Sabato 4 marzo si è svolta un’ interessante assemblea alla Rocca di Legino (Savona) sul Pacchetto Minniti e soprattutto sulla situazione migranti in Italia.
C’e’ stata una bella discussione con la partecipazione di attiva di cittadini e migranti. Vi presentiamo qui sotto uno stralcio della spiegazione del suddetto decreto. VI invitiamo inoltre a seguire la nostra pagina Facebook per futuri incontri.
“Pacchetto Minniti” è il nome con cui si indica il decreto legge approvato il 16 febbraio 2017 sull’immigrazione. Non è niente altro che un giro di vite nel senso della “sicurezza” che non tiene conto dei diritti umani, un insieme di azioni repressive improntato ad una politica di destra con due principali obiettivi:
1) Obiettivo pratico Agire nel senso dell’allontanamento di persone senza reddito che provengono da Africa, Asia e Medio Oriente (è stato affermato che l’obiettivo per l’anno a venire è di passare da 5.000 a 10.000 espulsioni di “migranti irregolari”) e creare una sorta di muro, non fisico ma effettivo, nel Mediterraneo meridionale per impedire alle persone di avvicinarsi alle coste italiane;
2) Obiettivo politico Accreditare l’attuale governo (formalmente di Centrosininistra) presso un’ampia porzione di popolazione molto spaventata, chiusa e tendenzialmente poco o per nulla tollerante, come governo “forte” e dalla mano pesante sull’immigrazione. Collocando di fatto il governo nel terreno di azione e propaganda della destra: all’interno del Pd si sono convinti di sottrarre il principale tema di propaganda della (multiforme) destra semplicemente facendolo proprio e trasformandolo in legge. il ministro dell’Interno Minniti afferma: “l’obiettivo è quello di garantire accoglienza a chi ha titolo, essendo inflessibili con chi non ha i requisiti per rimanere nel nostro Paese“. Un’affermazione tanto retorica quanto paradossale, dal momento che a definire i requisiti per far sì che una persona non sia considerata una sgradita eccedenza è il governo stesso. Le acrobazie e la capziosità con cui si definiscono i migranti come regolari oppure irregolari lasciano allibiti.
I punti che caratterizzano il decreto sono principalmente tre:
- Introduzione di un CIE per ogni regione; I CIE cambieranno nome in Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) nome che non dà l’idea di un luogo dove si viene privati della libertà solo a causa del proprio paese di origine. Inchieste, testimonianze di chi vi si è trovato rinchiuso, attivismo politico di chi li ha sempre osteggiati, hanno già reso manifesta l’inumanità di queste brutture di stato. Poliziotti impiegati per le identificazioni, sorveglianza dell’esercito. 1.500-1.600 “ospiti” che in realtà sono dei carcerati. Si insiste su strategie repressive e detentive, accentuando i tratti autoritari e definendo ad esempio che le strutture debbano sorgere in luoghi lontani dai centri abitati, evidentemente per allontanarle dalla vista delle persone dotate di una coscienza e per non rischiare di intralciare il “trattamento” degli “ospiti”.
- Aumento dei rimpatri forzati tramite accordi bilaterali con i paesi di provenienza (ad esempio Libia e Nigeria) Senza alcun riguardo per le specifiche situazioni dei singoli paesi: noncuranza delle convenzioni umanitarie, dittature, guerre permanenti. L’obiettivo è rispedire più migranti possibili verso l’Africa, senza se né ma.
- Abolizione del grado di appello per i richiedenti asilo che si siano visti respingere la domanda sia dalla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale sia nel primo grado del ricorso ad un giudice.
Oltre queste tre azioni volte ad incrementare le espulsioni, è presente anche un provvedimento che obbliga i richiedenti asilo a svolgere lavori socialmente utili mentre aspettano la risposta della Commissione. Praticamente un ricatto che obbliga il migrante a fare qualcosa contro la sua volontà per vedersi riconosciuto un diritto protetto da convenzioni internazionali.
Il principio è: “Chi chiede asilo dovrà lavorare, servizi socialmente utili in cambio dello status di rifugiato” (progetto che coinvolge Regioni e Comuni) Il lavoro non è su base volontaria, ma un obbligo affinché la pratica vada a buon fine, il lavoro non è retribuito. Convenzioni anche con aziende per gli stage. NB Il lavoratore lavora gratis mentre il Comune che lo sfrutta riceve un incentivo (500 euro a migrante, già stanziati)
Si tratta di una forma di schiavitù con la possibilità di sfruttamento della forza-lavoro a costo zero, sussiste l’aggiunta della discriminazione classista tra i “non qualificati” e diplomati e laureati (a cui spetta lo stage in azienda, comunque gratis!). Fermo restando il fatto che già oggi le braccia di decine di migliaia di “irregolari” vengono utilizzate nei campi a condizioni disumane, questo passaggio di fatto formalizza la condizione di schiavo, rendendola legale.
Il permesso provvisorio A due mesi dall’arrivo, l’immigrato riceverà un permesso provvisorio, in attesa che la sua identità sia verificata. Così il richiedente asilo finirà in uno Sprar e il sindaco del Comune “ospitante” lo impiegherà in lavori socialmente utili. Tutto questo rappresenta anche una “forma di risarcimento e giustificazione sociale nei confronti delle comunità locali” ha affermato la presidente della commissione Schengen Laura Ravetto, esponente di Forza Italia (partito che ha valutato positivamente e sostenuto il decreto). La domanda è inevitabile: risarcimento per cosa? Forse perché la presenza di “non bianchi” intacca il pubblico decoro o forse perché deprezza la valutazione economica degli edifici della zona in cui temporaneamente alloggiano? Chissà.
Balza all’occhio, nel testo del decreto, uno stile aggressivo, lontano dal distacco della prospettiva giuridica. Compaiono termini come respingimento, espulsione, immigrazione illegale, straniero, protezione internazionale (intesa nel senso di protezione degli stati dal fenomeno migratorio), attraversamento irregolare della frontiera, che impressionano e sono indicativi. Chi ha redatto il decreto sembra avere assorbito la xenofobia bruta ed esplicita che rimbalza dalle bocche di molti sciacalli della politica ai media, condizionando massivamente le persone ed orientandole alla diffidenza se non all’aperta ostilità verso la diversità, additando il migrante come una minaccia. Lo stato si chiude a testuggine di fronte a uomini e donne che affrontando un viaggio denso di insidie, si trovano senza null’altro che la propria umanità e si attenderebbero umanità. Questo decreto acuisce il processo di criminalizzazione della migrazione e dei suoi protagonisti, forse con l’intento di mantenere in equilibrio un sistema (quello globale dell’Occidente capitalista) che mostra crepe sempre più evidenti. Contrastare per via politica e culturale questa strategia di criminalizzazione diventa un’urgenza etica per impedire che il futuro prossimo veda attuate politiche sempre più repressive verso l’umanità intera.