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Recensione : My Dying Bride – A Mortal Binding

A Mortal Binding è un lavoro tutt’altro che scontato e superfluo e testimonia quanto una band come i My Dying Bride che, piaccia o meno, ha fatto la storia, abbia tutto il diritto di continuare a riproporre con grande dignità, competenza e coerenza quel sound peculiare che, parafrasando la copertina di un noto periodico italiano, “vanta innumerevoli tentativi di imitazione”.

My Dying Bride – A Mortal Binding

Se dovessi indicare la band che più di altre ha accompagnato in maniera significativa la parte (per così dire) adulta della mia vita, l’unica risposta possibile individuerebbe come tale i My Dying Bride; la devozione e la riconoscenza non mi impediscono però di ritenere che i momenti più splendenti del gruppo di Halifax corrispondono essenzialmente al periodo dei primi quattro album, con i quali sono stati raggiunti picchi compositivi ed emozionali mai più avvicinati successivamente, pur mantenendo costantemente un livello medio alto in tutte le uscite.

Faccio questa premessa perché oggi l’accoglienza nei confronti dei My Dying Bride sembra suddividersi nettamente tra chi li adora in maniera pressoché acritica e chi, invece, li considera ormai alla stregua di sorpassati dinosauri, quasi fossero la versione gothic death doom dei vari Iron Maiden, Ac/Dc, ecc.; se la seconda delle due posizioni appare eccessivamente severa, quasi che per Stainthorpe e soci fosse una colpa quella di continuare a incidere dischi mettendo in ombra le realtà emergenti, d’altra parte è vero che si può lecitamente amare in maniera incondizionata una band storica a patto di non ignorare per questo anche chi si propone in modo ben più fresco e impattante ai giorni nostri.

Ma veniamo al dunque: A Mortal Binding è il quindicesimo full length di una carriera che ha abbondantemente superato i 30 anni per un gruppo che è una e vera e propria icona per gli appassionati di doom estremo e, pur trattandosi né più né meno di quanto mi sarei aspettato, non per questo mancano spunti di interesse da prendere in esame. Infatti, se è vero che il nuovo album non raggiunge i livelli dei capolavori di un tempo, va anche detto che si propone come uno dei migliori tra quelli pubblicati dalla band nel nuovo millennio, questo nonostante appaia talvolta un po’ meno limpida la vis compositiva, soprattutto nei brani in cui Aaron rispolvera un growl supportato da un tessuto sonoro spiccatamente death metal; del resto, non è un caso se i brani migliori sono proprio quelli in cui il vocalist offre il suo cantilenante cantato pulito, appoggiandosi al sempre peculiare violino e a una chitarra finalmente capace di tessere melodie dolenti.

Se lascia abbastanza perplessi la scelta di proporre come primo singolo un brano piuttosto ordinario come Thornwyck Hymn, già il successivo estratto The 2nd of Three Bells, abbinato a un video molto efficace, fa intuire che i My Dying Bride non hanno smarrito la capacità di produrre un sound avvolgente e di grande intensità; dopo lo scorrere di cinque canzoni solide e impeccabili ma sostanzialmente prive di picchi indimenticabili, la tracklist regala in coda due splendidi episodi come A Starving Heart e Crushed Embers, facendo capire anche ai più scettici che la fiammella emozionale accesa fin dal 1992 con il seminale As the Flower Withers non si è ancora spenta. Tutto ciò rende A Mortal Binding un lavoro tutt’altro che scontato e superfluo e testimonia quanto una band che, piaccia o meno, ha fatto la storia, abbia tutto il diritto di continuare a riproporre con grande dignità, competenza e coerenza quel sound peculiare che, parafrasando la copertina di un noto periodico italiano, “vanta innumerevoli tentativi di imitazione”.

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