Eccomi qua,
fumo una sigaretta e bevo una birra mentre scrivo
di un sogno
che non ho mai vissuto.
Ombre, figure ormai perse nella nebbia,
Urlano la loro rabbia
a un mare in tempesta.
Sto parlando del movimento hardcore che, quasi una trentina di anni fa, ha invaso lo stivale per lasciare un segno indelebile sulla pelle dei ragazzi che l’hanno vissuto e di quelli che sono venuti dopo. Io “purtroppo” appartengo al secondo gruppo, per di più di quelli che il punk italiano l’hanno conosciuto relativamente tardi.
La prima cosa che mi fulminò ascoltando quelli che sono tuttora un punto di riferimento, i Nerorgasmo, fu il profondo dolore, capace di creare dei veri e propri “vuoti spirituali”, espresso sia dalla musica che dai testi, Il sentimento “maledetto”, la paradossale pienezza di valori contrastante al “nihilismo” (Citando Philopat) ostentato, che ritengo sia la caratteristica portante dell’Hc italiano.
Nella mia collezione si aggiunsero poi Negazione, Cripple Bastards, Nabat, Bloody Riot, Blue Vomit, Wretched, Eu’s Arse, Kina, Peggio Punx, Raw Power, Colonna Infame e tanti altri, sia della prima scena che successivi (Chiedo scusa se non cito o non conosco).
Mi accorsi che tutti erano accumunati da un’attitudine che di scenico, a differenza del british punk o dell’hc americano, avevano ben poco.
Nelle esibizioni live il corpo diventava banco da lavoro, in una sfrontata ricerca di una “body art” che esprimesse tutta la frustrazione
di una generazione tarpata da una società vecchia e criminosa. La ribellione esplose contro un’Italia zitella e pure un pò mignotta, anacronistica e bloccata in un vortice senza via d’uscita, contro un panorama musicale statico al limite del possibile.
In un determinato periodo, prima che i punk italiani si aprissero ai festival tedeschi e francesi nemmeno esisteva una netta distinzione
fra anarcho punk, punk rock, punk hardcore e melodico e proprio questa confusione (Saggezza?) diffusa favorì il nascere di uno stile italiano che fulminò il mondo intero, al punto di influenzare il modo stesso di fare hardcore all’estero (ES: vedi Napalm Death- Leaders Not Followers, “Politicians” by Raw Power ).
Lentamente ma inesorabilmente mi accorsi che l’Italia che aveva dato i natali a quella scena leggendaria è la stessa Italia di oggi e che per l’ennesima volta ci troviamo a sguazzare nella corruzione, nel male più assoluto, nella merda più nera.
I ragazzi che lottano? Ci sono! La rabbia? C’è, eccome!! I bastardi al potere? Ovvio che ci sono (quelli ci sono sempre).
Ma dov’è la miccia che faccia esplodere questa polveriera? Perchè abbiamo ridotto l’hardcore ad una moda? Perchè fra Minor Threath e Black Flag negli I-Pod dei ragazzi fanno capolino personaggi improponibili e fastidiosi che nulla hanno a che vedere con quel sogno?.
Mi sento fortemente legato al punk di quel determinato periodo storico, poichè seppe mettere sul banco una miriade di argomentazioni che oggi si ripresentano prepotentemente, quasi come fossero state buttate lì l’anno scorso. Il “declino della civiltà occidentale” non è mai stato così evidente e palpabile, tuttavia anche la rabbia sembra essersi esaurita, anzi peggio: sembra essere stata incatenata dalle corporazioni, per essere munta come una vacca da batteria e sfruttata a fini commerciali. E dove può volgersi un adolescente per cercare una “vera” via di fuga o di attacco?
Solo al passato può spostare lo sguardo ed ecco che siamo entrati nell’epoca dei revival intensivi; il Grande Fratello sociale cerca di falsare e distorcere quello che ci hanno dato quegli “eroi” (Virgolettato), a volte anche martiri.
Ma a me non piacciono i revival, preferisco andare alla fonte, per quanto possa essere grezza la materia dalla quale sgorga il flusso.
Ho sentito parecchi “punk” rimanere indifferenti o addirittura liquidare i Negazione o i Nabat perchè “La voce fa schifo e si sente male”.
E ogni volta ho la sensazione che fra il ragazzo che la Banda Bassotti sia solo una banda di ladri residenti Paperopoli e quello che pensa che gli Skin siano tutti nazi si sia perso qualcosa; qualcosa di grosso.
Forse è il riflusso generazionale e sono io ad essere nel torto; una specia di personaggio estemporaneo e pure un pò vecchiardo, tipo quei “puristi del jazz” un pò rincoglioniti.
Eppure non riesco a pensare ad un hardcore punk dimezzato, rapinato della sua componente ideologica, fatto solo di devasto nichilista e sonorità vagamente metallare. Mi manca il bersaglio politico che non tutti possono capire, manca l’attualità, forse perchè si punta a fare album che siano validi a livello di testi anche fra dieci anni, non so. Manca l’impegno, quello un pò rischioso che ti fa mettere a repentaglio qualcosa pur di riuscire a dare una mano a una causa, a trasmettere “amore” fraterno a chi la pensa come te ed è coinvolto nei tuoi stessi rischi.
Ma per assurdo (Forse la cosa più grave) manca persino la sincerità nell’esprimere delle emozioni, lo spirito umano e i suoi moti diventano plastica confezionata con carta più o meno buona.
In un mondo in cui fare DIY attraverso internet è semplicissimo, in cui diventare sufficentemente noti è un gioco da ragazzi (In tutti i sensi), si è perso il valore stesso dell’indipendenza dall’etichetta o major. Questo è un bene, è una conquista per chi ha lottato per la libertà di pubblicare un disco da soli ma attraverso uno schermo e un impianto di casse è l’immagine a diventare preponderante, ad aggredire l’ascoltatore/spettatore.
Centinaia di giovani punk dimostrano la loro “durezza” e “forza” ad un obbiettivo fotografico e ad un social network.
Purtroppo a me piace quella voglia di mettersi in gioco, magari in maniera provocatoria ma sempre con una grande umiltà di fondo, con un cuore puro e un pò naif.
Quel senso di ribellione titanica e un pò alla Ortis, capace solo di portare ad una sconfitta dolorosa.
La sobrietà nell’eccesso, il desiderio di cambiare qualcosa che non sia il proprio status sociale o la propria macchina.
Bicchieri alti per tutti quelli che ancora spacciano sogni di rivoluzione.