Ogni occasione è buona per parlare del compianto Mark Lanegan (che manca, e anche tanto) e allora a ‘sto giro accogliamo con favore questa “operazione di recupero” della Beggars Banquet e andiamo a trattare questa imponente ristampa, “Bubblegum XX“, uscita quest’anno in occasione del ventesimo anniversario dalla pubblicazione originaria dell’album, “Bubblegum“, all’epoca sesto long playing solista del nostro (nonché primo come Mark Lanegan Band) che vide la luce nell’agosto 2004 sulla stessa label britannica.
La genesi di questo Lp risaliva al 2003, quando Lanegan, reduce da un lungo tour con i Queens of the Stone Age (band con cui ha collaborato per alcuni anni, su invito dell’amico e membro fondatore Josh Homme, già insieme a Mark, per un breve periodo, anche negli Screaming Trees, dando il proprio contributo nelle registrazioni del capolavoro “Songs for the deaf“) rilasciò un Ep anticipatore, “Here comes that weird chill“, che lasciava già intravedere un cambio verso una nuova direzione sonora che sarebbe stata intrapresa per l’imminente prova sulla lunga distanza, che arrivò nel 2004 (anno in cui Lanegan annunciò ufficialmente la fine della sua collaborazione con i QOTSA) e “Bubblegum” segnò l’inizio di una seconda parte del suo percorso musicale in proprio (accompagnato dai musicisti che suonavano con lui durante le tournée mondiali, ma caratterizzato dall’assenza, pressoché totale, del bassista/chitarrista Mike Johnson, che fino ad allora aveva suonato su tutte le precedenti prove soliste di Lanegan) e fu sicuramente un disco che si distanziava parzialmente dai precedenti lavori in stile cantautoriale dark/folk/rock tenebroso, introspettivo e oscuro (tra cui vale la pena di menzionare almeno le pietre miliari “Whiskey for the holy ghost” e “Field songs“) per virare verso lidi più marcatamente blues rock e sonorità più aggressive, e che fu concepito in un frenetico periodo di forte stress emotivo e psicologico (tra un divorzio e i noti problemi di “Dark Mark” con tossicodipendenza e con l’alcool) per Lanegan che, durante le pause dal tour coi QOTSA, aveva composto abbastanza materiale per riempire due album, ma si ritrovò a registrare il full length in giro per vari studi negli Stati Uniti, e il risultato finale, seppur godibile e di discreta fattura, risentì della mancanza di amalgama tra i vari pezzi, di fatto assemblati in un calderone sonoro non messo ottimamente a fuoco, probabilmente penalizzato da troppe ospitate e “featuring” eccellenti (da PJ Harvey a Josh Homme e Nick Oliveri, passando per Greg Dulli e gli ex Guns ‘n’ Roses Duff McKagan e Izzy Stradlin) ma che tuttavia fecero registrare ottimi riscontri di vendita e presso il pubblico.
In questa nuova versione espansa (che fa il paio col classico formato in doppio Lp del solo “Bubblegum”, con la tracklist del 2004 rimasterizzata) ai quindici brani della tracklist originaria (di cui vanno citati almeno gli episodi meglio riusciti, e tra questi c’erano sicuramente la magnifica e struggente opener “When your number isn’t up“, l’ipnotica e martellante “Metamphetamine blues“, il duetto con PJ Harvey nel singolone (memore dell’esperienza delle Desert Sessions) “Hit the city“, il rock ‘n’ roll sanguigno di “Sideways in reverse“, “Can’t come down” e “Driving Death Valley Blues“, con quest’ultima in cui riecheggiava il recente passato nei QOTSA; le calde “Strange religion” e “Like Little Willie John“, in cui risaltava la voce inconfondibile, forgiata a whiskey e tabacco, di Lanegan, perfettamente a suo agio nell’intepretare il ruolo dello storyteller di frontiera e poeta dell’inferno della dannazione che strazia corpi e spiriti dei derelitti della società, cantore dei tormenti che dilaniano l’animo degli esseri umani in quanto esseri imperfetti e fallaci – in primis, egli stesso e i suoi demoni, un uomo che ha accettato di convivere coi suoi fantasmi – ) sono stati aggiunti i pezzi dell’Ep “Here comes that weird chill (Methamphetamine Blues, Extras & Oddities)” (realizzato insieme al fido Josh Homme, Nick Oliveri, Chris Goss, Alain Johannes, Dave Catching e Greg Dulli, e in cui svettavano “Skeletal history” e le due versioni di “Sleep with me“, oltre a una cover di “Clear spot” di Captain Beefheart) con tre bonus tracks (“Sympathy“, “Mirrored” e “Mud pink skag“) e, soprattutto, ulteriori tredici tracce, tra demo (registrati in alcune stanze d’albergo, in giro per il mondo, insieme a Troy Van Leeuwen, e da quest’ultimo recuperati) e inediti – principalmente outtakes provenienti dalle sessioni di registrazione di “Bubblegum” – tra le quali si segnalano “Heard a train“, l’uggiosa “Leaving new river blues“, la cover di Johnny Cash “You wild Colorado” e “Union tombstone” (una canzone in cui era previsto un altro featuring/duetto, non realizzatosi all’epoca, con Beck che però oggi, per l’occasione, ha inciso le sue parti vocali “a posteriori”). Il tutto ottimamente rimasterizzato agli Abbey Road studios a Londra (per la gioia, seppur postuma, di Lanegan, che aveva sempre sognato di incidere del materiale in quegli studi leggendari, e non è mai stato soddisfatto della resa su disco di “Bubblegum”, e pensiamo che gli avrebbe fatto piacere sapere che Geoff Pesche ha fatto un lavoro egregio). A corredo dei quaranta brani complessivi, c’è anche un libro commemorativo di 64 pagine con foto inedite e contributi scritti da Brett Netson e i succitati Van Leewuen, Homme, Goss, Johannes, Catching, Dulli e McKagan.
Hands down. Quando una reissue (che, a grandi livelli discografici, resta sempre e comunque un fruttuoso business) è fatta bene, ridando nuova vita al materiale originario e rinvigorendolo di nuova sostanza, stavolta non c’è niente da eccepire. Chapeau. Un buon modo per mantenere vivo il ricordo (oltre al concerto in suo omaggio che si terrà, il prossimo 5 dicembre, alla Roundhouse di Londra, per celebrare la sua musica e quello che sarebbe stato il suo sessantesimo compleanno) di un cantante e musicista dal valore artistico incommensurabile. Mark, you left this “heaven” so soon.