Potrei, parlando di questo nuovo disco dell’Esperimento del Dottor K, cavarmela descrivendovi, con toni esaltati ed esaltanti, un’altra eccezionale prova dei Misfits italiani, ma purtroppo non mi pare onesto.
Se io adesso, abrupto, vi dicessi “i New York Dolls sono solo una versione più sgrammaticata dei Rolling Stones e Johnny Thunders solo un Keith Richards più vulnerabile agli effetti deleteri delle droghe pesanti”? Voi cosa direste? Vi si tingerebbe dunque il volto di rossa indignazione e mi accusereste di un semplicismo criminale e sconsiderato?
Ebbene, avreste tutte le ragioni di questo mondo! Parimenti, di fronte a questo bellissimo CD, non posso esimermi, dato l’entusiasmo che ha generato in me, dal fare una più attenta analisi dell’insieme e cercare di farvelo considerare come un qualcosa che va oltre i comodi rimandi e i semplici accostamenti.
L’Esperimento del Dottor K usa lo stesso metodo compositivo che fu dei Misfits di Danzig e, se si vuole, anche dei Dead Kennedys di Biafra: la musica diventa funzionale al testo che, a sua volta, diventa viatico per rappresentare un mondo di immagini e riferimenti piuttosto chiaro e assolutamente non fraintendibile (la satira politica dei Kennedy morti e la cinematografia di genere per i Reietti di Lodi).
L’Esperimento ama gli stessi riferimenti che amavano i Misfits: cinema Horror, il volto di Vincent Price, il Garage Punk che nel cambiare muta si era riscoperto col nome di Punk Rock, Screaming Lord Sutch, il Surf oscuro, atmosfere malsane e disincantate, la Fantascienza, Tales From the Crypt…solo che l’Esperimento del Dottor K può vantare circa quarant’anni di ascolti, visioni e suggestioni in più sulle spalle che dei Misfits e questa non è certo cosa da poco dato che, bene intendersi, si percepisce distintamente quando ci si mette all’ ascolto di questo “Un cerchio rosso sangue”.
Si prenda ad esempio un pezzo dannatamente suggestivo come “Occhi bianchi sul pianeta Terra”: due minuti e trenta di ritmica serrata, un giro unico che ipnotizza e crea dipendenza, chitarra persa in divagazioni ed accenni, atmosfera eterea in odore di Psichedelia e Kraut Rock tenuta a bada da un ferreo piglio Punk che costringe ogni divagazione solipsistica ad un fermo sonoro asservito alla narrazione e alla volontà rappresentativa della commistione fra i due. Quando mai i Misfits si son misurati con un esercizio di stile così?
E ancora: “Berenice”, una stupenda perla Pop declinata in Punk Rock, uno di quei pezzi che si potrebbero suonare in mille modi differenti ma che, in tutte le mille versioni possibili, risulterebbe sempre e comunque un pezzo fresco, stimolante e e divertente.
Questa caratteristica è certo imputabile anche alla produzione dei primi Misfits (non a quelli della reunion anni ’90, che personalmente valuto un po’ fatta d’alti, pochi, e bassi, troppi) ma la capacità di scrittura non si eredita né si scimmiotta, quando c’è, c’è e basta e nell’Esperimento del Dottor K questa è facilmente riscontrabile e dimostrabile.
Per il resto il disco scivola via come sangue da una ferita aperta su carotide: corposo, veloce, rosso di passione e sapido: stralci impazziti e furibondi di una linearità ben congeniata, coerenza che viene dalla compattezza dell’insieme e non dall’esibire una classica ripetizione di temi già ascoltati e consumati;
i Misfits sono comunque un punto di riferimento ma non sono mai un punto di arrivo, la carnalità del suono è gestita sulla centralità del basso (piuttosto ispirato nell’arrangiamento e quindi giustamente in evidenza), la chitarra molte volte gioca su giri costruiti in Power Chord (geniale l’arrangiamento sulla già citata Berenice, semplicità, melodia e intelligenza) e sa farsi da parte rispetto al basso quando opportuno; i testi si ispirano a film horror di serie B ma non sono tributi a questi quanto delle scuse per parlare d’altro: Zombie, tanto per dire, sembra più voler riprendere la filosofia di fondo dei morti viventi di Romero per contestualizzarla nel vissuto attuale.
La cosa che davvero fa male di questo disco è rendersi conto di quanto la nostra vita di tutti i giorni, nella sua routine, nei suoi compromessi e nelle sue sconfitte, somigli sempre più a quella rappresentata nei vecchi film horror che qui vengono riesumati ed esposti apparendo sempre più come fotografie senza filtro né trucco di ciò che vediamo e viviamo nel quotidiano.
Un disco da ascoltare voraci, come degli zombie, e da utilizzare come opportunità di riflessione.