Catarsi. Dall’enciclopedia Treccani: “processo di liberazione da esperienze traumatizzanti o da sistemazioni conflittuali, ottenuto attraverso la completa rievocazione degli eventi responsabili, che vengono rivissuti, a livello cosciente, sia sul piano razionale sia su quello emotivo”. Quali sono gli ‘eventi responsabili’ in questo caso? Cosa Luz, alias Rénald Luzier, ha sentito il bisogno di rievocare e rielaborare?
Si parla del 7 gennaio 2015, il giorno in cui i fratelli Kouachi hanno fatto irruzione nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo, facendo fuoco e uccidendo dodici persone. Il numero delle vittime sarebbe cresciuto nelle ore successive. Il vignettista Luz festeggiava il suo compleanno quel mercoledì e solo per un caso non si trovava già in redazione quando i fucili iniziarono a sparare. Si era svegliato tardi.
È sua la prima copertina del giornale dopo l’attentato: la caricatura di Maometto in lacrime che tiene in una mano un cartello con la scritta “Je suis Charlie”, mentre il titolo recita “Tout est perdonné”.
Di poco tempo fa è la notizia del suo addio alla testata, notizia che ha scaldato gli animi, accuse di codardia sono piovute addosso a Luzier. “Mais on n’est pas des héros, on l’a jamais été, on l’a jamais voulu” ha detto, in un’intervista rilasciata lo scorso maggio a «Liberation» (Ma noi non siamo degli eroi, non lo siamo mai stati, non l’abbiamo mai voluto). Bisogna essere degli eroi per fare satira? È per questo che Charb, Stéphane Charbonnier, era sotto scorta, per questo che dei poliziotti proteggevano la sede di Charlie Hebdo? Leggendo Catarsi, edizione italiana del fumetto Catharsis uscito lo scorso settembre per BAO Publishing, si può comprendere molto sul mestiere di questi vignettisti, come se ne capiscono sul dolore e sulla vita.
I personaggi che popolano le pagine della BD (bande dessinnée, in Francia indica il fumetto) sorprendono, colpiscono, fanno male. Vengono qui espressi un lato intimista e un tentativo di capire cosa c’è stato dopo, con le manifestazioni vampiresche di solidarietà, i facili simbolismi, le tesi complottistiche, la paura, la vita che “continua”, ma non sarà mai uguale. L’attentato viene rivissuto attraverso lo sguardo di Luz nei dettagli di quella mattina, nei mostri che gli hanno impedito di disegnare, nelle conseguenze pratiche (una vita sotto scorta) e psicologiche. Tutto avvolto da una vena pulsante caustica, irriverente, dissacrante. È un percorso soggettivo, in alcuni punti una catabasi, l’incontro con i fantasmi, una scioccante e sincera confessione dolorosa.
L’omino che Luz disegna nel primo sketch, quando viene interrogato dalla polizia il giorno dell’attentato, è allucinato e bloccato nella realtà. Alla fine, lo stesso omino si muove, cammina, sempre con uno sguardo folle, ma va verso qualcosa: “guarda i tuoi omini, […] vanno avanti. Come te, amore mio. Come noi” dice Camille, l’amorevole compagna, sentimento vivo nel fumetto e nella realtà del vignettista. Qui, come nel resto di Catarsi, si percepisce una linea di demarcazione fra il prima e il dopo, cioè fra come si viveva prima del 7 gennaio e come si vive dopo. In mezzo ai due frammenti di storia che ho appena descritto, Luzier racconta i mille volti di questo percorso impossibile, così come l’ha vissuto, senza pietismi, senza retorica, patetiche orazioni, generalizzazioni o facile razzismo. Non è un fumetto politico. È un racconto umano intriso di pudore.
Ginette è il nodo allo stomaco che lo accompagna, tristezza, paura, paranoia, angoscia della pagina bianca, malinconia, collera, compagna che lo seguirà con costanza, senza abbandonarlo mai. Poi però diventa un’amabile conversatrice. In Una gran voglia di cagare un passero si accinge a dare sfogo ai suoi bisogni corporali, ma viene spaventato dai colpi esplosi nella redazione e scappa disperato; non può più contenersi e alla fine si libera in volo, centrando in pieno la testa di Hollande nel corso della manifestazione di solidarietà.
Camille accorre la mattina del 7 quando Luz la chiama, lo abbraccia, gli sta vicino, ma ha trovato il tempo per mettersi il rossetto. Con lei le paranoie si dimenticano nell’abbraccio dell’intimità, si confondono o meglio si sfogano e vengono rielaborate.
I fratelli Kouachi incontrano Luzier vent’anni fa, ancora bambini e giocano e litigano per chi fa il disegno più bello; ancora, sono loro a confondersi davanti alla sede della testata, ombre sfumate, diventano ballerini e amanti, per tornare a essere due attentatori con il fucile in braccio.
La follia, la paura, un mussulmano che vede in una macchia d’inchiostro la figura di Maometto e accusa Luz di essere miscredente; un ‘vampiro’, lo abbraccia, vomitandogli addosso la sua partecipazione al dolore, lavandosi la coscienza e lasciandolo prosciugato. Sono molti altri gli scorci di vita e di pensieri descritti in Catarsi.
C’è rabbia, ma quella di non poter più discutere con i colleghi uccisi di cosa andrebbe pubblicato (è questa la ragione che lo porta ad abbandonare Charlie Hebdo, dover combattere con i fantasmi a ogni chiusura del numero). Il dolore. E un affresco sincero del mondo tutto intorno, senza veli e senza giustificazioni, come solo un maestro della satira può fare.
Catarsi è un percorso personale e collettivo allo stesso tempo. Lascia il segno, racconta ed esprime con una sincerità disarmante molte di quelle emozioni che spesso rimangono sospese e inespresse.
L’edizione pubblicata dalla BAO Publishing è una piccola opera d’arte, curata in ogni suo dettaglio; la copertina rigida riprende fedelmente quella originale, il testo è riproposto senza aggiunte né spiegazioni, proprio come dev’essere. La traduzione di Michele Foschini e il lavoro accurato di tutto il team (Officine Bolzoni, Sara Bottaini, Leonardo Favia, Francesco Savino e Andrea Petronio) restituiscono al lettore un gioiello di umana comprensione, ricerca interiore e delicata analisi del dolore. Si riesce a percepire l’affetto della casa editrice per questa particolare pubblicazione, affetto che io stessa non ho potuto fare a meno di provare.
L – “Tutti invocano lo spirito di Charlie in qualsiasi momento. A Charlie, poi, noi siamo i soli a non farlo, a essere pudichi, questo forse non è un male. Entro qualche mese, io non sarò più Charlie Hebdo, ma sarò per sempre Charlie.”
QG – “Catarsi le ha fatto bene?”
L – “Oh, sì. Per la prima volta nella mia vita, non avevo paura di una pagina vuota. Me ne stavo a casa mia, la notte, mi dicevo: prendi questo bianco, questa penna, tutto è possibile.”
Dall’intervista rilasciata da Luz a Quentin Girard per Liberation il 18 maggio 2015 (traduzione mia).
Traduzione: Michele Foschini