Non appartiene a nessuna stagionalità o temporalità definita il brivido emozionale evanescente dei Lore City, come del resto il nome del duo che si sdoppia nell’omonimo e anonimo piccolo villaggio americano, situato nella contea di Guernsey, Ohio, proponendo un legame paesaggistico con un territorio in cui la flora è amplissima di specie e varia di ecosistemi, questa natura talvolta scarna, desertica, anche nell’anima, a cui obbedisce il progetto e ne diventa sfondo umorale.
Credo altresì sia indubbia la bellezza delle armonie riprodotte nell’album Participation Mystique, le quali raccontano di soundscape magnetici che rassomigliano in tutto alla nebbia che appare in sospensione durante le escursioni termiche dell’aria, in questo caso notate al crepuscolo, accogliendo in seno la notte.
Quel vapore acqueo sospeso in levità crea un ossimoro tra permanenza (mettere radici in un luogo) ed incorporea dilatazione, come i (pro)fumi che diffondono gli incensi, i quali evadono e inventano scenari propensi a modificare l’indole e la percezione, favorendo la ricerca della spiritualità.
Il continuum musicale, seguendo le nove tracce proposte, ugualmente batte su due costanti opposte: la tangibile centralità di elementi basali compositivi e il cambio intrinseco dei moduli sonori beatificanti sospinti verso l’etereo; eppure entrambe chiaramente divise su un piano analitico generano l’indefinito, il luogo lastricato di sentieri e strade infinite dove perdersi fortunatamente sublimati da una sorta di magica galaverna.
In tono blando potrei dire che ascoltare Participation Mystique equivalga a guardare nelle profondità e all’esserne contemporaneamente attratti, pur tuttavia restando sospesi nella tenuità di un volo inerte, fluttuante, preservante.
La sensibilità all’ascolto è richiesta, poi il resto delle sensazioni viene da sé, esalando la malia dark propria di quell’atmosfera irrisolta che richiama costantemente il suo contrario (luci ed ombre, bosco e steppa).
Un’attitudine consolidata nel registro comunicativo esternato dai Lore City, sfuggente alle regole codificate pur riconoscendole nell’atto evocativo artistico.
Non ci si stacca, invero, mai da nessuna track e l’onirico, lo sciamanico, l’angelo salvatore e le dualità concretizzate animano l’albo che entrerebbe gloriosamente a far parte della 4AD, attraversando leggerissimamente un lasso di tempo copioso che ha interessato band epiche di quella label, inanellando le crune di molte d’esse, sicuro carezzandone le cime rarefatte, tramite il pregiato fil rouge che gli appartiene.
Dire di più non credo gioverebbe ad un’esperienza tanto sopraffina e viscerale, eviterei perciò di disturbare i sublimi echi armonici provenienti dalle liriche (poetiche e in dissolvenza), diffusi tra battiti tribali di milioni di ali di farfalle e tastiere post-wave; lascio, invece, spazio a ciascuno di verificare o aggiungere tutt’altre suggestioni uditive e sensoriali a quanto sin qui scritto.
Aggiungo appena qualche nota e breve considerazione.
Ascoltare i precedenti tre album ha posto in rilievo la gestazione che la band ha avuto nell’arco di dieci anni di attività, pur vagando – tranne forse lungo il primo e più estroso capitolo intitolato Absence and Time – alla ricerca di siffatte coordinate stilistiche ove spuntano di certo alcuni superiori paragrafi sonori.
I Lore City, from Portland, Oregon, sono: Laura Mariposa Williams (vocals, keyboard) e Eric Angelo Bessel (percussion, keyboard, guitar).
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