Az – Ciao Paola, mi hai detto che questa è la tua prima intervista in assoluto!
Raccontaci chi sei e come hai iniziato!
Pa – E’ molto semplice: sono Paola, ho 26 anni, vivo a Bologna (dove ho appena finito i miei studi), faccio la babysitter e spendo tutti i miei soldi in attrezzature fotografiche e ristoranti giapponesi.
Ho iniziato a fotografare 5 o 6 anni fa. All’inizio fotografavo i miei amici, i bambini e gli edifici, poi da 2 o 3 ho iniziato a fotografare donne nude, abbandonando quasi completamente gli altri soggetti.
Az – Come mai hai scelto il linguaggio fotografico come mezzo espressivo rispetto ad altri tipi di linguaggi visivi?
Pa – Onestamente ho scelto il linguaggio fotografico perché è davvero molto semplice. Si sa, chiunque, al giorno d’oggi, può permettersi di comprare una reflex e una volta che ce l’hai puoi usarla quando vuoi, puoi uscire per una birra e approfittarne per scattare una foto ai tuoi amici e, se non viene bene, la rifai e la rifai. Prima o poi, tra migliaia di tentativi, avrai una foto. Altri linguaggi non hanno questa praticità, richiedono sacrifici, soldi e soprattutto lasciano poco tempo al resto. Non puoi suonare la batteria e nel frattempo fare una passeggiata nel parco, per dire. All’inizio è stato questo il motivo. Credevo fosse un semplice hobby e che prima o poi sarebbe passato. Poi però ho visto che, con gli anni, a differenza di altre cose, la mia macchinetta fotografica è rimasta sempre sul suo scaffale privilegiato, anzi… quello scaffale è diventato più grande, si è arricchito di obiettivi, flash, macchine analogiche, rullini ecc. E ho capito che i soldi, i sacrifici e il tempo da spendere non erano più un problema. Insomma, quando ho realizzato che preferivo pagarmi un corso di fotografia piuttosto che fare un viaggio, ho capito che la cosa era davvero seria, che l’hobby era diventato qualcosa di più e che il linguaggio fotografico, evidentemente, era quello più adatto a me.
Az – Spiegaci il motivo per cui hai scelto di affrontare il corpo e l’erotismo femminile
Pa – Bah… è una necessità che credo di aver sempre avuto, tant’è che una delle mie prime foto è stata un autoscatto a petto nudo. Poi ho cominciato a chiedere a qualche amica di posare per me, ma all’inizio è stato molto difficile un po’ perché abitavo ancora a Foggia, e lì le cose non sono semplici per le ragazze che scelgono di posare, un po’ perché iniziare a far foto di nudo è sempre complicato. Ho dovuto superare prima di tutto la mia timidezza e poi infrangere qualche resistenza, anche i giudizi degli amici non sono stati sempre facili. Quando mi sono trasferita a Bologna è stato più semplice e man mano che ho iniziato ad avere più “volontarie” ho capito che fotografarle nude era diventato, per me, l’unico modo per fotografarle bene. Davvero non riuscivo più a star tranquilla se indossavano i vestiti.
Az – Che tipo di rapporto hai con le modelle? In base a cosa le scegli? Come ti rapporti con loro?
Pa – Come ho appena detto: voglio che si spoglino. Può sembrare una risposta volgare, ma in realtà il discorso è più complesso. Quando scatto faccio vedere alle modelle una parte di me che per lo più tengo nascosta, mi fido di loro e mi spoglio metaforicamente. La fiducia che ripongono in me quando sono disposte a spogliarsi e a farsi fotografare (bisogna tener presente che la maggior parte di loro non sono modelle professioniste, non lo fanno abitualmente) bilancia perfettamente quello che ci metto io. Si crea un equilibrio e credo che la differenza si veda. Anche per questo ho bisogno di scegliere ragazze che mi stiano simpatiche e mi piacciano caratterialmente. Ovviamente anche l’aspetto fisico ha una sua rilevanza, ma non come lo si intende per i canoni comuni. Ho sempre avuto un’idea dell’estetica tutta mia, mi piacciono i volti squadrati, le occhiaie, le cicatrici, il seno un po’ cadente… ho anche una passione tutta mia per le smagliature! Mi piacciono cose che di solito alle donne normali non piacciono.
Az – Progetti a cui stai lavorando?
In realtà io non ho mai progettato niente in fotografia. A volte mi vengono delle idee e mi dico “Ah! Vorrei fare una serie così e colì!”, ma poi mi accorgo che sono troppo pigra per realizzare qualcosa. Mi affido molto alla spontaneità. Però, ecco, se invece di “progetto” si parlasse di “buoni propositi”, mi piacerebbe uscire un po’ fuori dalle solite location. Come ho già detto, fotografo spesso le ragazze nei loro ambienti familiari: la loro stanza, il loro bagno, il loro giardino… Mi piacerebbe farle uscire un po’ di più e fotografarle per le strade, in un posto che è di tutti. Ci sto provando pian piano e mi piace molto, si creano situazioni molto divertenti.
Un altro buon proposito è quello di migliorare sempre di più il mio rapporto con l’analogico. Ultimamente scatto quasi esclusivamente a pellicola, ma è molto più complesso e dovrei studiare di più.
Az – Rispondi ad una domanda che non ti è stata posta e a cui ti piacerebbe rispondere
Pa – Questa credevo sarebbe stata la domanda più difficile di tutte ed invece la cosa più difficile, adesso, è scegliere UNA domanda sola, perché in realtà me ne vengono in mente molte (Sento di aver detto tutto quello che volevo dire!? Credo davvero a tutto quello che ho detto!?). Dovendo scegliere, però, credo che la più importante di tutte – forse perché proprio adesso ho finito gli studi e devo cominciare ad interfacciarmi col mondo degli adulti – sia:
Vorresti che la fotografia diventasse il tuo lavoro?
In realtà, ho più voglia di farmi questa domanda che di rispondere; però, quando leggo molte interviste a fotografi che conosco che fanno foto per passione e nel frattempo, come me, studiano o fanno lavoretti in attesa di definire meglio il futuro, vedo che si parla molto del lato artistico della fotografia e poco di quello pratico. Ed invece se ne dovrebbe parlare di più. Sicuramente sarebbe deprimente scoprire che molti di noi che hanno questa passione hanno paura di doverla abbandonare per un lavoro stabile. Forse la gente avrebbe un’impressione meno “rose e fiori” di quest’ambiente leggendo cose del genere, eppure sono domande che andrebbero fatte. Hic et nunc sono davvero pochissimi quelli che riescono a fare di questa passione, un lavoro.
È bellissimo parlare della fotografia, di come ci appassiona e ci faccia sentire parte di un processo artistico e culturale perché siamo giovani e spensierati, ma cosa succede dopo!? C’è una realtà più dura e – per certi versi – interessante dietro, e sarebbe bello se i magazine la esplorassero meglio.
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3 risposte
Noto una pochezza ed una grama originalità nel format dell’intervista (a mio avviso troppo “ispirato” da questohttp://www.organiconcrete.com/2016/01/14/colpi-luce-3-0-alessio-albi/ e da altri della stessa rubrica). Alla mancanza di originalità nel porre una domanda, tante volte, corrisponde una mancanza di quel quid in più che differenzia un blogger da un trascrittore.
Ciao Luigi, ti ringrazio per i tuoi appunti, li userò per la prossima intervista, purtroppo questa è stata la mia prima volta come intervistatrice (l’intervista che hai linkato non l’ho mai letta); ho preferito fare domande molto generali e forse anche un po’ neutre o poco originali come hai sottolineato tu, in modo che l’intervistata potesse sentirsi libera di dire cioè che ritenesse più idoneo per spiegare il suo lavoro, spero ti siano piaciute le foto, perchè il fulcro dell’intervista è tutto lì.
Luigi….ma per favore…..sai solo criticare e non hai mai combinato niente di buono