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Recensione : One Big Union Di Valerio Evangelisti

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One Big Union Di Valerio Evangelisti

“One Big Union” di Valerio Evangelisti

LIBERI di LEGGERE

 

“One Big Union” di Valerio Evangelisti, edito da Mondadori

 

Robert Coates è un giovane meccanico americano, religioso, affezionato alla famiglia, con pregiudizi razziali e un patriottismo che sconfina nel nazionalismo. Per conto di agenzie investigative come la Pinkerton e la Burns (da cui nascerà l’FBI) – agenzie pagate da industriali e grandi proprietari – Bob s’infiltrerà nei sindacati col fine di combattere gli scioperi e riportare la disciplina fra i lavoratori.

Attraverso le sue vicissitudini, seguiremo i grandi scioperi dei ferrovieri di fine Ottocento sino all’epopea, nei primi vent’anni del Novecento, dell’Industrial Workers of the World, l’organizzazione che cercò di unificare gli operai precari e non specializzati di tutte le etnie, usando armi inedite quali i volantini multilingue, la canzone e il fumetto.

 

Potrete leggere passaggi come questi:

 

  • La classe operaia è ai limiti della sopravvivenza. Un capitalista non può decidere di impoverirla ancora solo perché in un certo momento le sue speculazioni smettono di rendere come prima. (…) dovremmo essere noi a pagare la sua crisi?
  • Che accordo ci può essere tra proletari e capitalisti? Tra sfruttati e sfruttatori? Da parte nostra è possibile una sola reazione: lo sciopero generale!
  • (…) 4 maggio 1886. Quel giorno, in Haymarket Place, la polizia aveva ucciso alcuni manifestanti che reclamavano le otto ore quale tempo massimo di lavoro. Mentre la folla defluiva, una bomba aveva ucciso un agente. Erano stati arrestati otto anarchici a caso, nessuno dei quali presente al momento dell’esplosione. Un processo truffaldino ne aveva condannati cinque a essere impiccati; uno di loro si era tolto la vita in carcere. La sentenza era stata eseguita l’11 novembre 1887, malgrado un coro universale di proteste. Chiaramente si trattava di un monito contro chi cercava di alterare il sistema democratico americano, fondato sul censo.
  • “Possiamo sparare?” chiese uno dei Pinkerton. Heinde fece una smorfia. “Certo che sì. Mentre smontate, fuoco a volontà. Siamo venuti a impartire una lezione memorabile a questa marmaglia. Che imparino a obbedire.” “Spariamo anche su donne e bambini?” “Soprattutto su loro. Padri e mariti capiranno che resistere non conviene… Forza, adesso. Basta chiacchiere. In fila lungo la passatoia. Toccato il suolo, correte e fate fuoco a casaccio.”
  • (…) hai un’idea vaga di cosa sia la democrazia… In sostanza una catena di interessi.
  • Il padrone peggiore è quello che si dice vostro amico. Che parla di comune interesse, di crescita collettiva, di collaborazione per il bene nazionale. È la fandonia più spudorata della storia. “Un beneficio per l’industria è un beneficio per tutti.” Balla madornale. Se udite qualcuno dire questo, prendetelo per ciò che è: un dannato bugiardo.
  • Il contenuto degli articoli era fantasioso tanto quanto lo strillo. Cospirazioni, sbarchi notturni di terroristi di professione, manipolazione di dinamite in cantine ammuffite. Bob ne sorrideva, e al tempo stesso era grato ai giornalisti. Facili da comprare, pronti a ogni menzogna, erano gli alleati più sicuri della gente come lui, fedele all’ordine costituito. Quanto più la bugia era colossale, tanto più faceva presa. Se non fosse stato un agente infiltrato fra i sovversivi, e se avesse saputo scrivere, avrebbe fatto il giornalista. Un modo come un altro di servire la patria.
  • Siamo usciti dalla crisi della fine degli anni Novanta. Stiamo entrando in un periodo di prosperità. C’è lavoro, si produce, la ricchezza aumenta. I poveri non sono più per strada a fare lavori inutili, disposti da sindaci e governatori troppo buoni. E chi ti salta fuori? Il rompicoglioni di sempre. Il sindacalista, il socialista, l’anarchico.
  • La chiamavano Mamma Jones. Una fanatica utopista. Contrasta il lavoro minorile nelle miniere. Non pensa che, senza l’uso dei bambini, la nostra industria estrattiva andrebbe in malora. Nei cunicoli servono corpi piccoli.
  • Pareva (…) che l’estrema sinistra fosse eternamente impegnata a dibattere su sfumature. Partecipare al voto o no, privilegiare l’organizzazione operaia o valorizzarne la spontaneità. Mentre il capitale era rapido a coagularsi, l’antagonismo si perdeva in differenziazioni di dubbia rilevanza.
  • Fratelli (…) hanno cercato di persuadervi che il capitalismo sia inevitabile, che la disoccupazione che flagella il paese sia una catastrofe naturale. Ebbene, vi dico che non è così. La crisi non cade dal cielo: alla base ha il vostro sfruttamento oltre il lecito e l’avidità di sfruttatori che campano del lavoro altrui. In questo stesso momento, i ristoranti di lusso di Chicago, di Saint Louis e di New York sono pieni, e voi lo sapete. Parassiti oziosi consumano bottiglie di vino francese al fresco in secchielli pieni di ghiaccio. Tagliano la faraona e il vitello arrosto. Sono gli stessi che parlano di crisi. I politicanti e i giornalisti al loro servizio invocano la solidarietà nazionale. Tuttavia una forza giovane e vigorosa è nata per ribaltare il quadro, per unire gli sfruttati senza distinzione in una lotta comune. Sono i fottuti Industrial Workers of the World!
  • A volte una chitarra conta più di un fottuto fucile.
  • La stampa risponde a chi la possiede. Puoi trovare, occasionalmente, un giornalista onesto, che esprimerà le sue critiche in termini velati. In rubriche secondarie, ben nascoste. Quelli di prima pagina sono puttane.

 

Se avete letto i passaggi riportati sopra, ve ne sarete già accorti: in questo libro si narra qualcosa successo oltre cent’anni fa per parlare del presente, c’è la conferma che la storia si ripete sempre uguale a ogni latitudine e che il capitalismo – anche quello delle origini – non ha mai avuto alcunché d’illuminato.

 

Marco Sommariva

 

 

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