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Recensione : New Kind of Kicks #3-Gennaio 2023

Ecco i nostri ingredienti: Abandoncy, Aches, Amatista, Autoblastingdogs, Body Bag Redemption, Die Paniks, Die TV, Éscandalo, Fogna, Gloops, Dadgad, Qinqs, Tee Vee Repairman, Liquids, Polka Dots, Primitive Fucking Ballers, Sour Tongue, Tab_Ularasa, Toilet Bug.

Mi ricordo questo tizio, un rozzo, un gretto, in pratica uno stronzo, che faceva l’obiettore presso il bar dell’associazione dove anch’io assolvevo al compito fondamentale del non fare il militare (mi producevo in qualcosa di più utile: lavoravo nel e sul sociale). Un bel mattino, tra una brioscia e un cappuccino, mi disse “ma te che ti vesti di stracci e di cenci, che musica ascolti?” e io gli dissi “Lo-Fi come pioggia sui tetti, Lo-Fi come la polvere dei giorni accumulata su scaffali disadorni, Lo-Fi come il patire per accessi interdetti” lui sorrise, non capì, ma ci tenne comunque a dirmi “a me mi piace il metallo perché è potente mica come la robetta da tinello nel quale investi i soldi!” e lo guardai e risposi “a me la potenza non interessa”.
Questa rubrica è per chi ama il frastuono, il fragore, il languore, la vita in ogni sua espressione, dalla più alta fino alla più bassa ed il rumore da essa prodotto nel farsi esperienza comune. Nessun potere, nessun ordine, nessun buon costume, regole rigide per tenere al laccio menti pavide. Qui non c’è potenza, ma solo bassa risoluzione ad oltranza.
Et voilà:

 

Abandoncy/norse. “Split”, 2023-

Konodischi/Longrail Records/Vina Records/Shove Records/New Knee Records/Tenzenmen Records

Split condiviso tra due realtà distanti ma vicine, co-prodotto da etichette sia italiane che americane, frutto di un ponte costruito tra due continenti con il solo spirito DIY a fare da collante, uno spirito che, a conti fatti, regge meglio del cemento armato; prova ne è questo 7”, un concentrato di Screamo anni ’90 aggiornato alla verve Noise Jazz di gruppi come Off Minor e Snack Truck per gli Abandoncy, dal Missouri, che, nelle loro due tracce, ci attaccano prima con il Chaos ragionato dell’iniziale Machine Organism e poi ci stendono con la marcia disperata ed inquieta di It’sallfunandgamesuntilimakemyselfcry, chiusa da un tappeto di fischi e disperazione che ben introduce al secondo lato, occupato dagli italiani Norse. : Il loro Post Hardcore alla Breach si compone di marce risolute in Mid Tempo ed atmosfere lancinanti dove non ci si vergogna mai di sfociare nel Noise e nella dissonanza più feroce.

Due continenti ma due modi di intendere il mondo molto simili. Realtà così è giusto che si parlino, si associno e producano dischi come questi, dove la disperazione viene presa come base verso la soluzione: l’unica via di uscita è aprirsi agli altri collaborare, comunicare, raccontarsi, mettere insieme testimonianze e metterle tutte nere su bianco in dischi come questo, così che altre menti affini possano ascoltare, leggere, cogliere affinità ed estendere il discorso: una splendida comunità che, con la sola arte, riesce a valicare i confini delle nazioni.

 


Aches “ The Aches”, 2022



Un po’ Punk, un po’ Noise, un po’ Swinging, un po’ non so. Voce urlata e gracchiante. Un delirio divertente dove rintracciare riferimenti risulta noioso ed anche antipatico: dentro c’è un po’ di tutto e meglio sarebbe ascoltare e basta, lasciarsi trascinare in questo felicissimo connubio tra parti apparentemente antitetiche e distanti. Si odono echi di punk hardcore anni ’80 americano mentre il pezzo stesso devia verso un post hardcore anni ’90, forse un qualcosina di Noise e sgarbatamente Art Rock si insinua qua e là, facendo capolino con lo stesso garbo di una mamma cinghiale che difende i suoi cuccioli. Questa è una demo, solo una demo, ma in realtà è già un lavoro maturo, dove l’eterogenia dei richiami diventa, incredibilmente compattezza e base per slanci verso l’ignoto.

Dolce è il non pensarci, appunto, lasciarsi condurre per mano senza porre condizioni o resistenze e, questo è vero (ma d’altra parte è solo una Demo), lamentarsi perché dura troppo poco.

Attendo il prossimo disco con entusiasmo e grandi aspettative (credo proprio che non verrò deluso), nella speranza che sia un Full Lenght: gli Aches hanno la struttura e la capacità compositiva di chi sa tenere sveglia l’attenzione dell’ascoltatore anche per minutaggi generosi.


Amatista “Radio Canning”,2022

Linea Costera Discos



Una fitta cortina di nebbia mi impedisce di vedere oltre questo manto di suoni eterei e, al contempo, violenti nel loro rimanere così costanti, ostinati, eterni. Armonie che si frappongono e si sovrappongono l’una con l’altra dando vita a paesaggi mai riportati su cartina. Occorre farsi esploratore prima maniera, salire su di un’imbarcazione e circumnavigare nuove regioni psicologico-geografiche: luoghi mai visti prima si stagliano nella mia mente producendo in me una piacevole confusione nella quale mi abbandono e un Ep che, secondo orologio, dura 10 minuti ma che, in verità, occupa ampi frammenti di un secolo. La qualità della registrazione, Lo-Fi estremo e senza filtri, acuisce il senso di smarrimento che l’ascolto già di per sé comporta, aumentando il raggio d’azione di soli quattro pezzi, sia nel tempo che nello spazio.

È un disco semplice, da quattro accordi e tutto buono alla prima.

È un disco complicato: bisogna sapersi perdere per poterlo comprendere. Se siete troppo sicuri di voi stessi, lasciate perdere, questo disco non fa per voi. Se siete fragili, drammaticamente umani, non perdete tempo e ascoltatelo, calatevi al suo interno. Questo disco è uscito solo per voi.

 


Autoblastingdogs/La Piena “Polluzione”, 2023



Split interamente grossetano ma coproduzione che interessa un po’ tutto il paese per lungo e per largo; la cifra alta di questa scena, agli effetti, ha bisogno di essere diffusa il più possibile e discussa, commentata.

Gli Autoblastingdogs maneggiano il Grind con la stessa capacità con la quale un Carmelo Bene maneggiava il teatro: il tessuto del racconto viene interrotto da improvvise fughe nel mondo dell’assurdità e da quell’estro che, conscio di tempi da tenere, silenzi da osservare e esplosioni da innescare, è rintracciabile solo in chi riesce a maneggiare la materia prima sulla quale si trova a operare. Sembra di cogliere l’eco dei primissimi Bad Acid Trip (quelli non ancora prodotti dal cantante dei System of a Down), quella follia da avanguardia cui la base Grind Core dona quel tocco di scelleratezza senza freni della quale, quest’approccio, ha un bisogno inevitabile per non perdere mai in capacità rappresentativa.


Dei La Piena ci si stupisce perché anche qui non perdono un singolo frammento nell’impianto della loro furia e convinzione; tre pezzi e neanche un punto debole. Una corsa gestita tra fughe Hardcore Punk e cori indimenticabili (Plastica Vita è un ennesimo inno da cantare a squarciagola fino alla perdita dei sensi), efferatezza Grind e credibilità Oi!, tutto racchiuso in uno scrigno fatto di rinunce, bivi, ferite e rabbia. Raccontano di vita, quella vera, quella in cui, volenti o nolenti, siamo tutti intrappolati: la furia esecutiva, il suono distorto, i ritmi serrati come un cappio alla gola, sono le tonalità di colore che i grossetani utilizzano per rappresentarla su una tela fatta di cartellini da timbrare, biglietti per eterni pendolari e messaggi su WhatsApp per essere licenziati: nulla sottraggono per amore d’arte, tutto denunciano per amore di rivalsa. La musica dei La Piena è un mezzo per eludere una vita che un certo sistema di pensiero, un po’troppo alla moda di questi tempi, vorrebbe imprigionata all’interno di una scatola dove l’unico pensiero collettivo sia “Vivere per lavorare”: ascoltateli mentre andate a lavoro e devierete il tragitto per andare a fare una camminata in un bosco, ascoltateli mentre siete già in azienda e darete fuoco a tutto.


Body Bag Redemption “New Year’s Day in a Psych Ward”, 2023



Solo un pezzo, solo uno. Uno è il numero perfetto, credo, se solo il termine “perfetto” avesse un senso. Risvegliarsi il giorno dopo, passeggiando tra i cocci rotti di una farsa universalmente condivisa. Un mondo che ha speso le ultime due settimane a fare i bilanci di un anno da dimenticare, che si affaccia su quello nuovo carico di buoni propositi, mentre tu devi ancora finire di fare i conti coi tuoi vecchi fantasmi, e cammini, in un mattino silenzioso e corrotto di nebbia, pensando di poter fuggire semplicemente non pensando.

Il tempo, come lo si misura, il suo significato, il suo essere la messa in scena più insulsa attuata da un pensiero egemone, non ti riguarda: tu hai solo te stesso e questo, come carico emotivo da portare sulla groppa, è già abbastanza da spezzarti la schiena.

Solo un pezzo, solo uno, ed è, già da solo, la cosa più opportuna che mi sia mai capitato di ascoltare in quarantaquattro anni di primi dell’anno tutti uguali ma dove, chiunque, ha sempre voluto convincermi che “anno nuovo, vita nuova”. Body Bag Redemption fa la cosa più giusta: ti sbatte nella disperazione di un reparto psichiatrico e ti sfida a sperare da lì: ovviamente il risultato è che nella vita, quando vuoi cambiare davvero, non si può sperare ma si può solo sparare.


Die Paniks “Die Paniks”, 2023-Helvete’s Kitchen



L’estetica del fastidio, del logoramento da routine. Un manto monotono, monocorde, sintetico, monolitico, interrotto da urla disumane. Una richiesta d’aiuto? No, semplicemente quello che è: un singolo di quattro pezzi semplici, facili facili, nessun vezzo, nessuna voglia di comparire: rumore camuffato sotto un synth dai suoni saturi e una batteria quasi primitiva. La Helvete’s Kitchen si distacca con questa cassetta dal Rock’n’Roll e dal Synth Punk e ci regala una cosa che riesce ad incarnare entrambi gli spiriti ma che, una forma quasi naif, riesce a mascherare e a tradurre in qualcosa di diverso: elettronica da obitorio, da angolo di strada dove tossico dipendenti si nascondono per bucarsi le vene. L’immagine del disagio, dell’esclusione, dell’espressa volontà di non partecipare alla giostra sociale. Questo è quanto, nella sua forma finita ed apparente, ma, nella sostanza, suggerisce molto di più mano a mano che si rinnova con gli ascolti. Un disco necessario, frutto magari di un divertissement tra persone già impegnate in altri progetti, ma vero, geniale per quello che rimane sotteso, per quello che non si sente ma c’è . Si passa del tempo, ascoltandolo, a cercare di rintracciarlo; magari non lo si scopre, ma ci si rende conto, a un certo punto e all’improvviso, che, quel sotteso fra le righe, è quella parte di noi stessi che teniamo nascosta per sentirci più accettabili.


Die TV “Side D”, 2022



Siamo arrivati in fondo. Il disco è completo. Adesso l’unica cosa da fare, dopo aver ben assorbito il suo lato D, è ascoltarci tutti e quattro i lati per intero, dall’inizii fino alla fine, cogliere le sfumature, lasciarsi rapire in tutto e per tutto dalle atmosfere un po’ Dark, un po’ Cold, un po’ Post e, in ultima somma, Punk Rock di Die TV e capirne il messaggio in tutta la sua profondità e la sua bontà.

È un vero artista del fai da te, questo Die TV che non delude mai: da quel che ho capito, e ciò che ho capito l’ho desunto solo da ciò che ho ascoltato, Die TV è un Punk Rocker che sai parametri Punk Rock trae un metro, un modus operandi ma che, quando si trova a scrivere, si affaccia verso possibili soluzioni altre: Post Punk, Industrial, Gothic Rock, un tocco di Sarah Records e del suo parto più spontaneo che porta il nome di Twee: piccole canzoni senza pretese che, proprio nel loro essere piccole e prive di alte mire, si rivelano grandiose e contagiose. Artisti come Die TV sono essenziali per la diffusione, in tempi come questi, del concetto di DIY, un moto interiore che, con pochi mezzi, diventa canzone che, a sua volta e a solo mezzo di Bandcamp e alcuni youtuber appassionati (Tremendo Garaje, Johnny Sick, NoDeal, NoPunksInKTown…), diventa verbo dal quale, un’altra persona, nella solitudine della sua stanza, può sentirsi ispirata e dar vita ad un altro esperimento a metà tra strada tra influenze principali e slanci verso l’infinito. Giunto a questo punto, spero tuttavia che Die TV non esaurisca qui il suo compito ma continui imperterrito a produrre e diffondere; forse lui non lo sa ma è di persone come lui che questo mondo ha veramente bisogno.

 


Éscandalo “Al compás de la Revuelta”, 2023

Instant Party

Voi la capite la cilena Instant Party? Prima parte con l’Egg Punk fatto di Lo-Fi e prese in giro, poi mette di mezzo un po’ di Garage Pop fresco e perfettamente composto e poi se ne esce con questi Éscandalo che son mezzi Oi!, mezzi Mod revival tipo primi Jam e Cigarettes e con delle sortite ciniche in puro stile KBD. Alla fine tocca fare i conti col fatto che la Instant Party è un ottima finestra dalla quale affacciarsi se si vuole comprendere lo stato di forma della scena punk cilena. Ecco, con piglio da semplice scribacchino e annotatore, è mio dovere dirvi che il Punk Rock, qualsiasi cosa questo significhi, in Cile gode di ottima salute e questi Éscandalo ne sono prova, controprova e assunzione definitiva: ottimo tiro, ritmica essenziale ed opportuna, chitarra semplice ma ricca di soluzioni che variano il tessuto armonico senza però farlo mai scadere in un eterogenia stucchevole e una voce che non si può che definire Punk (vagamente rauca, convinta, atona quando serve, intonata quando deve fare male).

Un’altra uscita e un altro centro pieno. Il Punk è un linguaggio universale, bene smettere di individuare punti nevralgici in giro per il mondo, ottimo iniziare a pensare il Punk come base per un nuovo internazionalismo.

 


Fogna “Lo Specchio del deforme”,2013-2023,

Hanged Man Records

Quante volte succederà ancora che, man mano che si avanti con gli anni, riaffioreranno gruppi dal passato prossimo, gruppi di cui non si era nemmeno mai intuita l’esistenza? Mi succede di nuovo di fronte a questa opportuna riesumazione, ad opera della sicula Hanged Man Records, di questa straordinaria formazione: i Fogna. Lo specchio del deforme è una cassetta contenente tre pezzi registrati nel 2013 e lì dimenticati: Hardcore Italiano, e quando scrivo Italiano, dopo Hardcore, è per dire solo e solamente: velocità cervellicida, corde vocali strappate, chitarre distorte e drogate con effetto Echo per aprire ai piedi di chi ascolta voragini di tormento e fastidio, nichilismo sonoro che si sposa con sonorità tetre, immagini di fabbriche che crollano, cieli neri sull’Europa, nubi nere che preannunciano il disastro.

Tre sole canzoni registrate in cantina e dove anche la cantina suona insieme al gruppo donando un senso profondità oscura dalla quale non c’è possibilità di ritorno. L’Hardcore italiano è questo, così si fa, così si compone e così si espone a chi non ne è pratico: se ti piace, bene, se non ti piace, tu sei il nemico. Bene non scordarselo mai.

 


Gloops “Maze Maker”, 2022



La cosa divertente è che a questi non frega un cazzo di niente. Lo-Fi, chitarra in slide, atmosfera e rigore Post Punk ma ritmiche punk. Poi qua e là ci buttano un po’ di Noise, armonie storte, un basso che esplode dal fondo dell’intera struttura; la voce è un urlato che pare un lamento che pare l’ultimo rantolo di un disperato.

Ostinati di basso, batteria e chitarra come se piovessero. Come catalogarli? Me ne fregasse qualcosa potrei pure mettermici di impegno, indagare tra le note e darvi dei riferimenti più concreti e familiari, ma non credo che farei un favore ai Gloops e, soprattutto, non lo farei a me stesso.

Bene lasciarsi ferire nel mentre che si viene trasportati come su di una barella del Pronto Soccorso. Anche voi altri dovreste smettere di leggere quanto scrivi e cliccare sul link in apertura. I riferimenti possono solo depistare, ascoltare e basta può solo far piacere (anche se qui niente è fatto per piacere sul serio).



THE GOODBYE BOOZY RECORDS FILE

Dadgad/Zhoop “Dadgad/Zhoop”, 2023



Pare quasi che nel dover co-esistere in questo pezzo di vinile, Giorgio e Jeff abbiano quasi fatto uno scambio di personalità, prendendo uno le peculiarità dell’altro senza, tuttavia, rinunciare alla propria struttura fondante; se da una parte Dadgad ci regala i tre pezzi più Hardcore, veloci e cattivi della sua carriera, pur mantenendo suggestioni Minimal Wave e ricami Power Pop scarni (centro principale del suo stile) dall’altra Zhoop scolpisce nella materia grezza del Punk Hardcore da tre accordi e dritti al punto, che lo contraddistingue da sempre per la straordinaria capacità di suonare unico ed irripetibile a fronte di una semplicità esecutiva e compositiva quasi naif, dei pezzi che, in sede di ritornello, suonano molto più affabili e ballabili del solito. Questa strana simbiosi, per inciso, fa di questo split un grande split: pare che la stima che i due provano l’uno per l’altro, qui si sia tradotta in musica ed in un omaggio spontaneo perfettamente ricambiato.

Questo dettaglio fa di questo disco un gesto vero, naturale e lo fa accettare come necessario: se tanta è la stima è anche giusto che questa goda di un disco come prova concreta di questo.


Qinqs “Qinqs”, 2023



Metti una sera uno dei Ghoulies e uno dei M.S.O.L. si incontrino per caso in sala prove e, già che ci sono, buttino giù una manciata di pezzi per un singoletto, perché, già che ci sono, non mettere a frutto un incontro così fa pure un po’ brutto.

Dall’ingegno nasce una versione ancora più Punk Rock di uno dei gruppi più Punk Rock di sempre: i Country Teasers.

Perché mai, due tizi australiani, se messi a confronto l’uno con l’altro, partoriscono una rivisitazione di un gruppo scozzese enorme? Perché, appunto, il gruppo scozzese è talmente enorme che smette di essere solo scozzese e diventa patrimonio mondiale e i due tizi australiani, di par loro, sono altrettanto enormi, ma sempre troppo giovani perché la storicizzazione li riconosca come tali; per fortuna la Goodbye Boozy non attende storicizzazioni e sia sui Ghoulies che sui M.S.O.L. ci ha già messo le mani ed investito in alcune uscite, poi, con la coscienza di chi sa davvero riconoscere il talento e l’ingegno, ne segue attentamente le evoluzioni e le varie ed eventuali commistioni; e per fortuna, aggiungerei: questo giro di musicisti merita un occhio sempre e qualcuno che sappia mettergli a disposizione i giusti supporti.


Tee Vee Repairman “Organic Mould”, 2023



Partono che sembrano i D.L.M.C.I, in una rilettura strascicata e divertita di un rock ‘n’Roll tradizionale e chiudono che sembrano una versione, sempre divertita e strascicata, di un gruppo Synth Punk. La cosa certa, al termine dell’ascolto, è che ci si sentirà divertiti e strascicati, sensazione che non vi so esattamente descrivere, in concreto, ma vi posso garantire che è una roba da provare a tutti i costi, tipo un dolce, un vinello o una droga psichedelica.

Molte volte nelle recensioni ci si sforza di dare un senso alle proprie parole al fine di riuscire a comunicare il proprio sentire a chi ascolterà e stimolarne l’attenzione ma, quando ci si trova di fronte a dischi come questo, dove l’unico pensiero fisso è escludere ogni pensiero fisso durante l’ascolto e divertirsi come degli scemi, le parole cadono in un oblio senza fondo né memoria e ci si ritrova a scuotere la testa, battere il tempo con un piede, far allagare la casa perché ci si è dimenticati il rubinetto aperto, senza aver buttato giù una singola parola, a parte “minchia però come prende bene”.

Ecco, a me ascoltare i Tee Vee Repairman prende bene tanto da dimenticare il mondo che ho attorno. Dimenticatelo anche voi (vi conviene).


Wayne Pain and the Shit Stains “ Wayne Pain and the Shit Stains”, 2023



Un po’ è colpa mia, bene ammetterlo: credo di essere stato il primo a recensire Wayne Pain in Italia e a mettere nero su bianco tutto il mio malcelato entusiasmo per lui. Ebbene, forse non avrei mai dovuto: Wayne Pain è una delle persone peggiori che potreste mai incontrare o, peggio che mai, trovarvi ad ascoltare. Rock and roll marcio, condotto per mano da uno spirito Punk e DIY da “Tutto buono alla prima”, testi tutt’altro che politicamente corretti (con la piena volontà di non esserlo).

Anche questo disco (che poi son le stesse canzoni di cui ho già tessuto le lodi mesi addietro ma sento il dovere di riparlarne), odio dirlo, è perfetto nella sua perdizione e nel suo menefreghismo: non c’è un singolo elemento coerente con l’altro, non c’è un singolo suono che non esploda dallo stereo e che si sia pensato di “ammorbidire” in fase di mixaggio (se un mixaggio è mai stato fatto), non c’è una singola parola nei testi che non sia offensiva, degradante, avventata…ecco, nello scrivervi tutto questo, mi rendo conto di non sentirmi affatto in colpa ma, anzi, di aver contribuito ad una possibile notorietà di un personaggio fieramente fuori dalle righe, il classico catorcio da bancone, perso tra un whisky ed una battuta altamente fuori luogo nei confronti della barista, uno che farebbe incazzare anche il peggior avanzo di galera tanto lo supererebbe nella pratica dell’oltraggio e della totale mancanza di rispetto nei confronti di qualsiasi cosa che non sia una sbornia, una rissa o una partita a carte truccata. Io queste cose non le faccio, sia chiaro, ma amo sentirle risuonare fiere in un disco come questo.


Liquids “Songs”, 2023



Una cosa che mi meraviglia dei Liquids è la quantità esorbitante di canzoni finora licenziate e di quanto, fra tutte queste, nemmeno una sia da buttare; tutta roba buona.

Un’altra cosa, poi, è come riescano a maneggiare una materia che, di norma, si vorrebbe intendere come ormai strasentita e farla suonare comunque fresca, emozionante e storicamente giustificabile nel 2023. Suonano più attuali di un qualsiasi artista vi possa venire a mente.
Il segreto, secondo me, è l’atmosfera da continuo scazzo, quasi come se le canzoni fossero buttate lì per caso, senza pensarci troppo su…e poi la versatilità: la capacità di girovagare in quello spazio immenso che divide i Ramones e un gruppo tipo gli Urinals o i Mentally Ill e sembrare sempre il solito gruppo, riconoscibili fra mille. Riescono, per dire, a mollarti un ceffone in pieno volto con “Flybrain” e a carezzarti dolcemente in “Waiting for You” nel giro di neanche tre minuti e mezzo. La verità è che i Liquids sono il gruppo dove tutti avremmo voluto suonare ma non ci è mai riuscito, per il semplice fatto che noi non siamo loro (quindi, di fronte a loro, Nun semo ‘n cazzo).

Lo spirito di chi suona, il suo vissuto, il suo sentire è sempre un elemento che deve trasparire nel Punk Rock e, nel caso dei Liquids, ne segna anche la cifra superiore e la capacità di scrivere pezzi stupendi senza però darsi troppo un tono e fare sfoggio di chissà quale tecnica (o per lo meno così sembra).
Nel caso ve lo steste chiedendo: si, sono uno dei miei gruppi preferiti insieme ai Gee Tee e agli Zoids e, per inciso, ne sono orgoglioso.


Polka Dots “PMS Poesie”, 2022


L’angoscia di esistere riassunta in dodici pezzi tra uno e tre minuti; un basso Noise Rock onnipresente che con una batteria ossessiva e minimale mentre la chitarra, affogata, in un Fuzz gratta via la ruggine di ogni certezza dal cadavere putrescente di ogni speranza nutrita e poi abbandonata. La voce salmodia in un tedesco che cerca la melodia nel caos più incontenibile. Tutto qui suona come suona un volto con gli occhi accecati da un pianto liberatorio (perché liberarsi d’ogni speranza è la vera liberazione, anzi tutto, dalla persona che ci hanno cucito addosso), con la bocca ormai paralizzata in un eterno broncio irrisolvibile.

Non è Dark, è Post Punk , NDW, ossessione, umiliazione. Nessuna nota in minore, nessuna in maggiore, nessuna nota in generale, solo una distesa di rumori, malumori. Un teatro farsesco e violento, dove violenza non è forza ma stasi, non è potenza ma rinuncia. Ascoltatevelo per non ascoltare la voce della vostra coscienza (vi sta mentendo)


Primitive Fucking Ballers “You Gotta Do Somethin’”,2023-

Earth Girl Tapes



Hardcore punk grezzo, talmente grezzo che verrebbe quasi da dire che è gretto ma, nell’ essere così gretto, sembra quasi innovativo; alle volte vuoi somigliare a qualcuno e finisce che la tua personalità è troppo forte per rimanere sepolta sotto ettari di frastuono a bassa risoluzione, e ti ritrovi a spiccare sulla media dei gruppi di genere senza nemmeno capire come hai fatto. I PFB danno proprio quest’impressione: formazione classica, chitarra, basso/batteria/voce, un po’ di “sarebbe bello fare roba tipo…” e giù a buttar nero su bianco note fatte per divertimento, per passare un paio d’ore in compagnia di amici, per esorcizzare la noia di giorni tutti uguali; poi registri, perché alla fine “dai, i pezzi son carini, anche se sembrano parecchio tipo…” (chi ha talento è sempre impietoso verso se stesso e si svilisce di continuo) e all’improvviso diventi un caso: Tremendo Garaje pubblica la tua demo sul suo canale YouTube, la gente te lo compra in cassetta o in digitale e tu continui a chiederti come mai “boh, alla fine era solo per stare con due amici, fare quattro chiacchiere e suonare roba tipo…”.

La magia dell’underground sta nell’inconsapevolezza del gesto, nel saper essere nel posto giusto al momento giusto senza averne mai il sentore o l’intenzione: il posto giusto è l’underground, il momento giusto è sempre l’adesso.


S.H.I.T.. “Demo 2023”, 2023



Tornano gli S.H.I.T. e tornano in gran stile; hardcore come una ghigliottina intinta in un veleno Crust e che si abbatte sul mio collo in quattro quarti, doppio colpo. La disperazione violenta dei Discharge che si incontra/scontra con intuizioni acide e psicotrope. Un incubo piacevole per chi accetta l’assunto che la realtà non è tale se non si presenta in tutta la sua asperità, in tutto il suo delirio. Fermi su ritmiche rocciose e monolitiche, gli S.H.I.T. divagano da un punto di vista armonico e si producono in intuizioni che hanno del sensazionale: bisogna essere ascoltatori attenti, appassionati, per poter cogliere le doti eccezionali degli S.H.I.T. nel maneggiare la materia Hardcore più brutale e di frontiera; la loro grandezza si misura nei dettagli che solo un orecchio attento può saper cogliere in questa cascata di frastuono e dolore. Scambiarli come l’ennesimo gruppo che strilla e che scalcia, così giusto per fare il verso al passato, è un errore che non vi auguro di commettere: vi perdereste tutta la gioia di entrare in contatto con uno dei migliori gruppi in circolazione.


Sour Tongue “Sweet Talk”, 2022



È un periodo che la parola Grunge mi perseguita; il mese scorso era stato l’Oi! A ripropormisi di fronte ogni piè sospinto e quello ancora prima il Thrash Metal anni ’80. L’unica differenza è che Grunge non significa nulla, mentre questi Sour Tongue significano parecchio: certo, mi riportano alla mente la quiete-tempesta di gruppi come gli Hammerbox di Numb, un rock dai sapori anni ’90 e dalla costruzione armonica attenta e puntuale. Un po’ pare di risentire le sfuriate dei Sonic Youth quando decidevano di mandare tutto a farsi fottere e di gettavano nei meandri di un caos ragionato, talmente ragionato che sembra avere più in comune con il Jazz che con il rock. Ma qui non ci sono né gli Hammerbox, né i Sonic Youth e neanche un Ornette Coleman o un Miles Davis: qui ci sono i Sour Tongue in tutta la la loro caotica imponenza. Un gruppo che ti forza ad amare ogni sua intuizione e non per un moto nostalgico ma per la maturata consapevolezza che ciò che si è ascoltato in gioventù ha seguito un tracciato, si è evoluto, ha cambiato muta ma è rimasto sempre capace di comunicare la stessa nota di incertezza, fastidio e solitudine ideologica di quando tutto è iniziato mentre il resto, quello che c’era stato fino ad allora, spariva: gli anni ’90 e la loro insostenibile leggerezza storico-politica.


Tab_Ularasa “Scale nel vuoto”, 2023-

Bubca Records



Mi piace pensare che Tab_Ularasa sia l’ultimo riferimento possibile per il Punk italiano; l’unico vero baluardo credibile di una autoproduzione senza compromessi, sempre e comunque: nessuna resa, nessun ripensamento, tutto ben definito nel suo disordine, nel suo essere volutamente naif. C’è una volontà di ricerca che è unica, che rimane isolata, e ci rimane di intenzione, rispetto a tutto quello che la circonda: mode, movimenti, tendenze, solo carta straccia per chi, come Tab_Ularasa, da sempre e per sempre, fa come gli pare. Spirito punk nella sua immediatezza, soluzioni tra psichedelia e cantautorato un po’ alla Ciampi, un po’ all’Endrigo; Tab_Ularasa si diverte a mescolare le carte, fare un collage fra artisti incompresi e dimenticati, frasi da bar e un risultato che in ogni caso suona sempre unico ed irripetibile. La strumentale “Scale nel vuoto” ha un che di psichedelico nel suo rimanere inchiodata tra una chitarra acustica ed uno strumento a fiato (un flauto? Un’ocarina? Un’armonica? La canna di un fucile?) che, con trame semplici, ne delinea un andamento armonico che, in verità, è piuttosto complesso: la canzone sembra non cambiare mai ed invece cambia di continuo: pare di scorgere geografie indefinite e rarefatte, veramente delle scale che si affacciano sull’assurdo, talmente che la nostra mente, prostrata di fronte alla consuetudine, rifiuta e la descrive come semplice vuoto.

Ma nel vuoto ci può essere di tutto, come in questo stupendo brano strumentale.

“C’è un cane nuovo nel palazzo” è invece l’ennesimo colpo di genio, un frammento di vita quotidiana raccontato con parole quotidiane; può sembrare sciocca ma, ovviamente, non lo è per niente: in pochi istanti raccoglie in sé i mali del nostro periodo storico: l’arroganza scambiata per carattere forte, gli animali domestici sfoggiati come trofei, l’evasione fiscale (la politica non ne parla mai, giusto che ne parli Tab_Ularasa allora), la prepotenza della persona comune a scapito degli altri.

In pochi minuti Tab_Ularasa ti eleva fino all’infinito e ti riporta coi piedi per terra senza troppi complimenti.

La cosa sensazionale è che lo fa con una chitarra, uno strumento a fiato, una voce effettata e mezzi di registrazione da due spiccioli e una lira. Ascoltate e prendete appunti.


Toilet Bug “The Garbage Demo”,2022

 


Metà Roma metà Berlino, un unico blocco che butta giù le case con un Hardcore Punk che cade a pezzi: tra dissonanze gratuite, un cantato tra i migliori in circolazione per piglio, urlo e disastro, canzoni che, nell’insieme, sono pura rabbia, isolamento, stato di cattività; pare quasi che i Toilet Bug ti si sgretolino davanti agli occhi, senza ritegno e senza misure di contenimento. Suonano per farti e per farsi del male. Suonano per amore del male. Un nichilismo senza freni e che non lascia appigli. Nessun inno da cantare, solo rabbia repressa da liberare senza precauzioni: una cascata di schiaffi sulle nostre povere facce che funziona come una sveglia alle 4 del mattino: vorresti voltare le spalle ma non puoi, devi svegliarti e vivere per forza. Devi ascoltare i Toilet Bug ed incazzarti per ritrovare le forze, inventarti da capo, urlare contro un muro fino a farlo crollare. Questo è ciò che è e, se non vi basta, mi dispiace per voi.


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