Descrivere la mie ferie non è affatto difficile: ore 14:30, sole ardente, un viale sperduto di una zona industriale, aria pesante, rumori sinistri in lontananza che, via via, si fanno sempre più vicini.
Descrivere questo disco non è affatto difficile: ore 14:30, sole ardente, un viale sperduto di una zona industriale, aria pesante, rumori sinistri in lontananza che, via via, si fanno sempre più vicini.
Il garage surf dovrebbe essere una roba da mettere ai festini in spiaggia, tra gente che sfoggia camicie hawaiane, nasi incipriati di bianco, ragazze in bikini e occhiali scuri, cocktail con l’ombrellino…o
Oppure si prende per buona la teoria di Poison Ivy dei Cramps: il rockabilly, il surf, il garage punk anni ’60, il rock n’ roll primigenio, son solo delle espressioni del nostro subconscio, un altoparlante dell’ES di Freudiana memoria: l’impulso bestiale che, di norma, verrebbe mediato dal super-io ma che il rock n’ roll riesce mettere in pausa, dando lascito ai nostri istinti più animaleschi e disperati.
Per me la tesi di Poison Ivy regge e son convinto che regga anche per questi Maria En Drogas che con questo “El Malviaje de José” ne forniscono una prova esemplare:
ritmi e sonorità garage pop sulle quali si abbattono muri di Feedback e fuzz esasperato, donando alla mente più delle immagini da estate in città, dove la città è un luogo di cementificazione folle ai danni delle sempre più esigue oasi verdi.
Un continuo trascinarsi tra i non luoghi di Augè e una sorta di Trashmen del male, questo è il suono dei Maria En Drogas:
l’iniziale Bulldog parte con uno schianto, un fraseggio di chitarra screziato di fuzz, poi procede in un garage/surf dall’incedere punk rock; la voce è punk, un punk affogato nel riverbero.
Tutto bene, tutto come da copione, Bulldog si chiude e una voce effettata, distante, disturbata da dei suoni confusi di sottofondo, ci introduce al pezzo che da il titolo al disco: un surf psichico sull’idea dei Man…or Astroman?, la voce declama e affoga nel magma del suo stesso eco e poi ecco i feedback, il frastuono di pedali utilizzati come pulsanti per il lancio di bombe H frantumano la canzone, la devastano in un finale che, più che di armonico, ha il sentore dell’inevitabile.
Il pezzo successivo, Jesus profeta apocaliptico del milenio (titolo stupendo), non si sposta nei riferimenti ma risulta più strascicata, ansimante, claustrofobica; anche qui il rumorismo torna per diventare una costante per tutto il disco.
Mal Encarado rialza il tiro con un po’ più di ritmo ma le divagazioni malefico-psichedeliche di chitarra la rendono una canzone perversa e, proprio perché tale, interessantissima.
Il picco del disco si raggiunge sul finale: la trilogia di “El Arte del Procrastinar”è una cavalcata scellerata, senza freni e senza buon senso (proprio per questo mi piace da morire), tra punk rock, garage marcissimo alla Back From the Grave, Noise, Iconoclastia e Solitudine, fungendo perfettamente come vomposizione-manifesto dell’intero disco e anche della filosofia dei Maria En Drogas: una narrazione diversa dell’estate, un viaggio nelle paranoie di una mente sconvolta da un anno di lavoro e che ora si riposa, ma, rilassandosi, fa fluire all’esterno di sé, il magma dei propri traumi, delle proprie patologie, taciute da un anno intrappolato dentro orari, produttività e paura per il domani ma che adesso surfano incontrastate tra le pieghe della corteccia cerebrale: l’unica soluzione per tamponare l’emorragia di nere riflessioni e oscuri presagi pare essere proprio rifugiarsi in paradisi artificiali indotti dagli alcolici e dagli psicotropi…
E
Estacionamento chiude il disco, una sorta di “Fever” di crampsiana memoria rappresentata come una via crucis, una marcia decadente verso la fine (di se stessi, della società, della civiltà, di tutto!).
Le ferie sono solo l’illusione del riposo. Nessuno, a parte noi stessi, può decidere quando arriva il momento fisiologico per staccare la spina. Il resto son solo contentini.