Grazia & Bob proseguono nel loro intento testuale aggiungendo due nuovi racconti al lavoro fatto in tandem; Grazia apre le danze con “OMAGGIO MINIMO” e Bob le chiude con “DAL MINIMO AL MASSIMO”, annodando due spezzati fili comuni che assecondano, come il precedente episodio, le loro visioni stilistiche.
di Grazia Ferro
Quando hai in mano un martello, si dice, tutto ti sembra un chiodo: il suo si chiama Laura e tutto intorno gliene ricorda un pezzo, un gesto, una frase, un profumo.
La bandiera del bencontento che arruffa e poi liscia i pensieri in voli pindarici, sventolò una mattina in biblioteca, la ricorderà sempre così, Laura, a studiare con il capo chino, la lunga treccia nera adagiata tra le scapole come coda di sirena e non serve un’immaginazione da illustratore per entrare dentro i suoi occhi annacquati per veder l’acquario di pensieri dolci e tristi shekerare insieme.
Lei si alzò e ondeggiando approdò al suo tavolo di impiegato bibliotecario e la sua vita virò per sempre verso terre esotiche.
“Mi serve “La lettera d’amore” della Schine.”
Disse con labbra polpose rosso pachino.
Passa sempre un po’ di tempo tra quando Elio si alza e si sveglia.
“Mmmm…” risponde, per dare al cervello il tempo di rimettersi in moto, alzarsi, stirarsi i neuroni distonici e annusare intorno come tira la giornata. I pensieri di Elio sono come pezzi di un mosaico che va prendendo lenta forma, svelandogli la chiave di lettura di quel racconto bizzarro che è il caso.
“Provvedo subito.”
Fogli, foglini, foglietti… quella scrivania è un casino da accampamento beduino, il trillo del telefono riporta la realtà sul giusto piano, lo distoglie dai suoi non pensieri e la visione di Laura si allontana.
Capitò, come capita ai bambini di una volontà capricciosa, implacabile, un volere folletto cieco, sordo e scalciante, la frenesia di dichiarare il suo amore a Laura.
Non fu una lettera sola bensì un centinaio, disseminate tra le pagine dei libri che Laura preferiva, fra Rostand e Roth, passando per Edgar Allan Poe, lasciando la scelta al caso, trascinati straccetti portati dal vento.
Tutte uguali, dicevano così:
“Ti scrivo questa lettera senza conoscerti.
Spero che tu sia tu.
Spero che tu corrisponda il mio interesse. Amo la tua bellezza non esibita, quasi ci fosse in te qualcosa di meno visibile e più degno di cura. Ho voglia di conoscerlo questo segreto e non so esprimere questa esigenza in modo meno perentorio. Vorrei che tu arrivassi all’improvviso con la dolcezza di una parola, col mistero di una lettera, potresti lasciarla lì, fra i libri di Collodi e Grimm. Sarà la nostra fiaba. Io so che lo farai.”
Non si firma.
I giorni scorrono avanti senza storia, Laura non è più tornata.
Elio nota ma non coglie il nesso dell’aumentata affluenza di giovani in biblioteca con le sue lettere sparse; se non Laura, qualcuno le lettere le ha trovate. Elio non capisce il via vai di facce sbarbate di tutti quei bimbetti avvolti in giubbottini catarifrangenti e pronti a rizzar l’anatomia e mettersi sull’attenti ogni qualvolta si presenta la pulzella dallo sguardo vispo con tutte le velette spiegate.
E ogni tanto urletti acuti di gioia misteriosi spezzano la sacralità della lastra del silenzio, ridacchiano pure tra loro le belle ragazzine che si tengono strette per i gomiti.
E c’è questo di brutto, che non ha nessuno con cui condividere il dolore denso di quel vuoto, di quella mancanza pneumatica che lo porta a bere, lasciando l’impronta depressiva dell’alcol si stampi nel centro esatto della coscienza.
ILLUSTRAZIONE DI MARANGONI DAVIDE