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Recensione : Pentagram – Lightning in a bottle

I Pentagram sono degli autentici highlander del rock ‘n’ roll più dannato e oscuro e, tra alti e bassi, svariati cambi di moniker e line up, lunghe pause di scioglimenti/perdizioni e ritorni dagli abissi, sono ancora qui tra noi. Formatisi in Virginia (USA) nel lontano 1971, quasi contemporanei ai Black Sabbath – ma loro sicuri debitori in fatto di ispirazione sonora – i nostri, concepiti dal frontman Bobby Liebling (un personaggio quasi mitologico) con l’intento di diventare “la band più heavy del pianeta”, sono assolutamente da annoverarsi tra i precursori, a livelli underground, del movimento heavy metal mondiale e, in particolare, considerati i protagonisti assoluti di quel sottogenere, di matrice Sabbathiana, rinominato doom metal, nel quale, dagli Eighties in poi, ne sono stati indiscussi esponenti di punta insieme a Candlemass, Saint Vitus e Trouble, coi quali formava il “dream team” e i “big four” del doom metal, una branca dell’hard ‘n’ heavy rock imperniata sull’uso reiterato e ossessivo di riff chitarristici macilenti, ribassati e pesanti come macigni, mutuati dal sound dei padrini/inventori Black Sabbath e dallo stile del loro chitarrista e master of riffs, Tony Iommi, ma traendo anche spunto da altre band altrettanto di (oc)culto come Black Widow, Blue Cheer, Sird Lord Baltimore o High Tide e la scena hard/proto-heavy/psych-prog rock inglese fine Sixties, il tutto condito da un immaginario “infernale”, tetro e horrorifico, aggiornato e velocizzato con la potenza sonica dell’heavy metal esploso negli anni Ottanta.

Il quartetto statunitense, da sempre capeggiato da Liebling (ancora incredibilmente vivo, carismatico e con una voce vibrante alla veneranda età di 71 primavere, nonostante un turbolento passato in cui è finito anche in carcere, tra vicissitudini controverse e un’anima tormentata dai demoni di una seria dipendenza da droghe e altri abusi) oggi si incarna in una rinnovata formazione con un nuovo chitarrista, Tony Reed (che ha rimpiazzato lo storico axeman Victor Griffin) e una nuova sezione ritmica formata da Scooter Haslip al basso e Henry Vasquez alla batteria, e nel mese di gennaio ha dato alle stampe il suo decimo album complessivo, “Lightning in a bottle“, uscito sulla label italiana Heavy Psych Sounds, e successore di “Curious volume“, datato 2015.

A quaranta anni esatti dalla pubblicazione del loro primo full length ufficiale, i Pentagram odierni hanno imparato a collaborare attivamente alla scrittura dei brani come una cooperativa rock ‘n’ roll in cui ognuno apporta il proprio contributo, non si sentono più strettamente imparentati con l’accezione più classica di “doom metal” (lo stesso Liebling ha ammesso che la sua band, nella sua visione, non ha mai fatto pienamente parte di questo calderone, di cui riconosce solo alcune componenti atmosferiche che hanno contribuito a forgiare il proprio sound) preferendo definire la propria proposta musicale come heavy metal/hard rock psichedelico e, in effetti, “Lightning in a bottle” sembra spingere più in questa direzione – basti ascoltare la pirotecnica opener “Live again” o la successiva “In the panic room“, “Dull pain“, i riffoni rocciosi di “I spoke to death” e “I’ll certainly see you in hell“, o l’accoppiata “Thundercrest” / “Solve the puzzle” che, nella parte strumentale, sembrano quasi rubate ai Pantera – che verso i tradizionali lidi “doom and gloom“, qui esemplificati soprattutto nell’ottima “Walk the sociopath“, nella title track e in uno degli highlights del disco, l’autobiografica “Lady heroin” , che parte a razzo per poi arrestarsi e sprofondare in paludi maleodoranti e pericolosamente vicine a un feeling à la Alice in Chains. Le due tracce bonus “Might just wanna be your fool” e “Start the end” arricchiscono un lavoro solido e compatto, in cui il vecchio leone Liebling fa il dito medio alla morte e torna a ruggire dietro un microfono.

Un nuovo Lp dei Pentagram nel 2025, già di per sé, rappresenta un dato di fatto incredibile, dopo una parabola lunga mezzo secolo di paura e delirio (non solo a Las Vegas) cercando di portare una ventata di aria fresca a una formula che, altrimenti, sarebbe risultata ripetitiva (in un ambiente rock/metal notoriamente poco incline all’innovazione) pur senza tradire lo spirito e le radici del passato. E, alla fine della fiera, va a finire che Bobby Liebling ci seppellirà tutti. Live free and burn!

TRACKLIST

1. Live Again
2. In The Panic Room
3. I Spoke To Death
4. Dull Pain
5. Lady Heroin
6. I’ll Certainly See You In Hell
7. Thundercrest
8. Solve The Puzzle
9. Spread Your Wings
10. Lightning In A Bottle
11. Walk The Sociopath
12. Start The End (DIGIPAK and DOUBLE ALBUM bonus track)
13. Might Just Wanna Be Your Fool (DIGIPAK and DOUBLE ALBUM bonus track)
14. Lady Heroin pre-edit rough mix (DIGIPAK and DOUBLE ALBUM bonus track)

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