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Recensione : Lee Gamble

Il disco è cupo e claustrofobico, la ritmica non è mai lineare, molto del suono ricorda i primi dischi di Sqaurepusher o Autechre

Lee Gamble approda ad Hyperdub di Kode9, dopo quattro pubblicazioni per Pan, alcuni tape ed una carriera iniziata con la Jungle negli anni novanta proseguita tra sperimentazioni techno, performance audio visive di confine e un’estetica musicale post rave (che a tratti può essere paragonata ad Actress per la decostruzione del suono), che risente comunque delle influenze Uk garage e break beat e della Jungle con la quale Lee Gamble è cresciuto musicalmente.

Le tredici tracce del disco si legano benissimo ad una narrazione visiva che verrà portata live nelle performance grazie ad un software creato ad hoc, quindi si ha sempre la sensazione di ascoltare la colonna sonora di un video in cui musica immagini e ritmo si fondono assieme.

Il disco è cupo e claustrofobico, la ritmica non è mai lineare, molto del suono ricorda i primi dischi di Sqaurepusher o Autechre (artisti di riferimento giovanile di Lee Gamble), ma ci sono anche tanti segni dell’influenza di Photek e Dillinja o in generale della sua esperienza come producer Jungle. Infatti il percorso di Mnestic Pressure si chiude con Ghost traccia tributo a tutto quel movimento musicale che in tre minuti e quarantanove secondi mi ha riportato indietro di vent’anni.

In generale un lavoro ottimo anche se non di facile approccio, non suona innovativo anzi a volte un poco nostalgico, che paga il tributo ad un’era musicale che ha lasciato tanto all’elettronica contemporanea.

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