Li avevamo lasciati con l’estate in pieno fulgore dunque, ora invece li ritroviamo con la primavera, o così almeno promette il titolo e un po’ anche il packaging, con i suoi alberi écru popolati di uccellini stilizzati e sfumature acquerello. Ci si aspetterebbe dunque un raddolcimento dei toni, meno esplosioni e più soffusione sul fronte sonoro: in parte è così, ma non solo. Quel che sembra certo però, è che il gruppo abbia cestinato senza riserve l’effetto sorpresa tipico del secondo disco, concentrandosi invece su cambiamenti millimetrici, piccoli raddrizzamenti di timone appena percettibili.
Sono canzoni che vanno a bussare la porta direttamente ai quei nostalgici che hanno iniziato ad ascoltare musica quando le chitarre erano ancora delle prime donne, cresciuti davanti alle prime serie TV importate d’oltreoceano, il cui insegnamento più immediato è stato che ad ogni emozione corrisponde un accompagnamento musicale. Spesso sono atmosfere di soffondo, che richiedono l’intimità di una camera ed evocano situazioni archetipali: amori lontani (Annie Serena Malahus) e Puma Suede nuove nella neve (It Snows in Hell), prove tecniche di nuovi amori (Don’t Try to Get in My Life), autolesionismo (All the Children Want Their Milk) e bigamia (Both).
Musicalmente, la formula di base non cambia nella sostanza rispetto al predecessore: la tenzone vocale è sempre tra la dolce spensieratezza di Florencia e il tono caldo di Vittorio, sfrontate chitarre anni ’90 con qualche timida apparizione di basso (It Snows In Hell, The Light At The End Of The Tunnel), batteria non troppo ingombrante e giusto a volte qualche tastiera (Both, All The Children Want Their Milk, I Hate The Summer). Gli aggiustamenti sono nei toni: tutto si fa un po’ più nostalgico, un po’ meno vitale, un po’ più ovattato (vedi Before You Were Born) senza cadere nella nenia o nel disperato. Non mancano piuttosto momenti di sole del disgelo qua e là: le già citate Don’t Try To Get In My Life, con la sua forza testosteronica, e Annie Serena Malahus, dalle atmosfere sghembe e spensierate, possono esserne due buoni esempi.
Malgrado il disco si ispiri a sonorità ormai completamente universalizzate e, almeno all’apparenza, “sicure”, il gruppo riesce a dribblare la trappola e non cadere nel copia-incolla inconscio delle proprie influenze. Con Au Printemps i LLL permettono di rinnovare per altre dodici tracce la magia che sono sicuro aveva suscitato in molti ascoltatori dell’esordio, creando però un’uniformità nella loro discografia che rende particolarmente delicata la posizione di un ipotetico futuro terzo disco e che può rischiare anche di non piacere.
Guardando il lato migliore della medaglia, Au Printemps non manca il bersaglio: così come l’esordio, è un disco che si lascia ascoltare con piacere ad ogni occasione buona, ma che forse rischia di diventare un ascolto en passant, più che un vera e propria “fabbrica di emozioni”. Se si accetta con serenità tutto ciò, il disco diventa un fedele compagno di ascolti, anche se non si può nascondere un po’ di delusione nel vedere che l’elettropop dal sapore nostrano di Both sia rimasto solo una bizzarra parentesi e non il principio di una storia tutta nuova.
Tracklist:
01. Both
02. Before You Were Born
03. (Your Heart Is) Beating The Wrong Time
04. Don’t Try To Get In My Life
05. It Snows In Hell
06. All The Children Want Their Milk
07. Right Time
08. The Light At The End Of The Tunnel
09. I Hate The Summer
10. Annie Serena Malahus
11. Worth The Lie
12. Another Love Song