Rino è un giovane non troppo contento della sua vita. Dopo cinque lunghi anni di scuola di graphic design, si ritrova a lavorare in un’azienda che dire malinconica è dire poco.
Rino è scoraggiato dalla vita, perché lavora negli uffici della Rip Color, azienda specializzata nella fotoceramica per lapidi. La sua vita è a un punto di svolta, e questo Rino lo capisce. Sente questa forza, questa necessità di cambiamento sospinto dall’intolleranza verso la vita, verso il suo lavoro, verso suo padre e tutto il resto del mondo. Rino è affranto e insoddisfatto dalla monotonia e il difficile rapporto con suo padre lo rende svogliato e assente. Guardare le foto dei defunti e ritoccarle con photoshop, per dare un po’ di colore qua e cercare di eliminare qualche ruga là, non migliora certo la situazione. L’unico lato positivo, semmai uno dovesse essercene, del suo lavoro è che in questo modo Rino ha la possibilità di studiare, sperimentare e fare maggiore esperienza delle teorie espresse dal padre della criminologia. Cesare Lombroso è passato alla storia per i suoi studi antropologici e fisiologici sulla natura del male. Lombroso ha descritto dettagliatamente i caratteri fisici più comuni di ogni genere di criminale, e sono proprio questi macabri studi ad affascinare profondamente Rino. Quella sequenza infinita di volti è, per Rino, un campo d’azione ricco di elementi con cui esercitarsi e capire quali di quei volti rispecchiassero il male. A Rino, oltre l’interesse per la fisiognomica, piace molto cucinare. Da bambino ha avuto un difficile rapporto con il cibo, problema che si trascina addosso ancora da adulto, ravvivato dall’atteggiamento disgustato e menefreghista del padre. Quando il suo amico Jonathan gli propone di fuggire da questa squallida società consumistica, corrotta, deprimente e senza speranze, Rino non accetta subito, ma ci riflette parecchio. Finché non deciderà, per impeto e per rabbia, di seguire l’amico Jonathan. I due sono alla disperata ricerca di un mondo più puro, più umano, slegato dai piccoli e futili problemi della vita ordinaria, dalla banalità e dal vuoto che riecheggia e rimbomba nelle menti del popolo inetto e inconsapevole. Rino, più della felicità e della pace, è alla ricerca di sé stesso e di risposte molto più pregnanti e decisive per la sua vita. Riusciranno a trovare la pace? La comunità nel bosco, dalla quale si rifugeranno e nella quale si sentiranno (momentaneamente?) a casa, si dimostrerà all’altezza dell’utopia che i due sognatori rincorrono? Riuscirà a regalargli quella felicità a cui tutti aspiriamo? Oppure la serenità paventata dagli esponenti del bosco sarà solo una facciata, dietro la quale si cela molto altro? I pesci non hanno sentimenti ha un significato profondo, nascosto dietro una storia bellissima ma sofferta, che oltre a scuoterci l’anima e farci rimanere a bocca aperta, non può che spingerci verso una – ormai – necessaria riflessione. I pesci non hanno sentimenti apre magnificamente le porte al dubbio, alla coscienza, alle domande, al desiderio e alla ricerca. Di un mondo migliore, che forse non può esistere.