I viaggi nel tempo sono uno dei temi classici della fantascienza, e allo stesso tempo uno dei più complessi da trattare. Non è facile infatti dare un senso ai movimenti temporali senza entrare in palesi contraddizioni fisiche e metafisiche. Chi di voi guardando Ritorno al futuro non ha mai pensato “ma ora che Marty Mcfly è ritornato indietro nel tempo dovrebbe incontrarsi, dovrebbe esserci se stesso due volte… e questo come può essere possibile?”. O in un modo simile guardando Terminator, “come si giustifica il fatto che Kyle Reese torni indietro nel tempo e faccia l’amore con Sarah Connor generando John, il messia a capo della resistenza contro Skynet nel futuro, che è lo stesso che spedirà Reese nel nostro, e che però ci è già morto e così via?”
Non che tutte queste spiegazioni siano necessarie, per carità. È finzione (purtroppo) e come tale va fruita, e ciascuno poi è libero di crearsi le sue spiegazioni scientifiche (universi paralleli, piani temporali ecc.). E tuttavia bisogna essere dei maestri dell’arte del “non detto” per aggirare tali problemi, come lo sono i registi degli esempi di cui sopra, come lo è Kurt Vonnegut in Mattatoio n.5 (solo per citarne uno, celeberrimo).
E un ottimo lavoro lo fa anche Livio Horrakh nel suo Memphis all’infinito, romanzo che, al netto del pippone che vi ho attaccato su, mi appresto a recensire e suggerirvi. Horrakh è uno scrittore, giornalista e traduttore professionista con all’attivo diversi saggi di linguistica, due romanzi e una ventina di racconti di fantascienza, con un paio dei quali ha vinto anche dei premi letterari..
Nel suo romanzo, il giovane fisico Jim si trova coinvolto in una indagine su presunti viaggi nel tempo. Il suo padre adottivo custodisce i segreti di un progetto governativo deciso a cambiare alcuni eventi legati a un attentato al fine di modificare le future elezioni presidenziali americane. La giornalista con cui Jim se la intende lo convince a mettere le mani su dei file, lui ci riesce, ma le cose precipitano e l’unica maniera per Jim di fuggire è catapultarsi nel 1954, aspettare lì per qualche tempo e tornare indietro (o in avanti). Al suo ritorno, il mondo è cambiato in alcuni dettagli, piccoli e grandi, ma quello che a Jim interessa ora non è riprendersi la sua vecchia vita, ma recuperare un amore perduto in quella Memphis di cinquant’anni prima.
La narrazione è interessante. Horrakh utilizza uno stile che ricorda quello dei grandi romanzi americani del Novecento con un costante zoom narrativo. Il libro è diviso in parti, a seconda che Jim sia nel presente o nel passato, anche questa una scelta intelligente. La questione sessuale è sempre presente e le scene esplicite diventano un vero e proprio filo rosso che unisce gli eventi e aggiunge quel pizzico di piccante in più al tutto. Inoltre, per tornare alla questione viaggi nel tempo, l’autore fa un ottimo lavoro di decostruzione narrativa, creando un effetto vertiginoso di ripetizioni: spostarsi nel tempo equivarrebbe quindi a essere catapultato in un incrocio di più dimensioni, dove la realtà cambia i suoi dettagli in continuazione diventando incoerente pur procedendo cronologicamente in avanti. Ecco un esempio:
“Come folate improvvise i microstati attraversavano, con lui, quel portone, e ombre di colonne che prima non c’erano si succedevano ad altre oscurità e a lampi di luce di persone che transitavano, simili a fantasmi incorporei, su quei gradini. Si portò una mano al petto, dove, in un altro universo, un proiettile gli aveva squarciato la carne e lui era crollato a terra in un lago di sangue – oppure, non ricordava più, i killer l’avevano colpito allo stomaco. Scosse il capo e, un grado sulla linea di caduta più avanti, l’ultima mente decise di ritornare sui suoi passi.”
Purtroppo, un editing superficiale rovina quello che comunque è stato un lavoro encomiabile. Esteticamente il libro si presenta bene, è curato nella grafica e nell’impaginazione, ma il testo presenta parecchie incertezze tecniche e ortografiche, refusi e inconsistenze nei segni d’interpunzione e nelle interruzioni di paragrafo.
A parte ciò, quello di Horrakh è un ottimo libro che ci fa capire come in Italia ci sia una bella tradizione fantascientifica. Certo, esiste tanta roba superficiale, soprattutto nei contenuti, ma anche tante opere non valorizzate e misconosciute, che meritano un’attenzione di pubblico maggiore, al di là della loro confezione un po’ approssimativa.
2 Comments
Livio Horrakh
Posted at 18:07h, 09 LuglioGrazie per la bella recensione!
Sto cercando un editore all’estero per la traduzione, ma sembra un’impresa impossibile…
.Livio Horrakh
Stefano Spataro
Posted at 18:13h, 09 LuglioÈ stato un piacere leggerlo e recensirlo. In bocca al lupo per la ricerca! 🙂