A tre anni di distanza dal loro debutto, i Metallic Taste Of Blood, supergruppo ora composto da Eraldo Bernocchi, Colin Edwin, Ted Parsons, Roy Powell e Matilde Bernocchi, ritornano con gli otto brani di Doctoring The Dead. Il nuovo capitolo, pur rimanendo fondamentalmente duro e incisivo, lascia maggior spazio al lato melodico e raffinato della formazione.
Il caldo impasto di chitarre di Ipsissimus, avvicinandosi pericolosamente alla superficie del sole, lascia campo libero al dialogare costante di basso e batteria, mentre il ruggire calibrato e sempre puntuale di Pashupati, sostenuto da una morbida struttura fatta di ritmo e melodia, lascia che a seguire siano gli angusti misteri celati fra le note della scura e, a tratti, granitica, Synthetic Tongue.
L’animo quasi jazz/matematico di Doctoring The Dead, invece, dissolvendosi in un vuoto elettronico, ritorna poi scomposto e distorto, aprendo all’alternarsi di chitarre compresse e paesaggi dilatati di Blinde Voyeur.
I respiri della spaziale e onirica Day Of Bones, in conclusione, infrangendosi in un finale contorto e spigoloso, cedono il compito di chiudere al caldo procedere della grassa Murder Burger e al cuore solitario, nascosto sotto il peso delle chitarre, di The Death Of Pan.
Tre anni fa bollavo il debutto dei Metallic Taste Of Blood come altamente tecnico, ma freddo e incapace di comunicare. Di fronte a questo Doctoring The Dead, però, non posso far altro che cambiare totalmente la mia opinione. Gli otto pezzi di questo nuovo lavoro, pur non mettendo da parte la qualità tecnica, dimostrano di nascere da un’urgenza espressiva che prima sembrava mancare. Un lavoro denso e corposo che trasporta in mondi paralleli, mostrando, ad ogni ascolto, sempre qualcosa di nuovo.
Tracklist:
01. Ipsissimus
02. Pashupati
03. Synthetic Tongue
04. Doctoring The Dead
05. Blind Voyeur
06. Day Of Bones
07. Murder Burger
08. The Death Of Pan
Line-up:
Eraldo Bernocchi
Colin Edwin
Ted Parsons
Roy Powell
Matilde Bernocchi
Una risposta
Non so se sia una coincidenza ma questo lavoro (tecnicamente eccellente) sembra pesantemente influenzato da “How to measure a planet?” dei The Gathering, risalente al lontano 1998 (per me la loro opera più grandiosa). In senso positivo comunque, un album onirico come da molto non se ne sentivano!