Ancora due racconti editi da Grazia&Bob che qui si cimentano ammiccando al genere THRILLER… La prima parte della storia, come d’abitudine, fuoriesce dalla penna e vena artistica di Grazia, un ariete narrativo incontenibile che spianerà ogni ostacolo.
Noir Désir
di Grazia Ferro
Illustrazione: Paola Acciarino
Eccomi a rispondere alle domande dell’appuntato: nome, cognome, data di nascita, professione…
Professione! cateratte di tristezza brillano sui miei occhi. Domanda che sigla la mia nullità: casalinga. No, non c’è altro termine più ruvido e stretto da calzare. Non mi rappresenta, io sono una donna zeppola! bionda come un bignè caramellato, circolare nei desideri che ruotano sull’amarena capricciosa, da gustare a passi scalzi sulla sabbia al suono felice della macchinetta del caffè.
Non sono domande da porre.
Eccone a seguire un’altra: domicilio?
Inferno! Mi vien da dire.
Il tuo infernetto, madre, diventato poi il mio. Perché se è vero che le case hanno un’anima, questa ha un cuore dannato, nei suoi cunicoli pompa le nostre spore tossiche, accumulate in tot anni che ci tiriamo i pezzi a urlare, strepitare, scalciarci verità e menzogne in egual misura.
Tu, donna-fiore di cappero, introversa, ascellare, amante del dialetto della pietra grezza, frequentatrice delle crepe, la tua collana preferita il filo spinato fiorito lungo una preghiera, tu ora di là, distesa sul letto, con tutta la mia vita racchiusa nella teca del tuo corpo stecco, come lui divenuta a mano a mano scheletro già prima di morire.
◊ ◊ ◊
Un altro carabiniere mi chiama:
“Ecco le lenzuola, le metta pure a lavare, abbiamo fatto tutti gli accertamenti… è la prassi… morire per il veleno di una vipera, in città, è un caso altamente sospetto di omicidio. Adesso sua madre la portano via.”
Vorrei gridare:
“Fermi, fermi, siete sicuri che sia morta?”
Ma mentre lo penso mi accorgo che le lenzuola sono gelate.
Libera!
Libera da te. Tu che sapevi sempre con una lacrima, una minaccia, un finto svenimento, tenermi legata; fra le tue giovani mani di un tempo osservo i miei capelli ribelli che diventano ordinate trecce, niente asilo, tu unica maestra dei miei pensieri.
Piegasti un tenero germoglio con arte bonsai a seguire il filo duro della tua volontà caparbia a scolpirlo, torcerlo sotto il tuo capriccio di una casa di specchiato ordine e pulizia.
Una casa che giorno dopo giorno cede, scricchiola, puzza di vecchio e canfora, come noi.
Ora sono libera, se servisse a qualcosa.
Gli anni più belli te li sei presi.
◊ ◊ ◊
Alzo gli occhi e nello specchio vedo il tuo volto di vent’anni fa. Tra pochi anni qualcuno terrà tra le mani i miei lenzuoli freddi. Quali mani? Tra te e me non hai lasciato spazio per nessuno. Nessuno. Dove sono finiti i miei sogni? Li hai visti, mamma? Erano tutti là, in una scatola di scarpe nel nulla della polvere, sopra il tuo armadio. Li trovai un anno fa insieme alle lettere di Mauro dal fronte militare, che mi avevi sempre nascosto. Le ho lette tutte, ed ho camminato per giorni e giorni su un sentiero dipinto di immagini d’amore, mi sono persa, ho pianto per le parole appassionate, insistenti e poi dubbiose per le mancate risposte e man mano punteggiate dalla delusione per i miei silenzi, silenzi ingiustificati.
Non te ne feci parola, ma l’odio vive nel suo tempo, senza fretta e sa aspettare. Un’attesa che sedimenta, si intreccia in una stuoia elastica e resistente, io ne ho fatto un papiro in cui avvolgere il simbolo del nostro rapporto, per poi donartelo al primo compleanno; girai parecchio tempo per procurarmelo. Finalmente, in una mattina, nelle ore sottili dell’alba, prima che le ore si riempiano di occhi curiosi, su un sentiero di montagna, su un muretto a picco di sole, colsi l’occasione. Lo infiocchettai bene, come piace a te, mamma.
Divarico la finestra, la penombra si sfonda di luce e assedia il tuo letto.
Tra poco verranno a chiuderti la bara e con te sigilleranno i miei pensieri più segreti e un’esistenza intera: la mia.