E’ davvero una bella notizia constatare il definitivo ritorno sulle scene, suggellato da un nuovo album fresco di uscita, dei LOOP, trio inglese capitanato da Robert Hampson, fautore di un rock ‘n’ roll a base di riff psichedelici ripetuti ossessivamente, ma abili nel forgiare, all’interno di una monotonia motorik, un insieme omogeneo formato da influenze indie rock, space rock, drone, acid rock, noise e shoegaze: una fomula che, nella seconda metà degli anni Ottanta, aveva fruttato alla band tre album e alcuni Ep, prima dello scioglimento nel 1991 e la conseguente reunion avvenuta nel 2013, quando il gruppo tornò insieme per suonare dal vivo, per poi decidere di farlo a tempo pieno, dando alle stampe nel 2015 “Array 1“, inteso come il primo tassello di una serie di tre Ep, progetto poi abbandonato da Hampson che, in seguito ha annunciato di aver firmato, nel 2021, un contratto con la label Cooking Vinyl per produrre nuova musica.
E così, dopo i recenti comeback e ristrutturazioni avvenute, negli ultimi anni, in seno ad altre formazioni contemporanee e/o protagoniste, insieme ai LOOP, dello sviluppo dell’indie rock britannico virato shoegaze della seconda parte degli Eighties (Jesus and Mary Chain, My Boody Valentine, Ride, Slowdive, Swervedriver e, anche se per un solo anno, una fulminea riapparizione dei Lush) salutiamo con favore questo nuovo 33 giri del combo londinese.
Ora all’appello mancano solo i Galaxie 500 e i Pale Saints (senza scomodare gli Spacemen 3, perché ormai ci facciamo bastare gli Spiritualized) per riaprire il cerchio di un’epoca d’oro in cui il termine “indie” non era considerato una bestemmia, se paragonato al senso che gli si dà oggi e ciò che ha finito per rappresentare (soprattutto in Italia).
Ed eccoci arrivati ai giorni nostri e a questo “Sonancy”, di fatto il quarto Lp dei LOOP, uscito in questi giorni, e che era già stato anticipato dal singolo “Halo“. Ascoltando l’opening track “Inteference“, dall’incedere primordiale, sembra proprio che, a livello di ispirazione e compattezza sonora, nulla sia cambiato, a 32 anni dall’ultimo studio album.
Chitarre roventi e taglienti, eppure scheletriche e ridotte all’essenziale, usate più come un martello pneumatico che come strumento per abbellire i testi con melodie e assoli. Si prosegue poi con “Eolian“, altro brano elettrizzante contraddistinto da un cantato seminascosto tra strati di eco e da una chitarra deliziosamente monotematica nel suo incessante ripetersi, in pieno stile LOOP, per fare presa sui vostri cervellini affamati di distorsioni.
Avvolta nei feedback è la terza traccia del lotto, “Supra“, segnata da una batteria che rotola su se stessa e chitarre ipnotiche nel suonare, per tutti i cinque minuti di durata, gli stessi accordi, dalla cui reiterazione si evolve un wall of sound che cresce di intensità, man mano che il pezzo prosegue. Il breve strumentale rumoristico “Penumbra I” ci trasporta verso “Isochrone“, una messa neopsichedelica in cui i nostri sacerdoti deviati, inebriati da troppi calici e dopo aver sniffato le ostie in polvere, innalzano all’altare delle nostre orecchie un canto allucinato a base di basso e chitarra distorti, ispirati dalle salmodie tossiche degli Spacemen 3.
Una sbornia lisergica. La già nota “Halo” è una cavalcata psych rock che testimonia l’ottimo stato di salute della band (alle prese con la sapiente esperienza che oggi le permette di calibrare al meglio i suoni e gli spazi in cui gli strumenti si amalgamano per fare più casino possibile) che incredibilmente non sembra avere accusato il logorio della vita moderna e del passare inesorabile del tempo, facendo sembrare “A Gilded Eternity” un disco uscito l’anno scorso, invece che nel 1990. La successiva “Fermion” è una canzone con un approccio più diretto, perfetta per diventare un nuovo cavallo di battaglia ai concerti, con influenze post-punk (soprattutto nel cantato, pericolosamente vicino a quello di Ian Curtis dei Joy Division) mentre “Penumbra II” riprende il discorso sperimentale interrotto nella prima parte, assumendo stavolta un senso compiuto, con meno noise e trame chitarristiche sorrette da un drumming tribale.
Il disco giunge al termine con “Axion“, altro numero che potrebbe diventare un classico negli appuntamenti live, con la sua urgenza espressiva e il suo stile senza fronzoli, e la conclusiva “Aurora” ci riporta al sound psichedelico stordente delle chitarre intrecciate e del canto filtrato narcotico che brucia i neuroni.
Un ritorno col botto, pochi cazzi. “Sonancy” mostra i LOOP più in forma che mai, come se il tempo si fosse fermato al secolo precedente, ma lo scorrere dei decenni ha avuto il pregio di migliorare la sensibilità artistica, la qualità delle idee messe in musica, la voglia di mettersi in gioco e incrementare la crescita tecnica della band, tutto ciò a dimostrazione del fatto che, quando si possiede spirito di avventura e la purezza di una visione, esse non possono essere scalfite dall’incuria degli anni. Fossero tutte così le reunion!
TRACKLIST
Side A
1. Interference
2. Eolian
3. Supra
4. Penumbra I
5. Isochrone
Side B
1. Halo
2. Fermion
3. Penumbra II
4. Axion
5. Aurora