Nei giorni del loro braccio di ferro con la Germania e l’Unione Europea ammettiamo di aver sempre fatto il tifo per Tsipras e Varoufakis.
Pur stando dalla parte della Grecia però, la possibile uscita di Atene dalla moneta unica o dai Patti di Maastricht in qualche modo ci preoccupava e pensavamo potesse essere l’inizio di un momento difficilissimo e di una specie di rovina comune.
Dopo aver letto Il Denaro, il debito e la doppia crisi, abbiamo stracciato ogni nostro minimo senso di appartenenza comunitaria residuo, convenendo che, proseguire sotto Bruxelles a queste condizioni, è quasi davvero l’alternativa peggiore o quella che ci avvierà ancora più velocemente al disastro. Il sociologo ed economista Luciano Gallino in tutti questi anni è riuscito a farci rivedere le idee con spirito più critico decine di volte su molti argomenti cruciali per il nostro paese. Specie quando i media ufficiali li riducevano a rudi tormentoni lessicali o a facili luoghi comuni.
Dallo scorso novembre non potremo più contare sui suoi interventi, ma libri come quello che ci lasciato prima di morire sono testimonianze lucidissime che ci aiuterano meglio a decifrare e comprendere la realtà. Il Denaro, il debito e la doppia crisi, nasce dichiaratamente come un lascito o una chiave di interpretazione destinato ai più giovani e, se vogliamo, proprio per questo ha il merito di essere chiarissimo nel denunciare la crisi e la fine imminente del libero mercato. Anche senza essere radicale come David Graeber, riproponendo un quadro asettico su come le banche hanno il potere di creare ricchezza e debito dal nulla e di come gli investimenti si orientino quasi unicamente su speculazioni di finanza invisibile scollegati dalla realtà, Gallino dimostra come sia difficile nel prossimo futuro sperare in forme più eque di distribuzione del reddito. L’impostazione antiecologica dello sviluppo poi comprometterà sempre di più la sussistenza di milioni di persone tenute fuori dalla ricchezza occidentale, creando un vortice di squilibri che moltiplica di giorno in giorno spaesamento e povertà. Pur avendo uno sguardo internazionale l’attenzione del libro si concentra logicamente sul caso italiano, vero laboratorio della crisi europea. Paradossalmente, i governi del nostro paese sono quelli che negli ultimi hanno seguito con più diligenza le direttive di Bruxelles, senza intervenire praticamente in altro. La cosa è l’ennesima dimostrazione della loro impotenza, se non lo specchio di una incapacità e incompetenza preoccupante .
L’autore non denuncia verità nascoste o teoremi complessi. Mettendo insieme elementi chiarissimi della realtà con cui dovremmo confrontarci tutti i giorni, ribadisce in modo elementare che non possiamo abbandonare la nostra partecipazione attiva alla vita pubblica e che la conoscenza è ancora il primo valore indimenticabile per il cambiamento. Tanto più che gli organi decisionali europei non sono elettivi, e non possiamo minimamente lasciare scoperta ogni minima forma di azione democratica che ci è rimasta.