concrete sugli studi e l’entità che si aggira per il maniero, fanno di questo film una pellicola matura, che senza l’uso di effetti speciali, mette a disagio e terrorizza.

Un film d’altri tempi, dove il regista dà prova di un talento straordinario nel saper spaventare senza usare metodi spicci, ma con ambientazioni e dialoghi riusciti perfettamente.
La personalità del monsignore, chiamato per i suoi studi L’Arcano Incantatore, è misteriosa ed affascinante, attira nella sua perfida ambiguità e che il drammatico finale non riesce a togliere un grammo di spessore al personaggio.

Un film che porta sullo schermo il tema del satanismo, del diabolico e dell’occulto con l’approccio del film d’autore e, come detto interpretato, in modo divino dai due protagonisti, Carlo Cecchi e Stefano Dionisi.
L’Arcano Incantatore valse un corvo d’argento al Festival internazionale del cinema fantastico di Bruxelles nel 1998, ma all’epoca passò quasi inosservato al grande pubblico e poco amato dalla critica, come sempre arida quando si parla di cinema horror, anche se esemplare come questa bellissima opera; se lo avete perso, fatevi un favore e cercatelo, l’atmosfera maligna che si respira in questo film è da brividi, lo garantisco.

Regia di Pupi Avati
Con:
Stefano Dionisi: Giacomo Vigetti
Carlo Cecchi: L’arcano incantatore
Consuelo Ferrara: Severina
Arnaldo Ninchi: Aoledo
Andrea Scorzoni: don Zanini
Eliana Miglio: prostituta malata

Filmauro 1996

Sinossi

Le ombre si muovono nel palcoscenico del mistero, dove il velo si solleva su “L’incantatore arcano” di Pupi Avati. La narrazione si sviluppa in un contesto carico di enigmi, coinvolgendo gli spettatori in un vortice di ansia e stupore. Il protagonista è un giovane mago, le cui vicende si uniscono a quelle di una compagnia di pupazzi, custodi di misteri antichi e disturbanti. Ogni corda che governa le bambole sembra svelare non solo il loro spirito, ma anche le aspirazioni più nascoste di chi le manovra.

I protagonisti si spostano in un universo in cui il limite tra verità e illusione è fine come la foschia che circonda il palcoscenico. Conversazioni cariche di tensione si intrecciano a sguardi furtivi, mentre un’eco di melodie remote riecheggia nel cuore di chi guarda. I colori oscuri della scenografia, con ombre allungate che si estendono e si ritirano, formano un palcoscenico ideale per l’incanto e la disillusione. In questo labirinto di sentimenti e inganni, ogni passo è un invito a scoprire le sfumature più cupe dell’animo umano, lasciando lo spettatore con una sensazione di attesa intensa, simile al fruscio delle fronde in una notte di tempesta.

La regia di Pupi Avati

L’arcano incantatore di Pupi Avati si erge come un delicato e inquietante arazzo, tessuto con i fili dell’ansia e della meraviglia. La regia di Avati è un balletto di luci e ombre, dove il silenzio diventa un personaggio vivente, capace di sussurrare segreti in ogni angolo buio della scena. Le sue atmosfere sospese, intrise di una tensione palpabile, ci avvolgono come una nebbia misteriosa che nasconde verità sconcertanti. In questo film, il maestro riesce a evocare il terrore non attraverso l’evidente, ma nel sottile gioco di suggestioni, come una melodia che si insinua nell’anima senza mai essere pienamente rivelata.

In opere precedenti come La casa dalle finestre che ridono e Zeder, Avati ha già dimostrato la sua abilità nel creare un senso di malessere pervasivo. In questi film, il tempo stesso sembra distorcersi, mentre gli spettri del passato si intrecciano con la realtà presente, esprimendo una profonda riflessione sulla memoria e sul dolore. L’arcano incantatore continua su questa scia, amplificando l’inquietudine attraverso personaggi che sono prigionieri delle loro stesse scelte. La sua narrazione si snoda come un filo di Arianna in un labirinto di segreti, dove ogni dialogo è carico di ironia e allusioni, mentre l’epilogo si staglia all’orizzonte come un’ombra incombente, lasciando lo spettatore in uno stato di attesa tremante.

Il Cast

In “Incantesimo Misterioso”, l’interpretazione di Stefano Dionisi e Carlo Ceci va oltre la semplice performance e trasporta il pubblico in un viaggio emozionale attraverso le sfumature dell’animo umano. Interpretando un giovane designer in cerca di risposte, Dionisi incarna la vulnerabilità del suo personaggio con sensibilità e intensità, mentre le sue interazioni con l’arcano stregone di Church creano un contrappunto accattivante e significativo. L’alchimia tra i due attori è palpabile, rendendo ogni scena piena di tensione e mistero.

La magnetica interpretazione dell’arcano incantatore di Carlo Cecchi riesce a trasmettere una complessità unica: il suo personaggio è un enigma pieno di fascino e ambiguità. Church sa come padroneggiare le sfumature delle sue interpretazioni, oscillando tra affascinante e inquietante, portando il pubblico a mettere in discussione le vere motivazioni del mago. La sua tecnica non solo arricchisce il film ma ispira anche profonde riflessioni sulla dualità della natura umana, rendendo The Magician un film imperdibile per coloro che desiderano esplorare il sottile confine tra realtà e finzione.

Arcano Incantatore

Le location suggestive

Al centro di “The Arcane Enchanter”, quel castello appenninico non è solo un oggetto di scena, ma un personaggio, poiché aiuta a marinare la trama con mistero e disagio. Le sue imponenti torri trafiggono la nebbia vorticosa, sembrano fare la guardia a segreti secolari mentre l’oscurità illumina le stanze, arazzi polverosi e candelabri tremolanti parlano di claustrofobia e meraviglia. Questo castello simboleggia un’epoca in cui la magia e il soprannaturale sono radicati in ogni aspetto della vita, un’atmosfera gotica che incanta e, allo stesso tempo, provoca paura.

La biblioteca dell’Incantatore Arcano è un altro elemento chiave nella narrazione architettonica del film. Avvolta in un silenzio quasi reverenziale, forma un labirinto di volumi rari e tomi dimenticati, in cui giace in attesa di essere riscoperto, impacchettato con tutta la conoscenza occulta.

Per ora, ombre danzano sugli scaffali, alludendo a qualche tipo di presenza che rimarrà imperscrutabile se non dispiegata tra pagine ingiallite. È in questo luogo di conoscenza più sacro che la tensione continua a crescere, dando la sensazione che ogni libro possa nascondere qualche terribile verità o rivelazione inaspettata, trasformando il luogo in una camera di esplorazione piuttosto che in una di paura.

La musica e le atmosfere

La musica di Pino Donaggio in <The Arcane Enchanter> si rivela una parte fondamentale della creazione dell’atmosfera inquietante del film. Le melodie commoventi e i grandi accumuli di strumenti͏ non solo accompagnano le immagini, ma aumentano anche i sentimenti e la suspense, rendendo alcune scene ancora più sconvolgenti.

Ogni nota sembra ballare il valzer con le ombre della storia, formando una stretta connessione tra gli spettatori e le emozioni dei personaggi. Ciò che Donaggio fa è riuscire a trasmettere attraverso il suono l’essenza del soprannaturale, oscillando tra il melodrammatico e l’inquietante. In effetti, le sue composizioni vanno oltre la mera sottolineatura degli eventi visivi, ma penetrano piuttosto in profondità nel subconscio dello spettatore, evocando una sensazione di persistente disagio. In particolare, nei momenti di rivelazione o crisi, le armonie dissonanti rendono palpabile il terrore che pervade la storia e, di fatto, trasformano *The Arcane Enchanter* in un’esperienza cinematografica indimenticabile.

In questo contesto, le corrispondenze tra musica e immagine, le più intense delle quali, sembrano quasi respirare al ritmo delle note di Donaggio. Le sue capacità evocative di creare immagini sonore fanno sì che ogni scena inquietante assuma un livello di drammaticità superiore, lasciando lo spettatore sospeso tra realtà e incubo. In un simile contesto, la colonna sonora non è solo un accompagnamento ma un personaggio a sé stante, che appartiene e arricchisce e potenzia l’intero universo narrativo di *The Arcane Enchanter*.

L’arcano incantatore e il cinema gotico italiano

“The Arcane Enchanter” di Pupi Avati è un raffinato pizzo nel modello del cinema gotico italiano. Vecchie ombre turbinano all’interno di antiche mura di castelli dove i sussurri sono diventati parte dell’atmosfera, legando il passato a un presente molto ansioso.

A lungo riservato ai racconti del terrore, che spesso coinvolgono il grottesco e il materiale, la tradizione horror anglosassone ha poca attinenza qui. Con questo, Avati si tuffa nei labirinti psicologici dei suoi personaggi per esporre la fragilità dell’anima umana predata dall’ignoto; la sua narrazione è una canzone malinconica, da cui gradualmente emergono segreti di famiglia, come i petali di una rosa che si apre alla notte. In questo mondo di fitta nebbia, ogni conversazione è piena di significati nascosti e tensioni; le parole sono strumenti affilati che feriscono più di qualsiasi bestia. The Arcane Enchantress fa più che spaventare: chiede all’osservatore di prendere parte a un viaggio di sguardo interiore, di affrontare le proprie paure e i propri desideri. La musica, un suono lontano di melodie tristi, accompagna le immagini come una dolce metà scomparsa, rendendo il sentimento più forte e trasformando ogni scena in un’esperienza sensoriale indimenticabile.

Avati trasforma il gotico in uno specchio di identità e destino, utilizzando simboli che troverebbero una potente risposta nel contesto culturale italiano. Quelle figure femminili, misteriosamente vulnerabili, incarnano l’incanto e la maledizione stessa dell’attrazione verso l’ignoto. Ecco perché The Arcane Enchantress emerge come un’opera che osa esplorare gli abissi dell’anima, in una provocazione costante rivolta alla complessità dell’essere umano. Il film, quindi, si trasforma in un incantesimo: affascinante, inquietante, un viaggio all’interno del cuore pulsante del gotico italiano.

L’eredità del film

Il misterioso mago di Pupi Avati crea un quadro di sentimenti e segreti; ogni parte ha una poesia silenziosa. Le ombre si muovono nelle sale polverose di un teatro perduto, mentre i pupi, quelle marionette con un’anima viva, condividono storie di un passato che batte sotto la pelle.

La regia di Avati è più che raccontare una storia; è un tipo di magia, una richiesta di guardare come la memoria sia fragile e ricordare sia difficile, come un sussurro che rimbalza sulle pareti di un punto bloccato nel tempo. L’eredità di questo film è il suo potere evocativo, che porta lo spettatore in un’odissea emotiva che sfida gli aggettivi: ogni fotogramma è una pennellata su una tela già intrisa di nostalgia, ogni battuta di dialogo è così ironica e carica, porta il peso delle relazioni umane in tutto questo. In questo enorme murale/affresco cinematografico, l’arte dei burattini, durante una vita tra sogno e realtà, diventa simbolica, lasciando alla fine una scia di domande senza risposta.

Riassumendo, si potrebbe dire che The Arcane Enchanter è più di un semplice film; è un’esperienza. Ciò che lascia dietro di sé diventa parte dell’opera di Pupi Avati, aggiungendo qualcosa di speciale ai film italiani con pensieri profondi su chi siamo e sulla memoria. Proprio come un vecchio incantesimo, il film ci chiede di guardare indietro da dove veniamo e vedere la bellezza nelle cose che non durano a lungo, rimanendo nella mente e nel cuore delle persone che lo guardano come un ricordo speciale e difficile da trovare.

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