Il lato jazz sciamanico, misterioso e tribale, i cori spiritici, le percussioni e i tribalismi minatori, si mischiano alle venature blues, integrando cuciti di elettronica, loop, e il sottilmente venefico cantato: ebbene qui si è generato un giardino botanico che ha coloriture miste di generi e suggestioni, riversate in un pregiatissimo elisir lungo 10 pezzi sonori.
Il gruppo ha un modo di fare musica tutto speciale ed avventurarsi dentro le loro segrete partiture riecheggia un sacco di riferimenti musicali, pur rimanendo (credeteci!) personalissimi; schegge magiche tipo Aktuala o Art Ensemble of Chicago sono un buon legame ed anche certi pezzi del primo Dr. John o del Waits di “Mule Variations”.
Ormai chi si dedica più a questo lato sinistro della musica? Lo spettrale, evocato da riunioni vudù, naviga nel vago tropicalismo stregato.
E’ meraviglioso sentire rielaborati in questo disco la totalità di siffatti suoni. La concentrico mistura fa di questo disco un piccolo capolavoro del suo genere: sarebbe come se cinque amici si fossero ritrovati con uno scopo, suonare ciò che le viscere gli suggerivano meglio, session dopo session, sino ad evidenziare i brani finali nella forma che meglio si delineava, governati dall’impulso di una macumba collettiva, in cerca dei loro spiriti guida protettori.
Le parti migliori sono in formato esteso, permettendo un’accurata gustosità dei brani. Tuttavia ogni bravo strumentista contribuisce ad un progetto ingegnoso e raro che sa di paludismo primitivo, sotto l’influenza di un sole rosso carico di presagio incombente; da capogiro!
“Opposition”. Interessante il gioco dell’elettronica su tessuto jazz spianando la strada al tribalismo; il piano è micidiale in apertura, fulminante per come introduce il pathos, rievoca un’aria Antonioniana, comunque da colonna sonora noir. I cori suggeriscono qualcosa di simile all’abbandono della psiche. Retrosuoni di feedback rendono l’atm nettamente in bilico tra chillout e musica sciamanica.
“All The 72 Things You Are “. La pioggia introduce un discorso afro à la Don Cherry + Art Ensemble of Chicago di Bap Tizum, si sviluppa un folclore straniante, forse grazie agli Aktuala, echi loro caratterizzano maggiormente. Variegati suoni etnici si rincorrono fitti.
“Loop Loop Balendro”. Breve danza asciutta, quasi divertita e generosamente ritmata; hawaian music incontra quella folk del Mali. Si balla sovrappensiero, con un occhio teso alla minaccia incombente tracciata dall’incessante battere del tempo.
“I’m dogged” si ripete, creando una pervicace aria misteriosa, da thriller: scherzo ad alta tensione.
“Mind the gap” pare raccogliere ciò che è stato seminato sin’ora. Singolare combine, ne emerge un blues semplice nella struttura invariabile, ma screziato di etnico: stravagante miscela di post-rock & pop. La scansione del ritmo è prontamente accattivante insieme alla melodia cantata; se fosse un 45 giri d’altri tempi sfonderebbe in classifica. Lo scarno si impone su tutto, gli effetti in sordina svelano inquietudine diffusa anche dalla melodia. La riuscita del pezzo è notevole nel dosare le parti d’insieme.
“The new march”. Marcettina variopinta dalle vibes e dalle percussioni, inventano l’efficace mood, che ne fa una perla grigia.
“Just Before The Earthquakes “. Gioiellino dal vivido gioco di percussioni abilissime, in cui il basso accompagna vellutato il climax del synth, o della sei corde impazzita, sciogliendosi in un abbaio finale!
Non si sta tranquilli, circolano scuri presagi.
SIMPLE THINGS. Ancora jazz straniante, sfuggente, e che segna il procedere dell’album, ancora il mood psichedelico che costituisce la bellezza di tutto l’album. Esoterico dark mood a palla. La voce scalda il pianistico ritornello, mentre tutti gli altri strumenti incalzano nella coralità che pare ci voglia sovrastare: basso, batteria, percussioni. Una creatura inafferrabile, affascinante. Accordi in fase di rilassamento; impercettibili tocchi di goduria ingigantiscono spifferi sensitivi. Geniale.
“The hill’s theme”. Sette minuti di blues primitivo, condito prima dalla chitarra acustica che lancia il suo slogan labirintico sostenuto dalla ritmica in sottofondo, poi dalla elettrica e dalle crescenti percussioni coadiuvate dalla raffica di tamburellate e dalle cadenzate vibes: si mira a rendere il tutto ossessivamente vudù… pum pim pum-la-pim pahm!
“Serena” è forse la vetta colta del lavoro che qui fa capolino: sezione fiati stile Mingus “Ah-hum”, ci scommetterei, l’intro è decisamente alla Mingus… con sbizzarrimenti di Ornette e, forse, se si unisse pure il fantastico Roland Kirk e l’afrocentrico Shepp, nessuno se ne avrebbe a male. E poi?
E poi il silenzio.
In fine, Serena s’è calmata. 3 minuti di silenzio e pop corn per tutti.
TRACKLIST
1. Opposition 03:14
2. All The 72 Things You Are 01:49
3. Loop Loop Balendro 02:41
4. I’m Dogged 01:36
5. Mind The Gap 05:03
6. The New March 01:49
7. Just Before The Earthquake 02:34
8. Simple Things 05:00
9. The Hill’s Theme 07:05
10. Serena 06:53
LINE-UP
Andrea Davì solo project,
Nicola Alfine (guitar, synth, tapes),
Amedeo Schiavon (Vibes, synth, multi percussion),
Nicolò Masetto (double bass),
Marco Valerio (electric bass) ,
Ugo Ruggiero (drum),
Mirko Brigo ( sound and live electronics).
VOTO
9
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