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Recensione : Ministri – Fuori

Ministri - Fuori: All'inizio aspettavo con ansia l'uscita di questo nuovo disco. Dopo l'interessante I soldi sono finiti, il succulento L...

All’inizio aspettavo con ansia l’uscita di questo nuovo disco. Dopo l’interessante I soldi sono finiti, il succulento La piazza Ep e il clamoroso Tempi Bui, non vedevo l’ora di ascoltare nuove canzoni, nuove parole, di vedere fin dove si sarebbero spinti con le loro chitarre nervose e rabbiose, con i loro testi al vetriolo. Ad anticipare il nuovo disco ci hanno pensato i due video (Il sole e Gli alberi), ma invece di entusiasmare hanno messo in guardia, facendo nascere terribili sospetti. E poi, è arrivato il 12 Ottobre, Fuori è uscito nei negozi, e ora tutto è sotto l’occhio di tutti, anzi, tutto è nell’orecchio di tutti.

E’ con Il sole (è importante che non ci sia) che si apre questo nuovo capitolo, con le sue ritmiche campionate elettronicamente, il teso riff di chitarra e il basso viscerale in sottofondo, molto ammiccante e orecchiabile nell’insieme. A seguire c’è il primo singolo estratto, Gli alberi, che prosegue sullo stesso livello qualitativo del precedente pezzo nonostante abbia meno mordente e facciano capolino i primi synth. Se Vestirsi male è un colpo al cuore per chi si aspettava canzoni aggressive e caustiche (cioè io), proponendo una ballata perfetta per MTV, con il suo ammiccare a melodie da diabete tra tastiere e arrangiamenti alla Coldplay, Noi fuori punta a riequilibrare la situazione, nonostante si perda in un testo tremendamente ripetitivo (stile elenco) e cerchi di esplodere nel finale (fallendo palesemente). Tutta roba nostra, decisamente anni ’80 nel sound, delude quando si perde in un ritornello che (mi spiace dirlo) ricorda band come Finley, Lost e compari vari, mentre Le città senza fiumi, sempre un pò legata a un sound che fu, ricordando vagamente le sonorità di Summer on a solitary beach di Battiato, è apprezzabile, nella sua linearità e semplicità. Una questione politica sembra prometter bene, ma perde forza a causa della ripetitività del testo (ma quante volte viene ripetuto “è una questione politica”???). A rimettere le cose un po’ in ordine ci vorrebbe provare Due dita nel cuore che sarebbe perfetta in tutto, se solo una mia amica non mi avesse fatto notare che “cacciati due dita nel cuore” ha una gran bella assonanza con “cacciati due dita nel c***”. La petroliera ricorda un po’ i Muse, ma non dispiace, con la sua melodia di pianoforte morbida e delicata, mentre, a seguire, Mangio la terra, insieme a Che cosa ti manca proseguono sulla buona strada, aumentando i ritmi e cercando di esser più viscerali. A concludere ci pensa Vorrei vederti soffrire, che, nonostante il titolo incisivo, si dispiega come una dolce ballata, quasi sognante, ma piena di inquietudine e di incertezza. In ultimissimo ci viene regalata una bonus track, che però aggiunge poco o niente.

Che cosa dire? I Ministri non sono più i Ministri, o almeno, non sono quello che tutti si sarebbero mai aspettati: è palese il cambio di rotta, il voler (o dover) metter da parte certa aggressività e certi testi dannatamente cinici e caustici.

Le melodie si fanno più leggere, orecchiabili e si, anche commerciali, mentre gli arrangiamenti si fanno più curati (forse c’è un po’ di influenza da parte dei prediletti Iori’s Eyes, che compaiono anche in Vorrei vederti soffrire), si fa un grande uso (o abuso) di synth e tastiere, si volge spesso lo sguardo agli anni ’80 (che così tanto vanno di moda in questo periodo) e ci si fa ispirare un po’ dagli ultimi lavori di Muse e Coldplay. Per quanto riguarda i testi, le cose si fanno più cupe: non c’è più ombra della grinta del passato, niente cinicità o frasi al vetriolo, ciò che resta in testa sono frasi piuttosto banalotte che un po’ fanno vergogna, nessuna vera polemica e nessuna protesta accesa. Dragogna sembra essersi perso nel labirinto non-sense delle sue parole senza più riuscire a far scaturire emozioni viscerali o pensieri dannatamente arguti. Pare manchi una certa creatività, ben notabile in Noi fuori e Una questione politica.

In conclusione cosa resta? Un cambio di rotta, canzoni con meno mordente e maggior orecchiabilità. La Universal sarà ben gioiosa dei grossi guadagni che farà, i Ministri non so quanto possano esser contenti di passare in rotazione fissa su TRL (ho questo vago presentimento).

Forse è quello a cui i Ministri hanno sempre ambito, mentre noi ci siamo solo illusi, ma non me ne posso convincere. Forse la casa discografica ha messo fretta e loro si son trovati a dare alle stampe un disco piuttosto raffazzonato e non ben curato, piuttosto probabile. Forse hanno cercato di cambiare la rotta rispetto al passato e questo è solo un primo abbozzo, me lo auguro. Di sicuro c’è solo che questo disco è decisamente differente dai precedenti. A causa delle sue caratteristiche potremmo definirlo “disco di transizione”: molti ne rimarranno delusi, molti entusiasti. Io lo definirei un buon disco, se fosse un disco di b-sides, ma visto che così non è, non resta che dire che è un paio di gradini sotto rispetto ai precedenti lavori. Speriamo nel prossimo lavoro.

TRACKLIST:

01 Il sole (è importante che non ci sia)
02 Gli alberi
03 Vestirsi male
04 Noi fuori
05 Tutta roba nostra
06 La città senza fiumi
07 Una questione politica
08 Due dita nel cuore
09 La petroliera
10 Mangio la terra
11 Che cosa ti manca
12 Vorrei vederti soffrire

MINISTRI - FUORI

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