“Papalagi” del Capo Tuiavii di Tiavea delle Isole Samoa, edito da Stampa Alternativa
Tuiavii, un saggio capo indigeno delle Isole Samoa, compì un viaggio in Europa agli inizi del secolo scorso, venendo a contatto con usi e costumi del “Papalagi”, l’uomo bianco, noi. Ne trasse delle impressioni che gli servirono per mettere in guardia il suo popolo dal fascino pericoloso dell’Occidente. Anche se i fanatici estimatori di questa nostra civiltà possono considerare puerili e forse addirittura sciocche le considerazioni di Tuiavii sull’uomo bianco, le parole di circa cent’anni fa del Capo delle Isole Samoa non possono che indurre a riflettere i più umili fra noi, costringendoci a un esame dei nostri comportamenti.
Potrete leggere passaggi come questi:
• Quando un ragazzo fa di una ragazza la sua donna, non sa se è stato ingannato, perché non ha mai visto prima il suo corpo.
• (…) le membra che si toccano per generare creature per la gioia della grande Terra, sono peccato. Tutto quel che è carne è peccato.
• La maggioranza delle capanne sono abitate da più persone di quante non ce ne siano in un solo villaggio delle Samoa, e per questo bisogna conoscere bene il nome della famiglia che si vuole andare a trovare, perché ognuno ha per sé una determinata parte del cassone di pietra, sopra, sotto, o nel mezzo, a sinistra, a destra o davanti. E una famiglia spesso non sa niente delle altre, ma proprio niente, come se non ci fosse tra loro solo una parete di pietra, ma le isole Manono, Apolima e Savaii e poi molti mari.
• Tutti voi potete testimoniare che il missionario dice: “Dio è amore”. (…) Il missionario ci ha mentito, ingannato, il Papalagi lo ha corrotto perché ci ingannasse con le parole del Grande Spirito. Perché il metallo rotondo e la carta pesante, chiamati denaro, questi sono la vera divinità del Bianco.
• Ho trovato solo una cosa per la quale non viene richiesto denaro, della quale se ne può avere quanta se ne vuole: l’aria che si respira. Ma devo pensare che è solo una dimenticanza, e non esito ad affermare che se qualcuno potesse udire in Europa queste mie parole, pretenderebbe immediatamente il metallo rotondo e la carta pesante. Perché tutti gli Europei cercano sempre nuove scuse per chiedere denaro.
• Ho trovato occhi come i vostri solo tra i bambini del Papalagi, prima che inizino a parlare, perché fino a quel momento non sanno ancora niente del denaro.
• Più uno è un vero Europeo, più ha bisogno di cose. Per questo le mani del Papalagi non cessano mai di fare cose. Per questo i volti dei Bianchi sono spesso così stanchi e tristi (…).
• Il Papalagi ama il metallo rotondo e la carta pesante (…), ma più di tutti ama quel che non si lascia afferrare e che tuttavia esiste: il tempo. Fa tanta scena e discorsi ridicoli, e anche se non ce ne potrà mai essere di più di quanto non ce ne sia tra l’alba e il tramonto, per lui non è mai abbastanza.
• Solo una volta ho incontrato un uomo che aveva molto tempo e non si lamentava mai per la sua mancanza; ma quest’uomo era povero, sporco e abbandonato. La gente si teneva alla larga da lui e nessuno lo rispettava. Non riuscivo a comprendere un tale comportamento: camminava senza fretta e i suoi occhi sorridevano in modo tranquillo e amichevole.
• Il Papalagi ha un modo di pensare particolare ed estremamente contorto. (…) Pensa sempre a una sola persona, non a tutte quante. E questa persona è lui stesso.
• Ovunque tu vada dai Papalagi, ovunque tu veda qualcosa nelle sue vicinanze, sia esso un frutto, un albero, acqua, foresta, un mucchietto di terra, c’è sempre qualcuno che dice: “Questo è mio! Guardati dal prendere quel che è mio!”. Se tu lo fai, ti urla contro, ti chiama ladro, una parola che rappresenta una grande vergogna, e solo perché hai osato toccare il “mio” del tuo prossimo. Accorrono gli amici e i servitori delle supreme autorità ti mettono in catene e ti portano in prigione, e sei disprezzato per tutta la vita.
• Alcuni ricevono il loro molto “mio” dalle mani del padre al momento della nascita.
• Quando cavalco attraverso un villaggio, lo supero velocemente, ma se vado a piedi, vedo di più e gli amici mi chiamano nelle loro capanne. Arrivare velocemente a una meta è raramente un vero guadagno. Il Papalagi vuol arrivare sempre in fretta. La maggior parte delle sue macchine servono unicamente allo scopo di raggiungere velocemente un posto. Una volta giunto alla meta, una nuova lo chiama. E così il Papalagi attraversa correndo la sua vita, senza pace, disimpara il piacere di camminare e vagabondare, di muoversi contento verso la meta che ci viene incontro e che non cerchiamo.
• Ogni Papalagi ha un lavoro. È difficile spiegare cosa sia. È un qualcosa che si dovrebbe avere una gran voglia di fare, ma il più delle volte non se ne ha. Avere un lavoro significa: fare sempre la stessa identica cosa.
• Persino quelli che hanno il compito di parlare di Dio nelle splendide capanne erette in suo onore, non lo tengono dentro di loro e le parole scivolano nel vuoto portate dal vento.
Cos’altro aggiungere? Il desiderio del saggio capo Tuiavii che, pensando all’uomo bianco, al Papalagi, disse: “Rimani lontano da noi, con le tue voglie e i tuoi pensieri, con l’accumulare ricchezza nelle mani e nella testa, con la frenesia di sovrastare tuo fratello, con l’insensatezza del tuo fare, con il mulinare delle mani, con il curioso pensare e sapere, con le follie che rendono inquieto il tuo sonno sulla stuoia”.
Marco Sommariva