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Recensione : New Kind of Kicks #1

Parliamo di ; Big Hog, Catorcio, Cool Sorcery, Combat Tribes, Deebeat Ramone, Desborde, Fen Fen “Fen Fen, Ghoulies, Doms, Klint, Mambo Kids, Red Mass, Wrathian, Hot Chicks, Los Refrescos, Munchkin Head, Scemo, Snooper, U.D.O.

Esiste una tendenza piuttosto invereconda tipica di chi più non si entusiasma; come a dire “Son stanco, son fiacco e la vita non mi appare più come un balocco come quando ero bimbo e mi palleggiavo tra uno stupore e un altro”.

Quando colgo questo in un discorso, orale o scritto, non vi nascondo che mi rattristo, poiché mi sento come l’unico fesso rimasto a provare entusiasmo per un disco di recente rilascio.

Ma poi la spina inserisco, accendo il giradischi, il lettore o il mangianastri e tosto mi compiaccio poiché mi pare sempre che di entusiasmo sia sempre condito il mondo della musica che, da sottoterra, affiora ogni giorno in questa mesta valle che, con tanto ottimismo, continuiamo a chiamare pianeta Terra.

Tanti insulti, suoni, ultrasuoni, urli, lamenti, pianti distorti, rigurgiti di gente che non ha perso la voglia di raccontarsi, suonarsi ed esporsi per quello che è, senza trucchi e senza inganni.

In quanto scrivano qui riporto e vi propongo quanto evinco dal continuo consulto di un mondo nascosto.


Big Hog “Flower”, 2022


Per ascoltare i Big Hog non occorre essere Hardcore Punk, occorre piuttosto una certa propensione all’assurdo e all’ironia della sorte; una passione smodata per l’incidente fortuito, le dimensioni parallele, le parolacce, il fatalismo, l’immaginario Thrash Metal anni ’80, le bombe atomiche e i maiali belli grossi (non come alimento ma come animali guida). Cosa hanno in comune tutte queste cose? Qual è il sottile fil rouge che le unisce e le costringe insieme? Nessuno.

Nessuno eccetto, appunto, i Big Hog che di qualsiasi cosa non abbia scopo o direzione riescono a fare partitura e, da partitura, genialità sfrenata camuffata sotto una sezione ritmica serrata, una chitarra malata di Punk e Noise e una voce tra l’urlo e il delirio.

Il Grind Core qui si mostra nel suo aspetto più assurdo e devoto all’odio completo verso la routine e l’abitudine. Fucili giocattolo puntati contro una società morente. Ascoltateli per non sentirvi più soli.


Catorcio “Catorcio”, 2022-Vollmer Industries



Si potrebbe pure dire che tutto questo cimento volto verso il caos sia solo un esercizio di stile e nulla più, ma si farebbe un torto a chi, questo gioiello, si è buttato, anema e core, a comporlo:

geometrico, certo, ma mai accademico, questo disco si sviluppa in un percorso a metà fra fughe Fusion e Free Jazz e schianti di Hardcore estremista e Noise Rock che lo è altrettanto (estremista, intendo dire).

Non si rilassano mai i Catorcio ma sparano sulla folla note che non sono mai vere e proprie note ma lettere dell’alfabeto ritagliate da articoli di giornale per scrivere ricatti, minacce, richieste di riscatti. In quest’ironia, che inizia già dal nome del gruppo, c’è un qualcosa di delinquenziale, di violento.

Occorre cavalcare questa bestia amorfa e rintracciare un senso proprio qui, dove si cerca di camuffarlo in tutti i modi, rischiando, sia nel lasciarsi condurre che nel voler domare, di impazzire. Ne vale certamente la pena.


Cool Sorcery “Intergalactic Void Boys”, 2022-Syf Records



Secondo EP per Marcos Asissis dal Brasile, quel Brasile che ci ha appena dimostrato che il sovranismo dura poco e funziona peggio.

Per festeggiare Marcos registra cinque pezzi di Garage sospeso fra i generi, le dimensioni e i decenni; tiro quadrato e ossatura ritmica solida ma armonicamente soggetto a cambiamenti repentini di atmosfera: chitarre sature, in odore di revisionismo Hard Rock anni ’90 (Soundgarden, Alice in Chains) che si aggiungono e si tolgono e si danno il cambio con un synth in odore di New Wave meccanica alla Devo.

Tutto ovviamente non si limita a questo, già di per sé, stimolante incrocio: Punk Rock d’assalto, downstroke e rabbia, che si sfascia con un synth dai suoni che masticano e frantumano splendide riprese dagli anni ’60 più psichedelici.

Se nel primo Ep “With Love, Maggie” aveva ampiamente dimostrato di saper fare suoi stilemi già assodati del neonato movimento Egg Punk e declinarli, annettendoli, a linguaggi e melodie più antiche in odore di Psych brasiliano (gli Os Mutantes, per dire), qui pare voler attingere da sottoculture ben più grezze e ferine. Dev’essere frustrante avere un sovranista a capo del governo. Voi che ne dite?


Combat Tribes “Bad Dudes EP”, 2022



Gli Spits presero i Ramones e ne fecero quattro robot: Punk Rock per cuori ad orologeria. Un movimento meccanico, un cantato sciamanico, tonalità basse drogate di reverbero, una marcia ossessiva e un andamento talmente automatico da sembrare caotico.

I Combat Tribes da Los Angeles sono i fantasmi di vecchi meccanismi da fabbrica dismessa, un gruppo da prendere sul serio se i primi a non prendersi sul serio non fossero loro. Sarà il fumetto in copertina, sarà la storia del wrestler e dello scoppiato che fanno da soggetto a questo disco rotto, ma alla fine non si sa come prenderli:

l’indecisione diventa confusione che diventa materia psichedelica nella quale abbandonarsi e perdersi per sempre.

Dura poco come poco un EP ha da durare perché è con poco che si finisce ipnotizzati, arresi in uno stato catatonico e comatoso.


Deebeat Ramone “Deebeat Ramone”, 2022



È di quasi un anno fa il felicissimo esperimento di tale Bobby Ramone che, con estremo ingegno, si dilettava nel comporre mash-up tra i pezzi di Bob Marley e quelli dei Ramones. Un disco divertente e che, giustamente, ha fatto parlare molto di sé, per lo meno nella nicchia cui era indirizzato.

Adesso abbiamo questo Deebeat Ramone che non si diverte a fare dei mash-up tra i Ramones e i Discharge, ma di diverte e basta: già dal nome prescelto per il gruppo fittizio che l’intento e più celiare che altro, ma, essendo pur sempre Punk Rock, la celia funziona proprio perché è sempre e comunque un elemento fondante del genere e, da scherzo, diventa subito una cosa da prendere sul serio.

Quattro pezzi, tre originali di cui uno strumentale e una cover Egg Punk di I’m Against It dei Ramones (e di chi se no?). Drum Machine dritta ed essenziale, chitarra in downstroke e voce trattata fino a farne uno strato di fuliggine che, minaccioso, incombe per tutto l’EP. Unico pezzo dove si esce dal seminato e si fa fede alla prima parte del nome d’arte è proprio la strumentale: un apocalittica danza per chitarra, pistoni e monoliti. Un nuovo eroe per il mondo dell’Egg Punk.


Desborde “Desborde”, 2022



Da quando ho iniziato questa rubrica non avevo mai avuto modo di parlare dei Desborde da Buenos Aires, Argentina. Finalmente adesso posso e questo è quanto ho da dirvi in merito:

un concentrato Punk Hardcore convincente, avvolgente e violento, che sintetizza in sé la rabbia impegnata dei Los Crudos e il cinismo Kraut degli Screamers, un linguaggio che va oltre i muri dei generi (in tutti i sensi possibili ed impossibili) per guardare oltre, indicare un’altra via che non sia “sistema”/ “consumo”/ “consuetudine”;

un’estetica altra rispetto a quella vigente, una lotta che non è CONTRO ma è sempre A FAVORE DI.

Tre pezzi brevissimi ma capaci di proporre nuove strade nonostante lo scarsissimo minutaggio; degli Ungaretti che di ermetismo si fanno maestri e tra le righe, nelle parole e nelle note che ci negano, comunicano più di quanto la gabbia del tempo e dello spazio possa permettere.


Fen Fen “Fen Fen”, 2022-Painters Tape


Ripensò, davanti alla lettera di licenziamento, a quante volte un semplice disco di Rock n’Roll gli avesse salvato la vita.

Un genere, che più che un genere è un ramo della filosofia esistenzialista, che davano per morto già da prima che lui nascesse e che adesso, in uno dei momenti di maggior sconforto degli ultimi due anni (già di per sé non molto facili), tornava ancora a far le veci di un amico, di un confidente.

I Fen Fen, un gruppo semisconosciuto da Detroit (per molti una metropoli americana tra le tante, ma che per lui voleva dire Stooges, Frost, MC5, Amboy Dukes) gli risuonavano nel cerebro ferini ed incontrollabili, ricordandogli che il Rock n’Roll è vita e la vita non è lavoro. La vita è Rock n’Roll .

Sorrise e canticchiò per intero le sette canzoni, stupende, del debutto su cassetta dei Fen Fen su Painter Tapes;

pensò che in fondo il riuscire a provare ancora entusiasmo per l’opera prima di una ghenga proveniente da un luogo remoto e lontanissimo era ancora una spia affidabile del suo ottimo stato di salute mentale. La cassetta suonava, lui cantava, scuoteva la testa e piangeva di gioia: perdere il lavoro non è la fine del mondo. È una liberazione, una liberazione come questo piccolo, tascabile, pezzo di nastro e plastica: un rito che si ripete lustro dopo lustro, incurante del tutto e del niente, di chi lo da per morto, defunto e sepolto; il grido disperato di una città grigia, il suono granitico di ingranaggi che cedono per divenir frantumi. E dolce mi è, in fondo, il suono di ogni mio fallimento.


Ghoulies “Halloween Special, vol.1”, 2022


Potrei stare fermo un giro, evitare di scrivere ancora dei Ghoulies, ma ogni volta che ascolto una loro nuova uscita la mia mano si fa indipendente dal resto del corpo e inizia a mettere nero su bianco impressioni, pareri e, anche a questo giro, entusiasmi.

È un gruppo che riesce a imprigionare tutti e sei i sensi e stimolarli, renderli qualcosa di diverso. Il Punk Rock dei Ghoulies è fatto di tradizione ma, come tutto il Punk Rock fatto ed eseguito con scienza, guarda sempre altrove e crea nuove traiettorie che, il percorrere, incanta e costringe a cantare e ballare in un ritmo incontrollato e folle i loro pezzi:

deliziosamente crudeli, ironicamente cinici, maledettamente indimenticabili. È un po’ che pratico i Ghoulies e mai, e dico mai, che li abbia mai sentiti adagiarsi su di una formula e ripeterla stancamente anche per solo due pezzi consecutivi:

i Ghoulies inventano dandosi un limite, nessun protagonismo ma lavoro di insieme, riprendono dal Kraut, dal KBD, dai Devo, da vecchie colonne sonore di vecchi film fantascientifici girati a basso budget e non si pongono limiti, tutto è buono e tutto serve ad essere declinato in un linguaggio che ha un solo nome: Ghoulies. Impossibile, ad ogni loro uscita, riuscire a trattenersi e non scriverne. Impossibile e criminale.

 


THE GOODBYE BOOZY FILE


Molte volte leggo recensioni su uscite a marchio GB dove, l’arte esposta, viene salutata un po’ troppo di fretta come una certezza, un suono che si conferma, uno stile che quello è e quello rimane. Per me GB è un suono che è fatto di tradizione e, in quanto tale, è prossimo al caos: la base è certa, lo sviluppo chissà… approfitto quindi delle 5 più recenti uscite dell’etichetta di Teramo per dimostrare tale tesi:


Doms “Domcorp Vol.1+2”, 2022



L’aspetto più frustrante del cimentarsi in una rubrica dedicata a sole uscite di breve minutaggio è solo quel senso di aspettative mozze che l’ascolto lascia al suo termine; vorresti che certi dischi durassero all’infinito, tanto son strumentalmente stimolanti che vorresti vedere e ascoltare quel nastro scorrere fino alla fine dei giorni.

I Doms vengono da Phoenix e in soli quattro pezzi dipingono un intero immaginario fatto di suoni sospesi tra Post Punk, Hardcore e Garage Rock; la mente si apre e le membra si rilassano tanto questa piccola esibizione di bontà sa essere artisticamente elevata.

Una delle possibili evoluzioni di un suono, ma più che altro di un approccio ed di una filosofia (l’estetica cambia perché deve cambiare, il pensiero resta per fare da base), che affonda le sue radici nei primi anni ’90 e che, grazie a gruppi come i Doms, continuerà ad esistere.

Figli dei Supercharger, delle Trashwomen, degli Oblivians e dei Reatards che, per far sopravvivere un suono, lo uccidono seguendo esattamente i dettami di chi, quel suono, quella filosofia e quell’approccio, ha contribuito ad insegnare. Migliori allievi non potrebbero esserci


Klint “Existence”, 2022



Una mazzata sospesa tra Lo-Fi e Crust Punk futuristico e fantascientifico, il cui strumento centrale rimane il synth; un cantato effettuato che dal cavernoso esplode in vocalizzi efebi scaturiti da un vocoder.

Il caos regna incontrastato in un’uscita che è tutto tranne norma, tradizione e uniformità ad una linea guida: qui si fa il Punk dei prossimi venti anni (posto che fra venti anni saremo ancora qui a registrare le evoluzioni del genere).

Ovviamente non si commetta mai l’errore di valutare quanto Klint produce solo da un punto estetico: la forma d’arte aggressiva e sintetica del nostro vichingo preferito diviene anche sostanza nei concetti: testi ambientalisti, testi pacifisti, testi che abbracciano i vari aspetti dell’esistente, ermetici nell’esposizione, politici nelle mire: in soli quattro pezzi una raccolta esaustiva di poesia libertaria. La somma dell’intero insieme dona la cifra per un disco eccezionale.


Mambo Kids “Mambo Kids”, 2022 (split realese con Budget Living)



Giusto per fare i conti con chi vorrebbe Goodbye Boozy come un’ottima etichetta, certo, ma sempre piuttosto legata alla tradizione di un suono, qui ci troviamo di fronte ad un repentino cambio di rotta: non so se questo è merito di Budget Living da Parma, non so se questo avrà un prosieguo, però, per la prima volta nella sua storia, GB licenzia un disco interamente in italiano e, vacca boia, lo fa in gran stile (e in che altro modo altrimenti?):

Garage Punk dove il cantato in italiano opera una virata che n territori Beat per quattro pezzi che, diciamocelo senza pudore, che son quattro hit da mandare a memoria e cantare sotto la doccia, per strada, in carcere, sul patibolo, davanti al giudice che ti sta condannando a 6 anni di galera per quella volta che ti sei riunito con altre 49 persone sotto un palazzo istituzionale per comunicare quanto, a vostro modo di vedere, il governo reggente non capisca un cazzo di niente e nasconda questa sua incapacità dietro continue polemiche con paesi confinanti, decreti senza senso e che decadranno da qui ad un anno (abbastanza però da spedirti al gabbio) e attori falliti nostalgici del ventennio più insulso che sia mai stato raccontato.

Canzoni che parlano di tutti i giorni e che, proprio per questo, son rivoluzionarie in sé e per sé: quel comunicare i propri stati interiori, di essere umano, in cerca di empatia e, quindi, solidarietà nel sentire e nel vivere.


Red Mass “Volume 1. Sweet Blasphemy”, 2022.


Così, alla faccia del suono tradizionale: Punk Rock? Per amore di convenienza e del farla breve certo che si, ma in realtà c’è molto di più.

Immaginiamoci quindi, durante l’ascolto, un teatro dell’assurdo dove in scena si rappresentano le contraddizioni evidenti dell’esistere; si vorrebbe quindi tentare, in fase di comprensione, un approccio che riesca a ricondurre l’intera rappresentazione alla normalità, trovargli una coerenza di fondo a mezzo dei nostri sistemi cognitivi di apprendimento;

nel fare ciò ci si accorge di schianto che è la rappresentazione a liberare noi dai ganci della tradizione e dell’apprendimento e a portarci in una dimensione dove l’ assurdo, l’insolito, se non addirittura l’incomprensibile, sono la norma. I Red Mass (gruppo canadese quasi introvabile qui in Europa, eccetto un ottimo 10” licenziato dalla tedesca Red Lounge e questa formidabile cassetta) fuggono l’ovvietà dei loro generi di riferimento (Garage Rock, Punk Rock, Noise Rock, Country Folk…) e ne fanno una summa dai contorni indefiniti, si lasciano, cioè, sempre aperta la possibilità di fughe improvvise verso l’ignoto. Ancora una volta notevoli.


Wrathian “We Exist”, 2022

Un giorno, a questo punto neanche troppo lontano, i Rudimentary Peni diverranno un punto fermo per molte formazioni Punk Rock; e non, badate bene, per una questione di suono, arrangiamento, armonia, ma per approccio, piglio e filosofia.

Questi Wrathian si muovono negli stessi mondi persi inventati da Nick Blinko e i suoi accoliti, e ne reinventano le grammatiche a soli fini personali: velocità interrotta da continui singhiozzi della sezione ritmica, voce disturbata e visionaria, un chitarrismo frenetico e ben disposto verso il rumore e la rabbia.

La musica sarà pur violenta ma, in verità, lo è solo in chiave psicodrammatica: una rappresentazione-riesumazione di traumi e sconfitte sepolte nel subconscio e riportate alla luce durante una seduta psicoanalitica; il paziente viene costretto a mimare, recitare, inscenare tutto quello che, del suo passato, lo ha portato a restare steso su di un lettino per un’ora a raccontare il mancato passaggio dalla fase anale al complesso edipico.

Se non vi conoscete per quello che siete forse è il caso che ascoltiate questo disco, non risolve (ma nulla risolve a questo mondo) ma di sicuro aiuta…



Hot Chicks “Legalize It “, 2022-Flennen Records/Urticaria Records



Il Punk Rock tutto al femminile un po’ lo invidio e un po’ no.


Lo invidio perché trasuda quella capacità ermetica di rendere un sentimento partitura di note. Quell’urgenza espressiva che si traduce in riff serrati ma non saturi, synth naif e a singhiozzo che fa da collante in una struttura scheletrica ma perfetta, dove ogni cosa è in ordine e niente mai è in sovrappiù. Aliena dalla volontà di dimostrare qualcosa questa musica è solo cervello, impegno, niente muscoli, Raincoats, Bikini Kill periodo “Reject All Americans”, Bratmobile, Bush Tetras.

Dall’altro lato non lo invidio perché, per ottenere un suono, una forma e una capacità così lodevole in fase di scrittura bisogna aver vissuto, dalle fasce fino alla maturità, nei panni di una donna, essere arrivate alla consapevolezza di vivere in una società che ti limita e ti fa vittima di preconcetti e pregiudizi senza mai mostrar volontà di comprensione e cambiamento. Occorre essere disperate per essere così ironiche, è necessario ferirsi per giungere all’autodeterminazione.

Ovviamente tutto questo non è giusto, neanche un po’ , ma il fatto che gruppi come le Hot Chicks sappiano restituircelo in forma canzone e in un perfetto equilibrio delle parti più che compiacerci dovrebbe farci riflettere. Uno schiaffo al privilegio, un cazzotto al patriarcato e un disco bellissimo.


Los Refrescos “Los Refrescos”, 2022- Instant Party



Senti, ascolta bene: son già tempi difficili, tra incapaci votati da altri incapaci per compiacersi in forma collettiva dell’essere tutti appassionatamente incapaci, promesse di bombe atomiche contro un’umanità che fa finta, a fini commerciali, che sia finita una pandemia che in realtà non è finita e il costo del gas in aumento che dicono sia colpa di una guerra che, in fin dei conti, è colpa di chi riscuote la tua bolletta del gas, perché quindi dannarsi perennemente la cucurbita chiedendosi il perché?

Dai retta, la risposta c’è, solo che non vuoi saperla e allora ritagliati cinque minuti di tempo per un po’ di Garage Pop da spiaggia, anche se l’estate è finita ufficialmente, e rilassati, lasciati andare e ringrazia i Los Refrescos per aver congeniato questi quattro pezzi belli scalpitanti e dal piglio aggressivo ma che non dimenticano mai una cura delle armonie in maggiore esemplare che discende dai Beatles chiusi in uno studio a scrivere Back in the USSR.

Il cantato in spagnolo serve ancora di più a relegarti in una condizione da siesta perenne, con la mente finalmente sgombra e il pensiero rivolto unicamente al riposo.
Questo Ep ha l’indubbio merito di regalarti, per pochi spicci su Bandcamp, un’oasi di meritato svacco ma questo non vi induca in errore: non c’è segno di trascuratezza compositiva o faciloneria da copia incolla con dischi più famosi di questo; Los Refrescos sanno scrivere davvero e, il saper scrivere pezzi festaioli e coinvolgenti, di ‘sti tempi, è una capacità di cui non si può essere che grati.
Grazie Los Refrescos.


Munchkin Head “Not Gonna Cry Dad”, 2022-Painter Tapes


Questo è il suono della vita che esiste e che non vogliono accettare
Questa è la voce di una categoria che fanno finta di non vedere.


E darà fastidio: tra ostinati di basso, un synth dalle melodie naif, batteria monolitica, una voce acuta che sghignazza, digrigna, impreca e stona; stona perché gli stai antipatico ed ha ragione.


“Un documento riconducibile alle teorie gender” l’affermazione
“Una spiegazione che riconduce solo a quanto, nel tuo privilegio che si finge diritto, tu sia un dannato stronzo” la risposta. L’unica.


Un misto tra tutto quello che di punk fa di Punk fastidio: Crucifucks, Bikini Kill, le mai abbastanza citate Pussy Tuesday, pure una sorta di primi Coil ridotti all’osso e alla canna del gas.

E se da fastidio vuol dire che può anche ferire e, se può ferire, vuol dire che funziona. Centro pieno.



Scemo “Abisso”, 2022



Penso che lo spirito continui davvero e non come vuoto slogan di circostanza, una canzone da cantare nei momenti di solitudine e sconforto, un inno che, un tempo intriso di significato, oggi è solo uno stornello per nostalgici da intonare come vano antidoto a fronte di tempi di magra e oscurità (a pensarci bene la canzone, come anche il disco, dei Negazione è la cosa più lontana dagli inni e dagli slogan che io abbia mai ascoltato).

Gli Scemo (nome scelto in tributo ai Peggio Punx di Alessandria?) sono una dimostrazione più che esaustiva di questo concetto: una muraglia di rumore, velocità e significato e mai e poi mai un nostalgico gesto vuoto di senso.

Con sei pezzi di puro Hardcore Old School all’ italiana (velocità fuori di senno, saturazione del suono che diventa cascata, una muro pieno di crepe e schianti che per quanto mal messo riesce a stare in piedi nonostante le scosse) schiodano le bare, danno fuoco alla routine, affogano l’ascoltatore nelle sue paure più reali. Musica per orecchi che sanno ascoltare e per cervelli che sanno capire, nulla è fuori posto al solo fine di creare disordine, terremoti, sia interiori che esteriori.


Snooper “Town Topic”, 2022-Electric Outlet


Punk meccanico, assemblato a mezzo di catena di montaggio, un lavoro studiato nel dettaglio e portato a termine da un lavoro fatto in gruppo: tutto può apparire freddo, forse, ma sicuramente è un ottimo lavoro: giusto negli arrangiamenti, giusto nelle armonie, nelle durate, nelle (geniali) melodie vocali.

In realtà una certa passionalità erutta vivace, data l’irruenza di un suono che si è preferito lasciare crudo e non saturo: come la sensazione di un continuo, frenetico e disperato rincorrersi tra i corridoi di una fabbrica; quella spinta che ti riporta ad essere umano in un luogo disumano.

A conti fatti, solo la voce pare essere l’unica vera guida ferrea in questa deliziosa macedonia di suoni perfettamente coerenti fra loro: robotica e asessuata fa da guida e dà un ritmo ideale all’intero insieme; nel suo farsi da parte, infine, spicca.


Il lavoro di insieme non appiattisce, sacrificando vezzi e velleità dei singoli, ma, anzi, fa da megafono ad un lascito collettivo, che spicca per personalità e capacità rappresentativa, evidenziando la perfetta coesione tra gli elementi del gruppo.

Fare da soli è difficile, fare insieme lo è ancora di più ma da soddisfazioni più grandi a lavoro terminato (nell’arte e, forse, anche nella vita).


U.D.O. “Demo”- 2022, Flennen



Dov’è finito il Black Metal della prima scuola nordica, asservito al satanismo e ad uno scatafascio di stronzate che hanno rovinato la vita a diversi dei suoi protagonisti? La risposta è che non lo so e che me ne frega davvero poco, se non nulla, di saperlo.

Per fortuna, nel mondo del Punk, riescono a riprendere quel che c’era di buono e restituircelo in forma più accettabile (sia ideologica che musicale): gli U.D.O. riprendono l’estetica Lo-Fi del BM, le armonie in minore perennemente dolenti e vagamente malinconiche, le condiscono con una ritmica più Crust/D-Beat e la costringono in un minutaggio accettabile.

Il risultato lascia soddisfatti: se i Blacksters prima maniera fossero stati un po’ più Punk e un po’ meno stronzi forse ora non sarebbero ridotti allo status di aneddoti orrorifici per le veglie di Halloween.


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