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Recensione : Maahlas – Nightmare Years

Uno splendido affresco di musica estrema, dove black, death e sontuose parti progressive creano un caleidoscopio di atmosfere magniloquenti

Avrei poco da scrivere su questo album, potrei tranquillamente fermarmi alla parola capolavoro per un esempio di musica estrema amalgamata con stupende atmosfere progressive, suonato in modo magistrale e ricco di un’emozionalità unica.

Ma questa volta non posso esimermi nel fare considerazioni che potrebbero sembrare superflue giacché, parlando di musica, trovo superficiale schierarsi dall’una o dall’altra parte, ma ultimamente leggo sempre più spesso prese di posizione contro l’underground che denotano quanto meno una notevole dose di superficialità.
Ora, io credo che se un disco è bello deve essere considerato per ciò che è ma, purtroppo, per ragioni che mi sfuggono (o forse no …), quando si trovano nella condizione di parlare di opere autoprodotte di livello assoluto, molti addetti ai lavori nella migliore delle ipotesi le snobbano, continuando a supportare band ormai morte artisticamente e trattando l’underground come un inevitabile fastidio, quasi che non facesse parte di quel mondo pur essendo invece la base su cui poggia la sopravvivenza di tutto il circo musicale (e nel metal tutto ciò appare ancor più un paradosso, visto il valore commerciale del tutto relativo anche delle band di media fama).
Vero è che, prendendo ad esempio questa stupenda opera prima dei Maahlas, dal titolo Nightmare Years, la musica incastonata tra i solchi di questo cd non farà riversare folle oceaniche ad assistere ad un futuro concerto di questo bravissimo duo, ma resta indelebile il valore artistico di un’opera simile, cosa che dovrebbe essere motivo di soddisfazione per chiunque abbia a cuore le sorti della musica e del metal in particolare.
Ascoltare Nightmare Years riporta inevitabilmente alle prime uscite degli Opeth, rivelandosi così uno splendido affresco di musica estrema, dove black, death e sontuose parti progressive creano un caleidoscopio di atmosfere magniloquenti, a tratti oscure, squarciate da cavalcate di furioso metallo che creano un’aura di epicità esaltante.
Un disco baciato da un songwriting clamoroso che ha il proprio manifesto nella grandiosa Of Hypocricy, Hate And Fall, brano che racchiude tutto quello che un amante del genere vorrebbe sentire in una canzone, con fughe tastieristiche, cambi di tempo, solos sontuosi, vocals graffianti, il tutto eseguito alla velocità della luce e declamato da un growls da brividi: in buona sostanza, uno dei pezzi migliori ascoltati negli ultimi dieci anni di metal estremo.
Aggiungo che tutto l’album è di un livello degno degli dei dell’olimpo: purtroppo le notizie che abbiamo su questa band non sono moltissime, salvo che i due mostruosi musicisti ufficialmente in line-up, il polistrumentista Cüneyt Çağlayan ed il vocalist Levent Ultanur, nonostante vivano in Norvegia, sono evidentemente di origine turca: l’ennesimo incrocio di culture che aggiunge ulteriore fascino ad un album magnifico … lunga vita all’underground.

Tracklist:
1. Sun of the Sumerian
2. A False World
3. Morning Light
4. An Ancestral Memory
5. At the Edge of Life
6. Æra
7. Nightmare Years
8. The Great Divide
9. The Birth of Setience
10. Of Hypocricy, Hate and Fall
11. Simulacrum of Reality

Line-up:
Cüneyt Çağlayan – Guitars, Bass
Levent Ultanur – Vocals

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