Ci vorrebbe bassa risoluzione negli sguardi e negli incontri/scontri casuali, nelle pretese e nelle attese. La bassa risoluzione è tenere un profilo basso, defilato, un fare per amore del solo fare per dare, senza aspettarsi qualcosa in cambio. Un guadagno. Dovremmo forse aspettarci solo uno scambio, emotivo e cognitivo: Fatti non fummo, dice il Poeta, per viver come bruti ma per seguir virtute et canoscenza, e quindi appunto proiettiamoci senza protezioni in un universo fatto di autoproduzioni: per imparare ad autoprodurre a nostra volta e per insegnare ad altri in seconda battuta. Il fare per guadagno è dei bruti, fare per conoscere e divulgare è virtute et canoscenza. Dice il Poeta.
66cl “Caballero”, 2023-Walkman Records
Ci si potrebbe spendere fiumi di inchiostro su Rovereto e la sua scena. Si potrebbe perdere pure l’uso della parola nello stendere le lodi sul percorso musicale dell’artista oggi noto come Casalingam (qui al basso), ma forse è meglio lasciar perdere ogni entusiasmo e concedersi la serietà di chi fa fredda cronaca, esattamente come fanno i 66cl:
questo è un gruppo serio, appunto, forse il più serio che si possa trovare in circolazione. Felice operazione di crossover tra Punk, Hip Hop e dizionario contemporaneo, dove un certo tipo di linguaggio viene asservito ai dettami dell’ideologia (“Pravda, Pravda, ortodossia! Non è colpa mia, bello il comunismo, meglio l’Anarchia!”).
Riprendendo il vocabolario dei termini e delle espressioni più comuni ai CCCP-Fedeli alla linea-, i 66cl-Fedeli alla birra- attuano un’operazione che non è di continuazione né adesione coi dettami lasciati in eredità dal gruppo di Ferretti, ma di messa in uso secondo correnti esigenze politico/musicali, rendendo il tutto contemporaneo e riuscendo, allo stesso tempo, a scrivere una critica feroce nei confronti del gruppo che, afflitto dalla storicizzazione e dalle recenti sortite del suo cantante, è diventato solo una scusa per parlare di punk italiano come se fosse un genere come un altro. I 66cl riescono a riportare l’asticella oltre il livello di guardia, lasciando minacce, condanne perentorie e vuoti di bottiglie di birra da discount lungo la via.
Un disco che riconferma l’ispirazione del gruppo e che, come il precedente “Discount”, emoziona e dona come un senso di appartenenza in chi ascolta: Punk Rock, Hip Hop, Noise Rock, Pop Punk e testi sovversivi, ottimi arrangiamenti, testi geniali, risultato sbalorditivo; suonano e dicono cose che tutti hanno in mente ma che nessuno usa o osa più dire, per ipocrisia, per servilismo. I 66cl lo fanno, voi seguiteli e non ve ne pentirete. Solo una raccomandazione: sono canzoni che si stampano in mente con facilità e il rischio di farle diventare dei ritornelli da doccia o da fila alle poste è piuttosto facile, voi non permettete che avvenga: leggete i loro testi, calatevi nelle loro storie: i CCCP, in fondo, erano solo una rappresentazione teatrale di un’idea, i 66cl sono l’attuazione nel vissuto.
Adwud “Watchmecallit”, 2023
Cosa c’è di bello nel Punk è che, in fin dei conti, te lo puoi fare pure da solo. Isolato in soffitta o in cantina, un programma da due spiccioli per registrare, due strumenti comprati al mercatino dell’usato e nient’altro se non le tue idee.
Le idee son quelle che vincono in questo universo fatto di cantine e robe comprate a sconto, una sorta di riscatto dal basso, una voglia di esprimersi nonostante una realtà che ti vorrebbe costretto in otto ore di lavoro, un vestito per andare a lavorare e un altro per andare in giro quando il lavoro ti permette di andare a spendere e foraggiare un intero sistema che ti forza in un ruolo che, se ci pensi bene, non è il tuo.
Rompere tutto riuscendosi a pensare in maniera diversa, darsi dei compiti che non sono produttivi ma puramente rappresentativi e artistici. Adwud sforna sei pezzi nel giusto spirito poiché, dal tormento del girotondo svilente del produci-consuma-crepa, riesce a tirar fuori un qualcosa che è divertente, garage punk da cantina e post-sbornia, per lo più guidato da una chitarra pulita e da una ritmica puntuale ed essenziale, qualche fuga nell’insolito (Noise bastardo e buttato lì, opportunamente, come se fosse un’offesa). Dona serenità facendoti ballare ma senza mai scadere nel pacchiano e nello scontato. Regalare dischi così è una forma di lotta contro la routine, un condividere per migliorare le vite altrui oltre alla propria.
Non sarà un capolavoro ma sicuramente è un bel gesto e, in questi giorni, c’è più bisogno dei secondi che dei primi.
Autobahns/S.G.A.T.V. “Split”, 2023-Cuerdas Fuera Records
Roba così pare nulla quando invece è parecchio. Che non vi sfugga mai quindi la sottile melodie di fondo, prodotta da una fusione attenta dei vari attori in campo: chitarra serrata e che si risolve in fraseggi demenziali (nel senso buono, ci mancherebbe) e Power Chord arroganti (in senso cattivo, ci mancherebbe), una ritmica ostinata e felici giochi armonici del synth per gli Autobahns: con poco si fa tanto perché, per fare quel poco, intuirlo, scolpirlo, immortalarlo occorre tanto; tanta pazienza, tanto senso della misura, tenere un freno a tutto per poi lasciarlo a briglia sciolta quando opportuno. Il risultato è piacevole all’ascolto, e anche stimolante aggiungo, ma il piacevole e lo stimolante insieme non sono un picco semplice da raggiungere. Dieci e lode.
S.G.A.T.V. riparte e riprende dal Synth Pop Nord europeo per ricamare un punk rock malinconico e dai contorni disperati (Ve lo avevo detto che pare semplice ma, anche qui confermo, il semplice è una cosa difficile). Nel mentre il risultato dei suoi studi sulla materia Punk Rock e la sua commistione con il Synth Pop scorrono nell’ etere per raggiungere le nostre orecchie e dipingerci un sorriso tra l’inebetito e l’ammirato, una voce declama, una voce urla, una voce fa il verso a dei cartoni animati, una voce che non sta mai ferma e segna inesorabilmente la cifra ultima di questo lato del 7” dando movimento, contorno e colore a una piccola recita di un solo atto. Anche qui, con poco si fa tanto ma per arrivare alla sintesi del poco occorre davvero tanto lavoro. Dieci e lode.
Beta Maximo/Teo Wise/Deebeat Ramone/Emitter “Split X 4”, 2023-Spya Sola Records/The Bucket
Belli gli Split enormi, inclusivi, gestiti da due etichette, una italo-tedesca e un’altra americana, e che profumano di Internazionalismo e Cooperazione.
Uno spagnolo, un tedesco, un italiano e un Americano: parrebbe l’inizio di una barzelletta e invece è una cosa serissima nonostante l’ironia evidente e massicciamente presente in tutti i brani (due a testa) che compongono questa piccola meraviglia.
Quattro modi differenti nell’intendere il Punk Rock ma lo stesso modo di gestirli e di proporli: Autoproduzione dal basso e poca voglia di prendersi sul serio, un gesto semplice che, nella sua semplicità, rivela una coordinazione e una struttura che, pur contando più di quarant’anni dai suoi primi passi, pare non essersi mai sopita. Troverete, in questa cassetta, un manifesto piuttosto veritiero ed affidabile di tutto quello che è Punk Rock e Garage allo stato attuale dei fatti, quattro tizi sparsi per il pianeta ma legati da una comunanza di ideali e propositi che qui espongono i loro punti in comune come quelli di divergenza.
Uno spettacolo da non perdere e dal biglietto, ovviamente, popolare.
Bibione “Quattro Formaggi”, 2023 – Order05 Records
Mi ricordo quando comprai il primo 7” delle Bibione su Stoned to Death: provai un’emozione unica poiché le capacità del trio, per quanto limitate da soli tre pezzi, strabordavano dai solchi, segnalando alla mia mente un talento da seguire con attenzione.
Ora sono approdate su Order05, etichetta berlinese attentissima e per niente incline a irrigidirsi su dei canoni stilistici a senso unico, e sembra proprio che si siano ambientate benissimo, registrando un mini LP che, per il momento, se non uno dei migliori, è senz’altro uno dei dischi più stimolanti del 2023: partendo dalle raffinatezze armoniche di Leashed, passando per la rabbia repressa di Spin It e la genialità dissonante di Symphony in D Major, arrivando a deliziarsi con Admiration; un disco che trae ispirazione dal meglio del meglio del meglio: l’indie punk ragionato delle Sleater Kinney, il Post Punk anni ’80 passato al tritacarne Riot Grrl de Le Tigre e altre intuizioni felicissime sparse qua e là per il disco imputabili alle sole Bibione e che ne segnalano in forma definitiva l’unicità e anche l’originalità. Appartengono ad una tradizione che non vuol diventare consuetudine le Bibione e, in virtù di questo assunto, tolgono, aggiungono, fanno a pezzi e ricompongono.
Il patchwork finale non può che convincermi ulteriormente che, quando presi il loro primo 7”, feci bene ad emozionarmi: non capita tutti i giorni di assistere alla genesi di un talento.
THE BUBCA RECORDS FILE
La Bubca Records è più che un’etichetta: è una filosofia, un manifesto programmatico che viene scritto e riscritto in un continuo corso d’opera; è il passato, il presente ed il futuro raccontati da una voce indipendente e padrona solo di se stessa. Rigida ed inflessibile nel produrre confusione emotiva, empatia a briglia sciolta, poesia da camera da letto e tinello (le sei di mattina, gli occhi ancora socchiusi, il pigiama ancora indosso, la mente che rifiuta il distacco violento dal sonno, l’odore del caffè, una telefonata rapida per comunicare che oggi, come ieri, come domani, non andrai a lavoro). Potrebbe apparire pure priva di senso nel suo percorso, ma, se si giudica così una realtà come la Bubca Records, è bene tenere questo giudizio per sé: confessarlo per sbaglio a chi sa, a chi ha capito, potrebbe corrispondere ad un’involontaria ammissione che forse la propria vita di senso ne ha poco o per niente.
Duodenum “My Life, My Time e.p.”, 2023
Ascoltatevi questo disco perché, decisamente, non ascolterete, nel corso dell’anno, qualcosa di più genuinamente Punk. Siamo a Febbraio, vero, l’anno è appena iniziato, inconfutabile, ma di fronte a perle come questa mi sento piuttosto rassicurato nel farmi profeta.
Sei pezzi tutti buoni alla prima (Take One, ribadiscono ogni volta a inizio pezzo), tutti e sei sghembi, strambi, strascicati e zozzi. Tiro dritto e tanta semplicità in fase di arrangiamento (se poi, e questo è il bello, una volontà di arrangiamento ci sia mai stata), la ferma volontà di andare dritti al fulcro di ogni cosa senza utilizzare volontà alcuna di apparire o vendere: un discorso Garage Punk puro, la filosofia di un genere espressa con il giusto lessico e lo spirito opportuno.
Si gettano in composizioni da due giri in croce e martellano una cassa da batteria, cantano in inglese ed in italiano, e, più di ogni altra cosa, se ne sbattono altamente del risultato. Verrebbe quasi da pensare che la vita dovrebbe assomigliare di più a dischi così, un protendersi spontaneo verso la realizzazione di idee in modo efferato, senza concedersi a mediazioni o trattative (in primis con se stessi): si prende in mano uno strumento, si lascia scorrere il nastro e si suona come si parla e si pensa, come una confessione fatta allo specchio.
Davvero, credo sarà difficile, per me, per voi, per chiunque, trovare qualcosa che suoni più Punk di questi sei pezzi.
Punk Xerox “Nessuno sa”,2023
Bello sarebbe poter sentire dischi così in loop per giorni interi, elettronica suonata con una chitarra, qualche pedale e ammennicoli di varia sorta, per lasciarsi condurre in atmosfere oniriche, paesaggi fatti di ricordi, atti mancati e amenità partorite dall’immaginazione.
Bello sarebbe se la realtà diventasse come questo disco dove il tempo non scorre e la realtà è fatta di sfumature e ombre, nulla di rigido, concreto, in ultima analisi squallido. Questo è il suono oltre la vita per come la conosciamo, un tentativo di creare un ponte tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere.
Raramente oggi si ascoltano dischi che richiamino alla sola essenza delle cose e non alla loro forma; di fatto questo disco è pura essenza che rifiuta la forma, il confine,il limite. Non ha minutaggio, non vive nel presente e, di fatto, non ha futuro ma solo perché, annientando l’idea di tempo, di futuro non se ne sente più il bisogno e, ancora più importante, l’eventuale nostalgia.
Buio Omega “Take a Look”, 2023
Io ve lo vorrei dire ma non so come dirvelo, tuttavia ci provo lo stesso: quei dischi registrati con mille/duemila euro, con il proposito che “oh, i tempi son cambiati, voglio che si senta tutto perfettamente, una definizione del suono senza rientri o saturazioni fuori luogo” è un po’ come urlare ai quattro venti che del Punk Hardcore, del suo spirito, dei suoi motivi, dei suoi intenti, non si è capito un cazzo o giù di lì: a parte dovervi comunicare, non senza un certo dispiacere, che quei dischi ‘mmmericani che vi piacciono tanto con mille/duemila euro fanno giusto le prese e, non voglio portare i Converge come esempio ma i Converge sono comunque un ottimo esempio, sono espressione di un percorso lungo decenni, dove, tra ricerche e speculazioni intellettuali legate alla realtà esclusivamente ‘mmmmericana, si è giunti a tali conclusioni. In Italia l’hardcore punk ha un’altra storia, un altro percorso, un’altra idea a fare da base. Fa molto, ma molto molto male, ascoltare un gruppo di Minneapolis, USA, arrivare a fare dischi come questo che paiono partire più dalle considerazioni che qui dovremmo portare con noi come dati di fatto già da qualche tempo: presa diretta, suoni saturi, spirito Lo-Fi e impatto frontale: un disco che, in termini di Hardcore duro e puro, è stilisticamente perfetto: breve durata dei pezzi e dell’insieme, capacità di variare senza alterare la compattezza della proposta, politica, rabbia, rancore e pedalare. I Buio Omega, che ci scippano anche un nome stupendo preso dalla nostra migliore filmografia di genere, sono un vero gruppo Hardcore, perfettamente in linea con quello che è stato e pienamente cosciente di cosa significhi oggi suonare questa musica. Io mi sollazzo ad ascoltarli ma, cosciente di quanto detto finora, un po’ ci soffro…
Burnout Ostwest “Würzburg stärkt die Szene”, 2023
I Devo che si scambiano elementi coi Fall, generando un insieme che, per quanto abbia chiari riferimenti, tra citazioni e rimandi, sfugge continuamente dal rischio del già sentito, disegnando così anche nuove possibilità nel suono e nell’arrangiamento. Un ritmo serrato e che non lascia spazio di riflessione, ma trascina inesorabilmente verso un divertimento intelligente, di quella tipologia che vuole, oltre a farti trascorrere un piacevole quarto d’ora (ma non è detto che, al termine, non si possa ripartire da capo, prolungando ulteriormente il piacere) ti insegna anche qualcosa; sarebbe bello se dischi così facessero adepti e creassero un vero e proprio filone anche fuori dai confini alemanni, convincendo che il Punk Rock non è rigidità stilistica e ostilità sonora, ma anche, e soprattutto, commistione, divulgazione e invenzione. Voi godetene intanto, ma non scordatevi di prendere appunti.
Carvento Falana “Malduvo”, 2023-Discos Peroquébien
Atmosfere Industrial, ostinati di basso e batteria elettronica sporcati da opportune aggiunte di Synth, saltuarie, fatali, geniali. Canzoni basate su di un solo giro e universi paralleli che appaiono e scompaiono tutt’intorno a fare da corpo allo svolgimento. La brevità, com’è giusto che sia, valorizza il tutto e ne impreziosisce il risultato. Un disco particolare (come particolare è tutta l’opera dei Carvento Falana) che spinge ulteriormente più in là la cifra della loro musica: si rimane come ipnotizzati e si rischia di non ricordarsi più cos’è successo durante l’ascolto eccetto che si è assistito ad una recita sonora di indubbio valore. La curiosità cresce, l’ascolto si ripete, tutto il resto perde peso ed importanza; anche le nostre vite rimangono sospese, bloccate nel suono essenziale e scarno dei Carvento Falana; un dolce perdersi tra trame armoniche dissonanti e, a tratti, anche anti- musicali che quasi sembra di affacciarsi su di una percezione differente del reale. Un’esperienza che, al di là di quanto scritto vi solletichi l’udito o meno, vi costringo a fare perché il Punk Rock è anche aprirsi all’ignoto.
Class “But Who’s Reading Me?”, 2023-Feel It Records
Punk Rock, di prima scuola, senza tanti pensieri ed invenzioni, un po’ ’77 un po’ ’82. Risentito? No. Paiono uno di quei gruppi riesumati in una compilation Killed by Death, piccole perle di genialità Punk lasciate sbadatamente a prendere la polvere su di un qualche scaffale: il pezzo essenziale per narrare una storia collettiva e che, purtroppo, mancava. Fortuna ci son state proprio quelle compilation a colmare quel vuoto e a togliere ogni verticismo al racconto; i Class sono Punk, quel Punk che è fatto di piccole storie, durate poco, lo spazio di un 7”, ma abbastanza da appassionare ed infiammare l’interesse di chi, di Punk Rock, si nutre e si delizia. Un tocco essenziale di Power Pop ed una cura del suono al fine di evitare la leziosità che, una continua ricerca della giusta armonia, potrebbe causare. I Class se la cavano alla grande e ci lasciano un disco che, al di là del periodo storico in cui è proposto, sa di tradizione come di evoluzione, tutto squisitamente nello stesso istante. Da ascoltare con piacere ed attenzione.
Contra/Spam “Split”, 2023-Go Bo Records
Eternamente sospesi tra punk rock d’assalto e tecnologia domestica, gli Spam guidano un attacco frontale alle vostre esistenze. Tre pezzi dritti e senza fronzoli, Drum Machine+chitarra satura+voce effettata che pare sempre più un PC in rovina: rappresentare la tecnica ed il suo possibile declino utilizzando la tecnica stessa come mezzo di deterioramento del formato -canzone. Spigoli che urtano e urla che mandano in saturazione tutto il possibile. Come sempre geniali.
I Contra non sono certo da meno: sembra di ascoltare un compromesso tra Crust e Twee: le armonie son dissonanti e ricordano molto punk hardcore inglese primi anni ’80 (quello politicamente motivato di Icons Of Filth e Conflict) ma c’è un che di divertente e divertito nell’incedere di tutte le composizioni e un che di malinconico nell’intero mood generale: lanciare molotov contro la celere, carichi di umana fragilità e con un ghigno beffardo stampato in volto. Questo è quanto, pretendere di più e meglio significa non meritarselo (o forse sei un celerino).
Day Residue “Day Residue”,2023-Painters Tapes
L’hardcore Old School ha detto tutto? Ma proprio tutto tutto? Siamo sicuri? Anche se prima ci sarebbe da chiedersi se questi Day Residue siano i non siano Hardcore Old School, noi ci mettiamo nell’ascolto e sanciamo, acrmine di questo, che, no, proprio non è cosa il lanciarsi in elegie funebri di generi musicali che fanno di furia ragion d’essere; non adesso, non qui, non in questo periodo storico…è dunque estinta la miseria dal mondo in questo periodo storico? Finite quindi per sempre la sopraffazione, il carrierismo con o senza scrupoli e l’arricchirsi a mezzo di sfruttamento? La risposta è no, e quindi c’è ancora di più il bisogno di una voce, meglio se femminile alternata ad un’ altra maschile, come in questo caso, e con fermo piglio denuncia, sbraita, collassa su una sezione ritmica ferma su un quattro quarti drogato di doppi colpi e velocità. Su tutto questo, e qui arriva il bello, una chitarra dal suoni pieno, distorto ma ben definito, svolazza qua e là inventandosi nuove grammatiche sonore per il genere. Verrebbe molte volte spontaneo, presi dalla noia della routine e, primis, di noi stessi, lasciarsi trasportare alla deriva dall’ovvietà: trovare termini banali cercando di non sforzarsi affatto durante l’ascolto di dischi come questo: arrendersi a definizioni perentorie e schedare il tutto con un avvilente “tutto è stato scritto”, ma nulla viene lasciato scritto in realtà, tutto rimane in sospeso e continua ad esprimersi con esperimenti e commistioni. Noi non possiamo essere quelli di 30 secondi fa e così anche tutto ciò che ci circonda; la musica non fa certo eccezione e nemmeno i Day Residue. Prendetevi il giusto tempo, mentre camminate, mentre vi riposate, mentre andate in pezzi e ascoltatevelo: riprendere quello che stavate facendo prima di interrompervi vi sembrerà meno pesante e, cosa non da poco, vi sentirete meno soli.
Flipe VI/Kamuflase “Victims of a Noise Raid”, 2023-Future Gloom
La Future Gloom, neonata etichetta marchigiana, debutta con uno split tra un gruppo spagnolo e un altro indonesiano. Crust sporco, per niente affabile, decisamente ostile, una scheggia di metallo arrugginito conficcato nelle vive carni e che genera tetano: suoni che squarciano il sipario dello squallido teatro quotidiano, impongono un tuffo di testa nella realtà dove guerra, sfruttamento e repressione sono i veri protagonisti. Non è una rappresentazione ma sono notizie di cronaca, messe insieme per fare dei paragoni, tentare delle conclusioni: ovunque ci si giri con lo sguardo, il potere per essere tale deve opprimere, deve uccidere, deve umiliare. In Spagna, in Indonesia, in Italia, lo stesso viene espresso con idiomi differenti ma con la stessa disperazione e indignazione. Split così, son dizionari universali contro tutto ciò che è verticista e vuole imporre un ritmo proprio alle vite altrui; non aprirli, non sfogliarli e non calarcisi all’interno è una mancanza nei confronti di se stessi e un errore irrecuperabile. Magari, il tutto in esso contenuto, vi può suonare ostico o addirittura ostile ma ostica ed ostile è come appare la realtà ai tre quarti del pianeta, girare la testa verso scenari più confortanti (e anche fasulli) è un omissione di soccorso.
Geishas Of Doom “Sickest Music for Sickest People Vol.4”, 2023
Io una volta li ho intervistati questi Geishas of Doom e ci feci pure una figuretta; ero straconvinto che si ammazzassero di ripetuti e ripetuti ascolti di dischi usciti sotto il marchio della Amphetamine Reptile e loro giù a dirmi “no, a noi piacciono solo i Black Flag e John Coltrane”. Oh, io eppure ce lo sento quel Rock’n’Roll intriso di Noise e bizzarria, un po’ Cows, un po’ God Bullies, un po’ Hammerhead. Resto fermo sulla mia opinione anche su questo quarto volume di Sickest Music for Sickest People, conscio del fatto di non capire un cazzo di musica e che dovrei smettere di proiettare le mie fissazioni sui gruppi che ascolto. Insomma, fatto sta che qui i GOD acuiscono ulteriormente la loro bizzarria infarcendola con dei bei riff Hard Rock anni ’70 e da continui inserti Noise (oh, a me non lo toglie nessuno dalla testa, cristo!!!) di quella psichedelia che passa il confine dei canoni musicali e sfocia nella psicanalisi (i Red Crayola, tanto per dirne uno, i West Coast Pop Art Experimental Band, per dirne anche un secondo). Poi si, c’è tutta la rabbia repressa e le paranoie metropolitane dei Black Flag che si vuole e in buona parte si può anche dire che “Slip It In” abbia influenzato buona parte del catalogo Amphetamine, però secondo me mi hanno preso per il culo. Al di là dei miei (legittimi?) dubbi, questo resta un disco da ascoltare perché ispirato, votato al superamento dei generi, degli steccati mentali e un Ep da fare ascoltare a ripetizione a chi continua a sostenere che il Rock sia morto. Una disco esemplare proprio perché fondato sulla continua ricerca di un suono e di uno approccio ad esso che sia unicamente imputabile ai GOD. Qui direi che ci sono proprio arrivati. Delle due una: o un capolavoro o io non capisco un cazzo (e a sentire loro parrebbe proprio di sì).
Gobs “Go Soft”, 2023
Dicono di andarci leggeri i Gobs, ma più che un alleggerimento noto una maturazione compositiva che non rinuncia affatto a quell’assunto iniziale che altro non è che l’estetica Lo-Fi. Altri tre pezzi da imparare a memoria e da cantare quando ci si sente giù e non si riesce più a risalire: i Gobs ci aiutano ancora di più intensificando i loro tratti Power Pop e aiutandosi, in tal proposito, con un synth che stende melodie da apprezzamento immediato ma che, nella loro semplicità, risultano, se non geniali, quanto meno risolutorie: provateci voi a farvi comprensibili senza mai svendervi, senza svilire ogni vostro tratto più caratteristico e distintivo; i Gobs continuano ad essere quello che sono senza perdere un singolo frammento che sia uno di quelli che erano e utilizzano il tutto per descriverci, passo dopo passo, intuizione dopo intuizione, quello che saranno: sempre sulla vetta, sempre tra le migliori formazioni Punk Rock in circolazione. I Ramones (ma anche gli Spits, ci mancherebbe altro) guardano e sorridono soddisfatti.
Joaco Van “TV TIME”, 2023-Linea Costera Discos
Shitgaze e macerie, un racconto che parla di delusioni e sconfitte ma sulle quali si continua a trovare una ragione per sorridere, con autoironia, con passione, con spirito satirico. Tutto si sostiene su suoni eterei corrotti da prese di registrazione alla buona perché così, a conti fatti, è come ha da essere: la spontaneità non si può ostacolare, reprimere sotto quintali di abili trucco da studio di registrazione: tutto buono alla prima e, se c’è un errore, si tiene lo stesso. La possibilità dell’errore è quello che impreziosisce questo disco e, ad ogni buon conto, lo rende unico: una sensazione come se tutto stesse per sfociare in un baccanale di rumori e strumenti che si sfasciano l’uno contro l’altro e poi, incredibilmente, rimane in piedi, tenuto insieme da una piccola melodia fragile ma che, nella sua fragilità, si rivela di una potenza inattaccabile. Forse la nostra fragilità è l’unico e insostituibile punto di forza che abbiamo come essere umani e al quale ci dobbiamo aggrappare per non diventare le parodie di noi stessi. Gli Joaco Van vengono dall’Argentina solo per suonare, nulla di tanto pretenzioso, ma, solo suonando, raccontano molto di più di quello che vorrebbero.
Les Lullies “Dernier Soir’, 2023-Beluga Records
Un mondo senza Power Pop è un mondo senza poesia, e un mondo senza Power Pop e poesia è un mondo dove non vorrei vivere. Fortuna che il Power Pop c’è e ci fornisce tutta la poesia necessaria. I Les Lullies li ho visti dal vivo, dopo una fila in superstrada per lavori in corso durata un’ora, una cena insulsa in un autogrill e la settimana lavorativa ancora sulla schiena: mi fecero dimenticare tutto, con il loro Punk Rock intriso di Power Pop e poesia e tornare a casa fu quasi un dispiacere, avendo sperato che quel concerto si ripetesse all’infinito. I Les Lullies si ripetono però in questo disco da due pezzi, due pezzi che stimolano brividi positivi e che mi riportano necessariamente a quella sera migliorando lo stato attuale degli eventi: ancora Punk intriso di Power Pop e poesia e, ancora una volta, una vita che, nonostante le code, le cene insulse e le settimane lavorative ancora sulla schiena, vale la pena vivere.
Mind/Knot “My Queen”, 2023
Un’anticipazione, un solo pezzo, che, in quanto anticipazione, anticipa un massacro; forse per massacro intendo solo un disco Math Core, dove la violenza si sposa con invenzioni dispari applicate non per mera esposizione di capacità tecniche fino a se stesse ma per coerenza di racconto, forse, per massacro, intendo quello che può succedere da un momento all’altro con una guerra alle porte ed un governo nazionale incapace (incapace proprio perché governo e proprio perché nazionale). In ognuno dei due casi, quest’unico estratto funziona a dovere: sia come anticipazione di un massacro sonoro, dove la qualità indubbia dell’esecuzione non lascia appigli né riferimenti certi in chi ascolta in quanto asservita ad una instabilità ragionata e ad una violenza che assume più i tratti della rappresentazione artistica che dell’atto gratuito e volgare in sé, sia che lo si utilizzi come colonna sonora portante nel giorno in cui un fungo atomico ci apparirà all’orizzonte decretando la fine dell’intera giostra.
Mirth “Mirth”, 2023
Guardami andare in mille pezzi mentre sparo sui miei centri nervosi a mezzo di Blast Beat feroci e spietati. Nichilismo Black Metal a cascata, come un bombardamento a grappoli su città dove si son scordati di dare l’allarme. Un errore umano che sfocia in una strage
“I believe in Pain” ci avverte una voce prima che l’inevitabile diventi realtà.
Da un’insospettabile Pennsylvania, che qui pare più Transilvania, sorge come un sole nero il culto di Mirth, cerimoniere Black Metal senza nazismi o nazionalismi o appoggi incondizionati a Marie LePin, ma solo con tutto l’oscuro lascito che questa musica porta con sé quando si ricorda di essere arte senza prendersi sul serio. Certo, lo spirito asociale volteggia come un avvoltoio su tutte le composizioni e il nichilismo, da suono, diventa espressione filosofica, ma la musica è un mezzo d’espressione e non è detto certamente che questa debba rappresentare gioco forza “Il Bello” soprattutto in tempi come questi dove di “Bello” se ne vede sempre meno in giro.
THE PHANTOM RECORDS FILE
Non so di dove sia la Phantom Records. So che è tedesca, ma non so esattamente di dove. Penserei di Lipsia, piccola landa di realtà enormi: qui l’Egg Punk è sbarcato contaminandosi subito con trame NDW e atmosfere da STASI.
La cosa che sorprende piacevolmente è constatare come questa etichetta dia voce a chi riesce ad adeguare un genere dai natali non alemanni alle esigenze della propria storia e del proprio modo di raccontarla, con il felice risultato di rinnovare sia il genere importato che quello già praticato da decenni in patria evitando, così, la fossilizzazione di entrambi: Egg Punk che diventa NDW che diventa Kraut Rock che diventa Egg Punk che diventa non lo so, fatevela anche voi un’idea:
Ponys Auf Pump “Ponys Auf Pump”, 2023
In Germania il Punk è NDW che è Kraut Rock che è divertimento che è anche intelligenza senza mai rinunciare alla spontaneità e all’immediatezza che il genere necessita; ma, andando nel dettaglio, di quale genere stiamo parlando dei tre sopracitati? A questo punto penso di non saperlo nemmeno più io e in tutta franchezza penso di poterne fare anche a meno. La freschezza del suono, il suo sferragliare incessante mitigato da un synth dalle melodie immediate e semplici, generano, nel loro intervallarsi e coesistere, come una contraddizione in termini che, a conti fatti, sembra uno dei modi più efficaci di rappresentare l’essere umano-tipo degli ultimi tre anni: furia e infantilismo. Io mi lascio quindi avvolgere da questo “non so” perché mi somiglia e, perdonerete spero l’autoreferenzialità, nel somigliarmi mi intriga, perché ciò che ti somiglia, molte volte, ti dice cose su te stesso che non sapevi di sapere. Questo EP ti legge, ti processa e ti ripropone, forse ti reinventa pure (non si sa mai…).
Schwund “Dieezer Tübe 2”,2023
Cold Wave si direbbe, con un inevitabile accostamento alla NDW anni ’80 dato dal cantato e da un senso più di ironia punk rock che di travaglio personale dark Wave. Qui ci si diverte in forma sintetica, ci si lancia in folli danze. Una recita gelida in un teatro di grigio metallo, una farsa troppo seria per essere compresa al primo ascolto. Occorre approfittare finché dura, finché si è ancora capaci di comprendere lo scontro e l’incontro di due approcci, all’apparenza, contraddittori: l’ironia e la rigidità. La frizione dei due elementi non rende il tutto inascoltabile ma stimola, avvicina, rende più aperti mentalmente. L’impatto è frontale ma non violento, a dire la sincera verità potrebbe anche causare dipendenza da ascolto: un gioco divertente e che non scade mai nella banalità o in una comoda categoria dove poterlo adagiare per renderlo innocuo. Qui non c’è niente di innocuo e comodo, eppure è davvero divertente e intelligente nonostante imponga uno strato spesso di paranoie sotto forma di melodie morbose ed angoscianti.
Splizz “Splizz”, 2023
Fare Dark Wave e risultare comunque Punk Rock senza fare il verso ai Christian Death: succede solo se sei su Phantom Records e sei capace di saper rimuovere quella sottile pellicola malinconica con un piglio ruvido e genuinamente Lo-Fi. Il fatto è che se per certe trame di basso e batteria e per l’uso di Echo sulla chitarra, lì per lì ti verrebbe quasi di affermare con piglio certo che questi, non c’è cristi, paiono un gruppo Post Punk poi, di colpo, man mano che i pezzi scorrono, ti rendi conto che gli Splizz stanno guidando un attacco nei confronti dei tuoi centri nervosi: suoni composti, parrebbe, ma una cascata irruenta di ritmiche forsennate e dritte in quarto quarti. Ti ritrovi a sbattere volontariamente contro le pareti della stanza. Sembra di accogliere nel giardino di casa una pioggia di meteoriti nel giardino di casa, ma la tua mente vede solo una cascata di margherite e di viole; ti svegli il giorno dopo e non hai più un giardino, una casa, una vita. Solo un bel ricordo di margherite di viole.
Szlauch “Smrod”,2023-SYF Records
Chi se ne importa se tutto questo non corrisponde esattamente alla tua idea di Punk? Il Punk è solo un nome per chiamare la creatività senza freni, confini e steccati mentali. Se non sei molto propenso ad aprire la mente, accettare che le regole di solito le impone chi in testa ha solo fuffa e non comprendi che quella degli Szlauch, come tutto il catalogo della SYF, è un’idea nata in un sottoscala, gestita tra limiti e impedimenti (le misure restrittive contro la pandemia) e che nasce dall’esigenza di creare e rappresentare sempre e comunque al fine di non fare morire l’arte in un periodo dove, dai piani alti, si imponeva la sola sopravvivenza del profitto e della produzione, il problema è solo tuo: forse sei tu che non dovresti parlare di Punk come se fosse una cosa tua. Qui, tra estratti da un Rave, danze frenetiche con la testa infilata in un subwoofer e un cantato che pare più un comizio politico della sinistra extraparlamentare, di Punk ce n’è da buttare via: invenzione, autoproduzione, supporto ideale, iniziativa dal basso, irruenza nelle forme e contenuto nelle sostanze, artigianato rudimentale ed essenziale nel lascito definitivo (Punk!). Non troverai qui la consuetudine, la ripetizione di quei luoghi comuni da un penny per una foto a Piccadilly Square, quei gesti ripetuti che tranquillizzano i borghesi di fronte a un qualcosa che faticano a capire.
Tetsuo Punk Terror/Dr. Wolfenstein “Split”, 2023-Rip Off Records
Per descrivere future società distopiche occorre fare un uso criminale dell’elettronica, possibilmente irrigidirla con beat semplici, in quattro quarti, secchi; operare una commistione con ritmi caraibici e vaghi rimandi lounge per adeguare il tutto al luogo dove il tutto viene composto (il Perù) per poter permettere all’ ascoltatore di contestualizzare meglio il suo possibile futuro; condire sapientemente con rumorismi inaccettabili, campionamenti aggressivi, disperazione e dispiacere. La mente dell’ascoltatore inizierà a proiettare sulle pareti immagini in rassegna di interrogatori, edifici staliniani, uomini in divisa, irruzioni in appartamenti alle quattro di mattina, un telo sulla testa, manette ai polsi, manganelli. Una sensazione di oppressione si propagherà dal cervello fino alle terminazioni nervose: leggere scosse elettriche che diventano sempre più intense fino a diventare oscuri presagi. Per prevenire occorre inoculare in chi ascolta il futuro in dosi letali, diffondere la paura e saperla mettere in relazione al vissuto routinario del paziente/fruitore, per impedirgli di essere paziente e fruitore e obbligarlo a tornare essere umano. Questo è quanto, e scusate se è poco.
Yonic South “Devo Challenge Cup”, 2023-Pollice di Fuoco
Ero ad un festival qui in Toscana, sul palco si alternavano personaggi sospesi tra il “sono troppo serio per fare roba seria” e “sperimento perché normale non mi viene”: due palle. Ad un certo punto salgono gli Yonic South e, tra un’estetica da bidonville, garage punk pop solare, comicità e fatalismo riaccendono in me tutto l’interesse ormai sopito da ore di fessi petulanti e pretenziosi; dopo di loro fu la volta degli Holiday Inn col cantante che si esibì completamente nudo e con la scritta a pennarello Feel Free sullo stomaco. Un uno-due credo di non averlo mai vissuto prima e neanche dopo: la festa che diventa destrutturazione, che rompe gli schemi, che rimette tutto in gioco, che finalmente diverte semplicemente perché è quello che è: una festa, appunto. Dimmi come fai festa e ti dirò chi sei. Gli Yonic South hanno capito che per dimostrare di avere talento non occorre irrigidirsi su formule artistiche con pretese di avanguardie ma semplicemente facendo festa. Divertono e non annoiano, mai: una cassetta, licenziata dalla neonata, ma già con 5 uscite più che entusiasmanti (i garage Rockers Bad Plug, l’Egg Punk di Cluttered Grotto e DADGAD e la ristampa di Sonic Boomerang dei favolosi Bee Bee Sea), Pollice di Fuoco di Piacenza che è un tributo ai Devo più Punk Rock e a tanto Garage Pop di scuola Burger Records; una scrittura felicissima e che riesce ad entusiasmare sia in pezzi originali (The Helmet, Mark Mothersbaugh Alterego…) che nella riscrittura di pezzi come Girl U Want dei Devo e un’incredibile “All the Small Things” (qui, però, rinominata All The Small Twix) dei Blink 182, totalmente sconvolta e devastata nel finale. In tutto questo gli Yonic South sanno come far ballare, urlare ed entusiasmare senza cedere un etto che sia uno di credibilità artistica: c’è del metodo nella loro follia, c’è una rigida disciplina in questo clima festaiolo. Ancora: dimmi come ti diverti e ti dirò chi sei e gli Yonic South sanno divertirsi e divertire davvero nel senso giusto.
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